MONS. LUIGI NEGRI
La grande
assente di questa competizione elettorale è una presenza cristiana
autentica, che è poi la grande assente dalla vita della società italiana. Ma
per la Chiesa questa è una sfida a recuperare la propria identità alla
missione, per annunciare Cristo.
Non ho certamente né la competenza né la presunzione di aggiungere una mia
particolare interpretazione alla vicenda elettorale che si è conclusa.
Preferisco invece fare una serie di osservazioni a un livello più fondamentale
della vita politica che richiama inevitabilmente una concezione dell’esistenza
o - come diceva san Giovanni Paolo II - la cultura.
Vincitori e vinti sono per me accomunati
da una totale assenza di cultura, cioè di
una concezione dell’esistenza e quindi di una concezione dei rapporti sociali.
In fondo la concezione della politica è uguale, sia in chi è stato scalzato dal
potere sia in chi lo sostituisce. È una concezione sostanzialmente
materialistica e consumistica.
La grande affermazione dei 5 stelle al Sud
ci dice anzitutto che anche lì è risultata
inesistente, inconsistente e inespressa quella tradizione popolare cattolica
che normalmente era presente nelle vicende culturali e politiche del
Mezzogiorno. Oggi il Mezzogiorno è azzerato nella sua tradizione e gli viene
imposta dal centro ancora una volta una versione della vita e della società
assolutamente estranea alla tradizione del Meridione italiano.
È come se la cultura fosse relegata ai
margini della vita politica. E la
vita politica fosse sostanzialmente ridotta alla possibilità che forze nuove
succedano a quelle che fino ad adesso hanno detenuto il potere, ma per gestire
il cosiddetto potere in un modo sostanzialmente non diverso dal passato.Ora,
che in questa visione sia difficile prevedere una via agevole per arrivare al
governo rende ancora più complessa la situazione, che sicuramente è di grave
difficoltà e di grave confusione.
E qui è necessario parlare della grande
assente di questa competizione politica, che è
poi la grande assente dalla vita della società italiana. Vale a dire una presenza cristiana autentica. Una presenza cristiana che è rimasta ai margini della vita sociale
anche quando si compivano delitti contro la coscienza del popolo, contro la
coscienza della persona. Parlo ad esempio di tutta quella trama di leggi contro
la famiglia che in pochi mesi ha sostanzialmente svuotato la famiglia della sua
identità, della sua missione. La famiglia è stata attaccata nella sua
sostanziale identità, nella sua originale identità di essere un luogo di
presenza gratuita e di responsabilità verso la storia e verso l’umanità.
E tutto questo è accaduto senza che i cattolici abbiano fatto un minimo di resistenza, o meglio c’è stata la resistenza vana di
pochissimi; così pure poco più che un intervento molto flebile è stato fatto
per questa ignobile questione del testamento biologico, che di fatto avvia il
processo dell’eutanasia in Italia.
Appare che questa realtà cattolica italiana - che pure ha avuto una parte rilevante nella tradizione politica, sociale, democratica del nostro paese, oltre ad aver prima avuto una sostanziale capacità di resistenza al regime - sembra votata all’inincidenza. E, per inciso, val la pena ricordare che l’inincidenza è un aspetto dell’inesistenza.
Credo invece che una prova gravissima come quella che ha subito la Chiesa italiana sia come un’ultima occasione per riprendere il senso profondo della propria identità e della propria missione, soprattutto di quella missione di educazione del popolo ai valori fondamentali della vita personale e sociale, che hanno detto nei secoli una responsabilità diretta e inderogabile della Chiesa.
Se la Chiesa non educa, il popolo è abbandonato a se stesso. Ovviamente non perché la Chiesa sia l’unica agenzia educativa; ma perché la Chiesa nella misura in cui è fedele alla propria identità, immette in tutta la società valori grandi a fondazione della vita, valori grandi in quelle che sono espressioni della vita, che non viene banalizzata nell’ambito dei propri piccoli interessi materiali, personali o parentali. Sostiene il grande compito di intervenire attivamente nella vita della società e della storia. Se la Chiesa non educa, non educa la parte più viva del popolo e quindi depaupera tutto il popolo di una presenza attiva.
Quello che ci aspetta forse nei prossimi anni, se vogliamo come cristiani riscuoterci da questo torpore che ci ha avvinto, è chiedere con umiltà al Signore di aiutarci a vivere la nostra missione educativa, cioè di contribuire alla creazione di «un popolo di laici, vivi, attivi e intraprendenti», come augurava al laicato della mia prima diocesi di San Marino Montefeltro papa Benedetto XVI, congedandosi dopo una giornata indimenticabile.
Appare che questa realtà cattolica italiana - che pure ha avuto una parte rilevante nella tradizione politica, sociale, democratica del nostro paese, oltre ad aver prima avuto una sostanziale capacità di resistenza al regime - sembra votata all’inincidenza. E, per inciso, val la pena ricordare che l’inincidenza è un aspetto dell’inesistenza.
Credo invece che una prova gravissima come quella che ha subito la Chiesa italiana sia come un’ultima occasione per riprendere il senso profondo della propria identità e della propria missione, soprattutto di quella missione di educazione del popolo ai valori fondamentali della vita personale e sociale, che hanno detto nei secoli una responsabilità diretta e inderogabile della Chiesa.
Se la Chiesa non educa, il popolo è abbandonato a se stesso. Ovviamente non perché la Chiesa sia l’unica agenzia educativa; ma perché la Chiesa nella misura in cui è fedele alla propria identità, immette in tutta la società valori grandi a fondazione della vita, valori grandi in quelle che sono espressioni della vita, che non viene banalizzata nell’ambito dei propri piccoli interessi materiali, personali o parentali. Sostiene il grande compito di intervenire attivamente nella vita della società e della storia. Se la Chiesa non educa, non educa la parte più viva del popolo e quindi depaupera tutto il popolo di una presenza attiva.
Quello che ci aspetta forse nei prossimi anni, se vogliamo come cristiani riscuoterci da questo torpore che ci ha avvinto, è chiedere con umiltà al Signore di aiutarci a vivere la nostra missione educativa, cioè di contribuire alla creazione di «un popolo di laici, vivi, attivi e intraprendenti», come augurava al laicato della mia prima diocesi di San Marino Montefeltro papa Benedetto XVI, congedandosi dopo una giornata indimenticabile.
Noi non possiamo cercare di combattere il predominio quasi assoluto della mentalità laicista, il pensiero unico dominante, laicista,
consumista e istintivo, con forze ideologiche; a questa marea montante della
banalità, a questa marea montante della meschinità, possiamo opporre una vita
nuova, quella che Cristo ci dona nel battesimo e nell’appartenenza alla Chiesa,
quella che rende così bella la nostra vita quotidiana.
Ma soprattutto ci spinge a uscire dai confini della nostra vita, della nostra storia, per annunziare a ogni uomo che vive accanto a
noi che Cristo è veramente risorto, abita in mezzo a noi; e nella misura in cui
apriamo la nostra vita a Lui, cambia la nostra vita perché attraverso la
nostra vita cambiata possa cambiare il mondo. E questa è la sfida che viene da
questa amarissima sconfitta dei cattolici: recuperare la propria identità alla
missione, per annunziare Cristo, perché da questo annunzio l’uomo possa essere
sempre un uomo salvato.
* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio
* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio
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