IN POLITICA PER DIFENDERE L'UMANO
Siamo sotto il peso dell’elefante e questo elefante che ci opprime è lo statalismo.
Se c’è una cosa deprimente
in questa campagna elettorale è la completa assenza nel dibattito pubblico di
alcuni temi di cui si dovrebbe discutere e che, invece, sono colpevolmente
ignorati dai più.
Sarà un caso, sarà che
siamo “nati postumi” come dice quel genio anarcoide di Gigi Amicone,
ma è un fatto che di tutto quel che ci
sta a cuore c’è poco o nulla nei talk show tv o sui giornali: libertà di
educazione, federalismo, sussidiarietà, inverno demografico, sovraffollamento
carcerario, abbattimento una volta per tutte del deleterio sistema
mediatico-giudiziario che imperversa nel paese da vent’anni, lotta a una burocrazia che soffoca nella culla ogni
tentativo d’impresa (ne sappiamo qualcosa anche noi, ahimè).
Siamo noi fuori sincrono o è la classe dirigente di questo paese
a baloccarsi dietro a futili dibattiti
sulla legalità, il sessismo, il reddito di cittadinanza (Dio ce ne scampi),
altre mancette da 80 euro da elargire a pioggia?
Ci promettono l’eutanasia e la cannabis libera come conquiste di
civiltà solo perché ci vogliono un po’ più rimbambiti (e pure un pochino morti),
mentre ci tengono buoni buoni sotto il peso dell’elefante. Stateci voi, se
volete.
Ma noi abbiamo scuole da difendere, associazioni da salvare,
esperienze sociali e imprenditoriali da salvaguardare da una burocrazia occhiuta
e da una magistratura zelante oltre ogni limite di decenza.
C’è una famiglia – quella
definita dalla Costituzione, non dal catechismo di Pio X – che è sotto attacco
e che va preservata quale unico argine al disfacimento che ci vuole tutti
neutri, asessuati e infelici.
Diciamo la verità: non ci
sono in giro dei Churchill o dei Napoleone, ma il centrodestra resta ancora la scelta più sensata rispetto a
una sinistra intrappolata nei suoi fantasmi nonostante le riverniciature
liberal. E un “partito non partito” che se arrivasse al potere ci aprirebbe le
porte di un radioso futuro nordcoreano.
Non tutto
quello che vediamo muoversi nel campo del centrodestra ci convince, molte proposte ci fanno
storcere il naso, ma resta comunque uno
schieramento non apertamente ostile a tutte quelle istanze che crediamo
importanti per la società italiana.
Per noi il criterio di voto
è riassumibile in questo scioglilingua: appoggiamo non chi fa ciò che vogliamo
noi, ma chi non ci impedisce di fare e pensare quello che vogliamo.
Non
chiedeteci altro. Non abbiamo la sfera di cristallo e non sappiamo cosa accadrà il
giorno dopo le elezioni: se ci sarà una maggioranza adeguata a guidare il paese
e se finalmente si riuscirà a convogliare in una visione, o almeno in un
progetto, le tante energie presenti sul nostro territorio.
Quel che sappiamo, oggi, a pochi giorni dal voto del 4 marzo, è
che, fatta la tara a tutte le possibili e legittime rimostranze e
recriminazioni, esistono ancora delle “cose” cui teniamo, delle presenze in cui
crediamo, una tradizione – quella giudaico cristiana – che riteniamo essere un
patrimonio ancora attuale e vivo, e delle persone che si impegnano a
salvaguardare e rilanciare idee ed esperienze generatrici di una cultura nuova,
pugnace e non mainstream.
L’alternativa è non votare,
lamentarsi, stare fuori dalla mischia. L’alternativa è morire d’inedia e
malanimo, soffocati sotto la mole del pachiderma.
Nessun commento:
Posta un commento