LUCA RICOLFI
(Intervista di Maurizio Caverzan per la
Verità 10 marzo)
«È molto probabile che, la sera del voto, non
avremo la minima idea di che governo si potrà insediare da lì a qualche
settimana»: previsione di Luca Ricolfi, datata 3 marzo. Sociologo, docente di
Analisi dei dati all’ università di Torino, editorialista del Messaggero,
osservatore tra i più lucidi delle cose della politica, allergico agli sconti a
destra come a sinistra (vedi le sue analisi sul sito della Fondazione David
Hume). Ci siamo rivolti a lui per interpretare le più clamorose elezioni anti
establishment degli ultimi decenni e tracciare qualche scenario futuro.
Per trovare un altro risultato così
dirompente bisogna tornare al 1994. Allora iniziò la Seconda repubblica, sta
nascendo la Terza?
Cesena, Renzi, Gozi e Landi (seminascosto Lucchi) |
«No, stiamo tornando alla “Repubblica di mezzo” (fra la Prima e la
Seconda), quella che è esistita fra le elezioni politiche del 1992 e le
elezioni del 1994, al tempo in cui tutto cominciò a cambiare, grazie al
referendum sulla preferenza unica, a Mani pulite, all’ esplosione della Lega,
alla nuova legge elettorale (il compianto Mattarellum). Non tutti lo ricordano
ma, allora, gli studiosi di comportanti elettorali congetturarono che l’ Italia
fosse ormai divisa in tre: la Padania, egemonizzata dalla Lega (Forza Italia
non era ancora nata), l’ Etruria, egemonizzata dal Pds, il Mezzogiorno, ancora
saldamente in mano alla Dc. Oggi la carta geopolitica è tornata a essere quella
di allora, con i 5 stelle al posto della Dc».
Quali sono i fattori di maggior novità
del voto del 4 marzo?
«C’ è molta più chiarezza di prima: il Centronord vuole proseguire sulla
via della modernizzazione del Paese, timidamente intrapresa in questi anni, ma
lo fa con sensibilità diverse, rappresentate dal centrodestra e dal Pd. Il Sud
vuole continuare a sussistere nell’ unico registro che un ceto dirigente
irresponsabile è stato in grado di prospettargli: assistenza, assistenza,
assistenza».
Concorda con
chi sostiene che le urne ci consegnano un’ Italia geograficamente e socialmente
bipolare: nel Sud della disoccupazione e della povertà ha vinto il M5s, nel
Nord dove si teme per la sicurezza ha vinto la Lega.
«Concordo, ma solo in parte. Oggi il
voto del Nord sembra ad alcuni soprattutto antimmigrati, ma a mio parere
esprime invece, molto di più, l’ ennesima rivolta antifisco e antiburocrazia».
Sarà difficile mantenere le promesse di
flat tax e reddito di cittadinanza. È per questo che, sotto sotto, né Lega né
M5s smaniano di governare?
«Non so se davvero esitano, a me sembrano piuttosto smaniosi entrambi. Il
mancato mantenimento delle promesse penso sia messo in conto da tutti, tanto
basterà dire: noi volevamo, ma gli alleati, ma l’ Europa, ma la situazione,
eccetera, eccetera».
Si è votato in marzo, quando non ci sono
sbarchi d’ immigrati. Se si fosse votato in maggio, la Lega avrebbe superato
anche il Pd di Matteo Renzi?
«L’ ho sostenuto in un’ intervista a Sky pochi giorni fa. Votare a marzo ha
attutito i danni subiti dal Pd, checché ne dica Renzi, che si è lamentato di
non aver potuto votare prima: se si fosse votato la primavera scorsa non
avrebbe potuto giocare la carta Marco Minniti».
Che però, a
sorpresa, è stato sconfitto.
«Il fatto ha stupito anche me, ma forse
io ho un pregiudizio positivo nei confronti di Minniti, che mi pare uno dei
pochissimi ministri che sanno di che cosa parlano».
Con Lega e M5s è nato anche un nuovo
bipolarismo politico che sostituisce quello composto da Forza Italia e Pd, ora
residuali?
«No, il sistema per ora è quadripolare e instabile. Lega e M5s
rappresentano solo la dialettica interna alle forze antieuropee. Un vero
bipolarismo richiederebbe il compattarsi di due aggregazioni più ampie e
robuste: ad esempio centrodestra contro mutanti».
Chi sono i mutanti?
«Pd e 5 stelle, Organismi politicamente modificati (Opm) costruiti a
partire dal ceppo antico del socialismo e del comunismo».
Un ceppo che germoglia sempre meno. La
sinistra è in declino dovunque in Occidente. La crisi di quella italiana ha
fattori specifici più gravi?
«La sinistra non è affatto in declino, semplicemente sta assumendo forme
che i media (e pure gli studiosi, devo ammettere) si rifiutano di riconoscere
per quello che sono. Quella che continuiamo a chiamare sinistra è semplicemente
la sinistra ufficiale, ovunque amata e votata dai ceti medi riflessivi,
istruiti e urbanizzati, e dal mondo della cultura. Ma esiste anche un’ altra
sinistra, trasgressiva e populista, prediletta dai giovani e da una parte dei
ceti popolari, che si esprime in forme nuove: Podemos in Spagna, Syriza in
Grecia, 5 stelle in Italia, La France insoumise Oltralpe, per citare i casi più
importanti. Quel che sta succedendo è che, in molti Paesi, tranne il Regno
Unito, la sinistra populista sta diventando più forte di quella ufficiale,
riformista, benpensante, assennata e politicamente corretta».
