Cosa pensasse il Cardinal Bergoglio, Primate d’Argentina, e I suoi confratelli dell’America Latina della libertà d’educazione, è facilmente rinvenibile in quel mirabile documento conclusivo della V Assemblea Generale della CEAL, tenutasi ad Aparecida nel maggio del 2007. Per i presuli latino americani, infatti, «costituisce una responsabilità specifica della scuola, in quanto istituzione
educativa, quella di porre in risalto la dimensione etica e religiosa della cultura, proprio al fine di attivare il dinamismo spirituale dell’individuo e aiutarlo a raggiungere la libertà morale che presuppone e perfeziona la psicologia», tenendo, però, conto che «non vi è libertà morale se non in rapporto ai valori assoluti da cui dipende il sentimento ed il valore della vita umana».
Ciò che occorre evitare nell’ambito dell’educaziene è quella deleteria «tendenza ad assumere l’attualità come parametro di valori», tendenza che «rischia di dar voce ad aspirazioni transitorie e superficiali, e di far perdere di vista le esigenze più profonde del mondo contemporaneo». Bergoglio, infatti, ha un’idea ben precisa di cosa significhi educare: «L’educazione rende umano e personalizza l’individuo nella misura in cui gli consente di sviluppare pienamente il suo pensiero e la sua libertà, di crescere nell’ambito della comprensione e nelle iniziative di comunione con la totalità dell’ordine reale. In questo modo, l’individuo rende umano il mondo in cui opera, produce cultura, trasforma la società e costrire la storia».
Sempre per lo stesso Bergoglio «la libertà di educazione è un principio irrinunciabile per la Chiesa», principio che «implica, come condizione per una sua autentica realizzazione, la piena facoltà di scelta in favore di chiunque intenda optare per una formazione più consona ai principi e valori etici che vengono ritenuti fondamentali». Sono, infatti, «i genitori che assumono la responsabilità di offrire ai propri figli, per il solo fatto di averli procreati, le condizioni più favorevoli per la loro crescita e la loro educazione», e per questo «la società ha l’obbligo di riconoscerli come primi e principali educatori».
Quello che spetta ai genitori nel campo dell’educazione è un «diritto non trasferibile», che «proprio per il suo significato e il suo scopo deve essere fermamente garantito dallo Stato», anche «attraverso finanziamenti pubblici – che derivano dalle entrate erariali di tutti – in modo da essere assicurata a ogni genitore, indipendentemente dalle proprie condizioni sociali, la scelta educativa che reputa migliore secondo la propria coscienza, all’interno di una pluralità di offerte formative».
«Questo», infatti «è il fondamento giuridico su cui si basa la sovvenzione pubblica alle scuole», poiché «nessuna autorità scolastica, neppure lo stesso Stato, può arrogarsi il privilegio e l’esclusiva della funzione educativa per gli indigenti», e poiché «solo attraverso la libertà educativa si possono davvero promuovere i diritti naturali dell’uomo, garantire una pacifica convivenza tra i cittadini e il progresso di tutti».
Secondo l’allora Cardinale di Buenos Aires, quindi, lo Stato e le autorità pubbliche «devono sostenere le scuole cattoliche, la cui identità culturale si radica in Gesù Cristo», e favorire «la loro profetica opzione educativa».
di Francesco Amato, da La nuova Bussola quotidiana
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