massimo gramellini
Le ragioni dell’odio
sono state analizzate a sufficienza. Mi sposterei dall’altra parte del campo,
dove abitano le ragioni di Martina.
Martina ha ventitré anni e soltanto tre
mesi fa ha perso la madre. Si è licenziata per stare accanto al papà
carabiniere, che nel tentativo di farle coraggio le diceva: «Siamo un piccolo
esercito sgangherato, noi due, ma ce la faremo». Adesso l’esercito è diventato
ancora più piccolo. L’esercito è lei, china sul padre intubato in ospedale che
la guarda e muove le palpebre, cerca addirittura di parlarle, ma non può.
Chissà se vivrà, chissà come vivrà. Le pallottole del pistolero di Palazzo
Chigi gli hanno danneggiato il midollo spinale.
Martina potrebbe inveire
o perdonare, per i guardoni del dolore sarebbe la stessa cosa. A loro non
interessa la qualità della reazione, ma la sua intensità: superficiale e
isterica. Invece la figlia del carabiniere sceglie la strada più dura e più
vera: accettare. Tutto, anche l’inaccettabile. «Se riesci a contemplare le cose
cui hai dedicato la vita, infrante, e piegarti a ricostruirle con i tuoi arnesi
ormai logori». La poesia di Kipling al figlio rivive nella voce gonfia di
questa giovane adulta: «Ho perso un’altra volta il lavoro per seguire mio
padre. Tutti i miei progetti sono di nuovo saltati. Pazienza. Si ricomincia. Si
rifà un altro piano, un’altra speranza, altri obiettivi». Senza saperlo Martina
ha dettato il programma di governo delle nostre vite per gli anni a venire. Le
do di tutto cuore la mia fiducia.
da Lastampa on line
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