Com’ è possibile che non ci si
interroghi sul fatto che il Pd tiene nei centri storici e scompare nelle
periferie e tra i lavoratori?
«Me lo sono chiesto anch’ io, e ne è venuto fuori un libro (Sinistra e
popolo, Longanesi 2017). Però la vera domanda forse è anche quest’ altra:
perché del problema ci accorgiamo solo ora visto che il distacco fra sinistra e
popolo è in atto da almeno 40 anni?».
Augusto Del
Noce diceva che il partito comunista sarebbe diventato un grande partito
radicale di massa.L’ apparentamento con
Emma Bonino ne è stata l’ ultima piccola conferma?
«Sì, quello di partito radicale di massa
è un concetto che descrive a pennello l’ evoluzione del comunismo dal Pci al Pd
renziano. Ne parla anche Marcello Veneziani nel suo ultimo libro
(Imperdonabili, Marsilio 2017). Il Pd è diventato una sorta di macchina per
proclamare diritti, e anche un rifugio identitario per i ceti alti e medi,
bisognosi di impegno per espiare la colpa di non essere poveri. Una mutazione
che l’ alleanza con la Bonino ha reso evidente, per non dire plateale. Ma a
questo tipo di evoluzione (o involuzione?) ha contribuito anche una certa dose
di stupidità autolesionista, una quasi inspiegabile incapacità di capire il
punto di vista della gente comune: come si può pensare, nell’ Italia di oggi,
di attirare consensi con l’ antifascismo e lo ius soli?
Se ci fossero pulsioni fasciste e
nostalgiche Casa Pound e Forza nuova avrebbero avuto un risultato decente, non
i pochi decimali (0,9 e 0,37%) che qualsiasi simbolo buttato sulla scheda può
raccogliere».
Che responsabilità hanno gli
intellettuali nel distacco tra la classe dirigente del Pd e la sua area
tradizionale di riferimento?
«Negli ultimi 30 anni, intellettuali e mondo della cultura molto si sono
preoccupati di veder rappresentati loro stessi e i loro interessi, e pochissimo
di convincere il Pd a rappresentare anche i ceti popolari. Questa è una delle
differenze fra Prima e Seconda repubblica: gli intellettuali della Prima
pretendevano di conoscere meglio dei dirigenti del Pci quali fossero i veri
interessi della classe operaia; a quelli della Seconda è premuto assai di più
che gli eredi del Pd rappresentassero il loro mondo incantato. Ci sono riusciti
benissimo».
Che giudizio dà di Renzi come
amministratore, comunicatore e stratega politico?
«Non voglio infierire, l’ ho già criticato a sufficienza in questi anni.
Anzi, voglio dire che, se solo avesse fatto meno il bullo e avesse provato ad
ascoltare chi lo criticava stando dalla sua parte, oggi ricorderemmo le non
poche buone cose che ha fatto, dal jobs act a industria 4.0. Il dramma dell’
Italia è che questo modesto Pd è pur sempre la miglior sinistra disponibile sul
mercato, visto quel che offrono 5 stelle e Leu».
Cosa pensa dell’ esperienza di Liberi e
uguali? A chi è maggiormente attribuibile la colpa della scissione?
«Un’ operazione politica penosa, nei contenuti e nelle persone. Quello che
non capisco è perché abbiano scelto come capo una figura scolorita come quella
di Pietro Grasso: chiunque altro, tranne forse il demonizzatissimo Massimo D’
Alema, avrebbe portato a casa più voti. Quanto alla scissione, non so se è stata
una colpa, forse è stata un atto di chiarezza».
Quanto il successo di M5s e Lega
complica il rapporto con l’ Europa?
«Meno di quanto si pensi. Continuiamo a fare uno sbaglio: pensare che il
problema siano le autorità europee. No, il problema sono i mercati, come si è
visto nel 2011, quando le autorità europee lodavano Giulio Tremonti e Silvio
Berlusconi, e sono bastati tre mesi di impennata dello spread per capovolgere
tutto».
Che scenario intravede? Se la sente di
fare delle percentuali dei possibili governi?
«No, non me la sento. Molto dipenderà dal Pd, ovvero da quanti Pd vi
saranno fra qualche mese. Se ve ne sarà uno solo, non si potrà che tornare al
voto. Se ve ne saranno due, vedremo se la spunterà quello assistenzialista, che
vuole dare una mano al Sud (e al M5s), o quello sviluppista, che vuole aiutare
il Centronord (e quindi il centrodestra)».
Quanto un governo a guida Luigi Di Maio
con il sostegno del Partito democratico aggraverebbe il bilancio dello Stato?
«Molto, perché anche il Pd è tentato dalla spesa in deficit».
Dobbiamo rassegnarci all’ ennesimo
governo del presidente?
«Speriamo di no, abbiamo già dato. E poi Sergio Mattarella mi pare più
arbitro di Giorgio Napolitano, che era chiaramente un giocatore in campo».
Quali sono le prime riforme che
suggerirebbe al nuovo governo?
«Sgravi fiscali sui produttori, alimentati da una lotta senza quartiere
contro gli evasori totali».
Che cosa consiglierebbe a Silvio
Berlusconi che si chiede «adesso dove si va»?
«Di decidersi a scovare un successore».
Se si rivotasse entro un anno le
tendenze del 4 marzo uscirebbero radicalizzate o ridimensionate?
«Dipende: se
nel frattempo non succede nulla avremo un Parlamento fotocopia. Ma qualcosa
succederà. Basta che non sia un nuovo 2011».
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