IL NUOVO LIBRO DEL CARDINALE SCOLA
Si intitola “Non
dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica” il nuovo libro
scritto dal Cardinale ed edito da Rizzoli. Qui un estratto riferito in particolare al
rapporto tra Stato, religione e soggetti della società, per rispondere ai
bisogni dell’uomo.
Se è vero
che è un dovere dello Stato garantire lo spazio per l’espressione pubblica
della religione e la comunicazione fra soggetti, è altrettanto vero che
la qualità dei suoi contenuti dipenderà invece dalla vitalità di quanti lo
abitano.
In questo senso l’impegno
civile e politico dei cristiani è particolarmente urgente.
Non si tratta solo di difendere una posizione e una concezione
particolare della vita da attacchi esterni, ma di immettere nel dibattito
pubblico delle ragioni potenzialmente valide per tutti. Ciò non implica
naturalmente che la proposta dei cattolici, per potere essere avanzata
pubblicamente in piena legittimità, debba essere in sintonia con le visioni
prevalenti nella società. Molte questioni che, per lo meno in Occidente,
toccano oggi il tema della libertà religiosa, rimandano in realtà alla visione
stessa dell’umano e al relativo «conflitto di interpretazioni»: «Il punto […] è
che se non capiamo che la crisi che fronteggiamo riguarda, ultimamente, la
natura dell’essere umano, le nostre strategie politiche […] a lungo termine
rafforzeranno i presupposti stessi che hanno prodotto la crisi. Ciò non
significa che strategie che parlano di diritti nel linguaggio liberal non
possano essere giustificate per ragioni prudenziali. Significa semplicemente
che anche queste strategie devono essere integrate […] in una concezione più
adeguata dei diritti basata su una visione più completa della persona umana».
A essere in gioco non è perciò soltanto la
possibilità dei cristiani e più in generale dei credenti di esprimersi
pubblicamente, ma di farlo sapendo e potendo rendere adeguatamente ragione
della propria esperienza, cosa che sposta l’accento dal diritto dei credenti al
loro dovere di testimonianza. Il cristianesimo ha infatti la pretesa di
rispondere alle attese e ai bisogni di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, come
proposta e mai come imposizione.
Lo stesso Habermas ritiene in proposito che sia del tutto
giustificabile, al di là dello sforzo di traduzione delle proposte in un
linguaggio pubblico accreditato, anche «l’ammissione di enunciazioni religiose
non tradotte nella sfera pubblica». Il motivo è semplice: uno Stato veramente
democratico «non può scoraggiare i credenti e le comunità religiose
dall’esprimersi come tali anche politicamente, perché non può sapere se, in
caso contrario, la società laica non si privi di importanti risorse di
creazione del senso».
Si potrebbe
aggiungere che qualsiasi interpretazione amputata o parziale del cristianesimo, che ne
privilegiasse cioè taluni aspetti a scapito di altri, finirebbe inesorabilmente
per essere strumentalizzata, minerebbe l’originalità stessa della proposta
cristiana e ridurrebbe i cattolici all’irrilevanza. Giova tra l’altro ricordare
quanto il Concilio insegna a proposito del ruolo dei fedeli laici nella
società: «A loro spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle
quali sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo,
e crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore». Non è un invito a
perseguire l’egemonia, ma piuttosto il riconoscimento del fatto che una fede
integralmente vissuta ha un’irrinunciabile rilevanza antropologica, sociale e
cosmologica, carica di conseguenze politiche assai concrete. Se si testimoniano
in ogni ambito dell’umana esistenza, compreso quello politico e partitico, le
proprie convinzioni, non si lede il diritto di nessuno.
Al contrario
mentre lo si promuove si mette in moto la virtuosa ricerca del compromesso
(cum-promitto) nobile, su beni specifici di carattere etico, sociale,
culturale, economico e politico. Qualora sui principi irrinunciabili non fosse
possibile l’accordo con gli altri «abitanti» la società plurale, si farà
ricorso all’obiezione di coscienza. Quest’ultima tra l’altro, a differenza di
quanto ritengono alcuni, non ha solo lo scopo, privato, di esentare un soggetto
da comportamenti per lui inaccettabili, ma anche quello di richiamare
all’attenzione generale tematiche per le quali si ritiene che non si sia ancora
formata un’adeguata sensibilità, contribuendo così in maniera preziosa al
dibattito pubblico. Su questa dimensione sociale dell’obiezione di coscienza è
più che mai necessaria un’ampia riflessione che purtroppo oggi ancora manca.
Siamo consapevoli che tale opzione rischia oggi di non essere adeguatamente
garantita dalla legge e di comportare perciò un prezzo da pagare personalmente.
Essa pone così il cristiano nella logica della testimonianza, che, come ci ha
ricordato Benedetto XVI in occasione del Sinodo dei Vescovi sulla nuova
evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, è sempre una
«confessione» e «porta perciò in sé l’elemento martirologico». La testimonianza
«non è – nota il Papa – solo cosa del cuore e della bocca, ma anche
dell’intelligenza; deve essere pensata e così, come pensata e intelligentemente
concepita, tocca l’altro». È un compito impegnativo, ma affascinante.
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