Perdere la fede a 15
anni leggendo I fratelli
Karamazov mentre si sorvolano in aereo le Montagne Rocciose. Studiare
filosofia per capire come agire in assenza di Dio. Buttarsi a capo fitto nella
fisica per mettere alla prova le teorie sulla creazione. Scoprire la musica e
girare la Francia facendo l'autostop, mangiando con i soldi raccolti grazie al
proprio violino. Sono i primi frammenti di una vita fuori dal comune,
soprattutto se chi la offre al lettore, senza censure, è un prete.
Jonah Lynch, americano di origine irlandese, oggi è
il giovane vicerettore del seminario della Fraternità San Carlo, fondata da
monsignor Massimo Camisasca, da qualche mese vescovo di Reggio Emilia. Non sembra
il tipo che abbia voglia di difendersi dalla realtà (in gioventù è passato
anche dall'esperienza delle comuni hippies) e non teme le domande, anche quelle
più scomode.
Il suo ultimo libro, Egli canta ogni cosa (ed.
Lindau), ne è pieno – come si fa a credere in Dio? Come può il Signore
accettare il dolore innocente di cui parla Dostoevskij? Non è che la fede è
solo autoconvincimento? – e segue il successo di quella riflessione, lontana
dalle prediche, su ciò che stiamo perdendo in nome dell'onnipotenza di internet
e dei social network, che è Il profumo dei limoni («tatto, olfatto e
gusto, tre quinti della realtà, non possono essere trasmessi attraverso la
tecnologia»).
Per rispondere alle
questioni poste dalle persone
che incontra, Jonah Lynch non parte però dalla teoria cristiana o dal
catechismo, ma dalla sua esperienza di uomo. E questo lo rende ancora più
interessante («temo di non riuscire a darti indicazioni precise per arrivare
alla fede, ma potrò forse farti vedere che è possibile arrivarci»). Il suo
percorso, che offre alle obiezioni degli altri, attraversa il nero-freddo di
spazi vuoti (così definisce l'ateismo) e arriva fino al "voglio vivere
così" pronunciato davanti alla fede di un'altra persona.
Da buon violinista e da uomo che alla musica ha dato da
sempre un peso notevole nella sua formazione, anche intellettuale, organizza il
tutto in una struttura che richiama gli ultimi quartetti d'archi di Beethoven
(Allegro vivace, Andante serioso, Grave, ma non troppo, Cavatina, adagio molto
espressivo, Allegro appassionato - forse un tributo al T.S. Eliot di Four
Quartets, di certo alle pagine a cui è più legato).
«Conoscere la verità è una grande avventura e un grande
rischio. Potresti scoprire che devi cambiare idea su qualcosa, potresti
scoprire che devi cambiare vita» scrive a un certo punto Lynch. E infatti, in
volo su quella stessa tratta, vent'anni dopo, si sorprenderà con una certezza
prima impensabile («Cristo è la chiave di ogni domanda, non ci sono angoli bui
che la sua luce non raggiunge»). Ma anche con un abito talare addosso, i rosari
di una hostess indiscreta da benedire e un'infaticabile devota di Dan Brown a
cui rispondere.
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