Il
referendum bolognese antiparitarie
è un rimasuglio di un passato ottocentesco che non vuol morire.
Non è solo una querelle sulla scuola, o
su cosa sia uno stato laico o sui fondi “pubblici”. E’ l’ennesimo segnale di un
Paese che, dopo 150 anni, non riesce a vivere con se stesso, con le sue
identità, con la sua pluralità, con le sue radici. E’ la riprova, semmai ce ne
fosse bisogno, che alcuni non hanno
ancora capito cosa è democrazia, cioè
una società plurale che ha però denominatori comuni.
Non è l’egemonia di alcuni e l’esclusioni
di altri, in omaggio ad un principio di “proprietà” dei fondi pubblici di cui
si sono autonominati guardiani.
I fatti parlano. Senza la scuola
paritaria calerebbe l’offerta pubblica. Ma già Guareschi ci spiegava che alcuni “credono più al loro odio che ai
loro occhi”. Per alcuni, fatti e dati oggettivi non scalfiscono
l’ideologia. Detto questo, proviamo a spiegare la questione partendo proprio a
favore dalla scuola gestita dalla pubblica amministrazione.
Oggi, l’esigenza di assicurare l’educazione
come diritto universale impone una forte presenza di scuola a gestione
pubblica. Non ci piove su questo. Ma cosa può mantenere viva, di qualità, una
scuola statale (e comunale), fatta da impiegati pubblici (garantiti)?
Cosa può far sì che resti di qualità e non decada (come normalmente decade il
pubblico impiego quando è garantito)?
Da
un semplice punto di vista laico, dell’interesse generale, serve che non sia monopolistica. Non c’è un solo esempio nella
storia di un monopolio che non sia decaduto. Solo una pluralità di presenze – e
quindi di possibilità di scelte da parte delle famiglie – può aiutare
seriamente la scuola, privato o pubblica che sia, a non decadere. Un
amministratore pubblico, laico e intelligente, deve far sì che non ci sia un monopolio nell’offerta
educativa scolastica (a prescindere anche dal mero calcolo economico, che
comunque dimostra quanto il privato con le scuole dell’infanzia può fare
spendendo meno).
Il fine intelligente, sussidiario,
costituzionale, è che ci sia una ampia offerta, che non sia monocolore e che
questa offerta mantenga qualità nel tempo. Non è questione solo di soldi,
peraltro oggi sempre meno. Chi pensa che basti pompar soldi nella scuola
amministrata da stato o enti locali, s’illude (e se lo può oramai scordare).
Serve un sistema plurale. Questa è democrazia matura. Questa è la possibilità
perché ci sia una offerta e sia una buona offerta scolastica.
E, sia ben chiaro, siamo ancora ben
lontani dall’aver messo le famiglie nelle condizioni ottimali di scegliere
liberamente e con equità fiscale. Quanto fatto a Bologna è solo un inizio.
Alcuni vorrebbero tornare indietro, all'800, cancellando anche questo timido
inizio di parità.
Gianni Varani
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