SE OGNI ACCORDO È UN INCIUCIO
«L'inciucio!».
Molti italiani si stanno ormai abituando a giudicare la politica nell'ottica di
quest'unica categoria demonizzante, e quindi a vedere le cose e gli uomini
della scena pubblica del loro Paese in una sola luce: quella del sospetto
universale.
La
prima caratteristica della categoria dell' inciucio , quella che la rende così
facilmente utilizzabile, è la sua
indeterminatezza. L' inciucio, infatti, come insegnano i suoi denunciatori
di professione, si annida dovunque. Potenzialmente esso riguarda tutto e tutti.
Può consistere nella sentenza di un tribunale, in un articolo di giornale,
nella decisione di qualunque autorità, in una trasmissione televisiva, in
tutto. Ma soprattutto è inciucio la
trattativa, l'accordo, il compromesso espliciti, così come pure - anzi in
special modo! - l'intesa tacita che su una determinata questione si stabilisce
per così dire spontaneamente tra gli attori politici di parti diverse. Tanto
più che perché di inciucio si possa accusare qualcuno non c'è bisogno di alcuna
prova. Per definizione, infatti, l' inciucio si svolge nell'ombra, al riparo da
occhi indiscreti. E dunque, paradossalmente, proprio la circostanza che di esso
non si abbiano tracce visibili diviene la massima prova della sua esistenza. In
questo senso la categoria d' inciucio , nella sua indeterminatezza e nella sua
indimostrabilità, costituisce una sorta di versione in tono minore di un'altra
ben nota categoria, da decenni ai vertici dei gusti del grande pubblico: la categoria dei «misteri d'Italia» con la
connessa tematica del «grande complotto». Ogni vero inciucio , infatti,
contiene inevitabilmente un elemento di «mistero», e d'altra parte ogni
«mistero» non implica forse chissà quanti inciuci ?
Un
ulteriore vantaggio che offre poi l' inciucio in termini
polemico-propagandistici è che esso, di nuovo, può sottintendere tutto, il fare
ma anche il non fare. Agli occhi dei suoi teorici esso è anzi soprattutto
questo: è il non fare, il disertare, l'abbandono della posizione di fronte al
nemico. Un aspetto, questo, che indica assai bene quale sia l'idea della
democrazia che hanno i denunciatori di professione dell' anti inciucio . È un'idea per così dire bellica della
democrazia, radicalmente fondata sul concetto di ostilità. Per non essere
l'anticamera dell' inciucio (sempre in agguato!), la democrazia deve essere scontro permanente, continua denuncia
dell'avversario e dei suoi disegni, illustrazione delle sue indegnità morali,
smascheramento; ogni discorso deve sbugiardare, denudare, indicare al pubblico
ludibrio.
La massima virtù civica non è la
probità, è l'indignazione. Chi
non si adegua, chi invece guarda alla democrazia come a quel sistema che si
fonda, sì, sulle «parti» e sulla loro contrapposizione, ma anche, specialmente
nei tempi difficili, sulla ricerca dell'accordo, sulla tessitura di
compromessi, sulla moderazione di toni, sul riconoscimento dell'opinabilità di
tutti i punti di vista (compreso il proprio, naturalmente) e della buona fede
altrui, ebbene costui è già un potenziale «inciucista», un «traditore», un
«venduto», degno di essere consegnato ai dileggi parasquadristici di cui per
esempio sono stati vittime gli onorevoli Franceschini e Fassina nei giorni
scorsi. Poiché in una tale ottica la mediazione non è il momento inevitabile di
ogni prassi democratica; al contrario: ne diviene la più indegna negazione.
Naturalmente ordita con i più torbidi scopi.
Inutile
dire quanto abbia aiutato a radicare l'idea e la categoria d' inciucio la
scoperta della spartizione, concordata per anni dietro le quinte, a opera
dell'intera classe politica, di privilegi e benefici di ogni tipo e misura. Cioè la scoperta della «casta». Una
realtà verissima e certo scandalosa: se si può muovere un rimprovero all'uso
pubblico della quale, però, è di non avere sottolineato abbastanza che l'intera
società borghese italiana è in verità una
società di caste. Che la radice del
male, dunque, non sta tanto nella politica quanto nella cultura, nella
mentalità profonda delle classi dirigenti (e non solo) del Paese. Per cui
in Italia tendono a essere una «casta» i giornalisti, i giudici, gli avvocati,
gli alti burocrati, i professori, i manager, i funzionari dei gabinetti
ministeriali, e così via: in vario modo tutti impegnati accanitamente a
sistemare i propri figli possibilmente nello stesso mestiere, a impedire
l'accesso ai nuovi venuti, ad accumulare privilegi, retribuzioni, eccezioni di
varia natura, auto blu, simboli di status, diarie, cumuli pensionistici,
trattamenti speciali, ope legis , e chi più ne ha più ne metta.
Viceversa,
declinata unilateralmente la categoria di «casta» porta a conseguenze
strabilianti. Per esempio a quella di proclamare «un uomo al di fuori della
politica» (Beppe Grillo) una persona certo degnissima come Stefano Rodotà, ma
che comunque nei suoi ottant'anni è stato deputato dal 1976 al 1994, deputato
europeo per un altro periodo, presidente del gruppo parlamentare della Sinistra
indipendente, vicepresidente della Camera, ministro nel governo ombra Occhetto,
presidente del Pds, e infine presidente di un'Authority, carica notoriamente di
strettissima nomina politica. Qual è insomma, viene da chiedersi, il criterio
d'inclusione nella «casta»? Forse non essere nelle grazie degli «anticasta»?
Ma
il punto decisivo - lo sappiamo benissimo, senza che ce lo ricordino i
professionisti dell' anti inciucio - è che nella
politica italiana c'è Berlusconi. Vale a dire il bersaglio di
un'indignazione obbligatoria - del quale, a dire di costoro, bisogna a ogni
occasione chiedere l'ineleggibilità, la revoca dell'immunità, l'incriminazione,
e quant'altro - mentre il solo evitare di farlo, non parliamo dell'avere un
qualsivoglia rapporto con lui o con la sua parte, significherebbe, sempre e
comunque, l' inciucio più vergognoso. Quando si discute di Berlusconi o con
Berlusconi, infatti, se non si vuole passare per collusi il sistema è semplice:
ogni sede pubblica deve divenire l'anticamera di una Corte d'assise. Il fatto
che da vent'anni egli abbia un seguito di parecchi milioni di elettori (spesso
la maggioranza) appare ai custodi della democrazia eticista un dettaglio
irrilevante. Non già l'espressione di un problema della storia italiana, di
suoi nodi antichi che solo l'iniziativa, le risorse e le capacità della
politica, se ci sono, possono sciogliere. No:
solo un problema di codice penale o poco più. E in ogni caso, male che vada,
un'occasione d'oro per lucrare un po' di consenso mettendo sotto accusa chi si
trovasse a pensare che le cose, come spesso capita, sono invece un po' più
complicate.
Corriere
on line 24 aprile 2013
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