Il Pd accusa la destra di oscurantismo per nascondere i propri errori strategici in Senato. I progressisti si ostinano a dividere il mondo in buoni e cattivi, ma la politica non è fatta di emotività e piazze "giuste"
Lorenzo Castellani TEMPI 30 Ottobre 2021
Il ddl Zan è finito come molti pronosticavano già da mesi. Alla volontà di non mediare, e di farne una bandiera di battaglia ideologica, è corrisposto nessun risultato. Il problema è tutto interno al centrosinistra, alla vecchia maggioranza del Conte 2 per capirci.
1. Il Pd reciti un mea culpa.
Addossare alla destra qualche responsabilità fa parte della cortina fumogena per mascherare errori strategici gravi del senatore Alessandro Zan e del segretario del Pd Enrico Letta. La destra fa la destra, difende i suoi valori e la sua visione del mondo. Nessun centrodestra del mondo occidentale avrebbe votato una legge così scritta e concepita, che per altro non allargava i diritti di nessuno ma erigeva soltanto meccanismi punitivi e mirava a introdurre un controllo del linguaggio. Chi grida al clerico-fascismo, al bigottismo, alla reazione in realtà non vuole far altro che continuare il gioco della polarizzazione in cui si è voluta infilare la sinistra.
La destra aveva persino offerta la sua disponibilità alla trattativa a fronte di una modifica del testo, cosa ci si sarebbe dovuto aspettare di diverso da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia? Il problema è tutto interno al recinto di Letta, di una coalizione sempre più debole e sgangherata. E che vede in Matteo Renzi un killer implacabile dell’alleanza progressista a favore della costruzione di un centro autonomo capace di far da ago della bilancia nel prossimo futuro. Ma tutto questo si sapeva oramai da anni. La caccia ai colpevoli e ai traditori è insensata, e nel Pd andrebbe piuttosto recitato un mea culpa.
2. La piazza “piena” non significa molto
Se lo stratagemma di addossare alla destra o a Renzi la responsabilità del fallimento è ridicola, lo è forse ancor di più il tentativo di sostenere che il paese reale sia su questo più avanti delle istituzioni, con il Parlamento nel ruolo di presunto ostaggio di maggioranze oscurantiste. Nessuno conosce gli orientamenti dell’intero corpo elettorale sul ddl Zan, sappiamo soltanto che esistono minoranze fortemente a favore e minoranze fortemente contrarie. Per il resto: nessun sondaggio, nessun referendum e nessun partito che nelle elezioni degli ultimi anni abbia messo in cima alle priorità un provvedimento volto a perseguire presunti reati di omo e transfobia.
Esistono delle manifestazione di piazza certo, ma su quale tema non ci sono adunate pubbliche? Questo del paese “più avanzato” delle istituzioni è lo stesso argomento che si usa per la presunta emergenza climatica, ma anche in questo caso nessuno sa realmente cosa pensi l’intera popolazione dei mezzi per migliorare la qualità dell’ambiente. Anche perché sappiamo come funzionano questi processi: chiunque desidera vivere in un ambiente più salubre e sostenibile, ma le divisioni esplodono quando veniamo ai mezzi (tasse, incentivi, divieti, impatto economico ecc). Tra il desiderio e il risultato pratico delle politiche ci sono di mezzo i sacrifici, i patrimoni, i lavori, la vita delle persone.
3. Il mondo diviso tra buoni e cattivi
L’idea che il paese reale, gli abbonati di Netflix e i telespettatori di X-Factor, siano “più avanti” (leggere: più civili) dei loro rappresentanti è l’ennesima bolla costruita ad hoc da chi fatica a digerire la sconfitta. Semplicemente perché non sappiamo se questo sia vero o meno. E potrebbe pure essere che gran parte della popolazione non sia per nulla interessata a discutere dell’omofobia, che abbia altre priorità o non si sia formata una precisa opinione sull’argomento. Soltanto una visione ideologica e militante pretende di sapere cosa voglia o pensi il popolo, quanto questo sia civile o meno.
Ed è questa visione che ha condannato il centrosinistra sulla legge Zan. Un modo aggressivo di porsi dei progressisti che fa dei loro programmi una perenne battaglia di civiltà fondata sul manicheismo: buoni e cattivi, civili e incivili, fascisti e antifascisti, scienziati e negazionisti. Un sistema che forse può garantire l’egemonia in alcune nicchie della società e istillare una sorta di regime del terrore psicologico in certe categorie professionali, ma che è destinato a sbattersi contro la realtà della democrazia, delle istituzioni e delle relazioni internazionali.
Il progressismo ha oramai trasformato la propria politica in emotività e sentimentalismo. Niente di più sbagliato e dannoso per la vita della democrazia parlamentare. Le istituzioni e le procedure esistono proprio per evitare che le emozioni e i sentimenti prendano il sopravvento nella sfera pubblica. Sono strutture fredde, implacabili, ma necessarie. Si sono formate proprio per frenare le passioni e l’emotività fanciullesca delle fazioni politiche oltre che per delimitare i confini di azione del sovrano. Insomma, puoi anche essere il buon Samaritano, ma senza maggioranza in Parlamento la tua proposta di legge non passa.
4. Una gigantesca ipocrisia
E poi non si può accusare ogni giorno gli avversari di demagogia e irrazionalità per poi comportarsi allo stesso modo; non si possono difendere le istituzioni solo quando queste svantaggiano i nemici; non si possono sempre condannare le pulsioni popolari per poi rivendicarle quando si deve metabolizzare un suicidio parlamentare; non si possono fare campagne contro l’hate speech («non esiste diritto all’odio») per poi utilizzarlo verso la classe politica che non realizza i desiderata delle associazioni LGBTQ. E’ una gigantesca ipocrisia.
Viene da domandare ai progressisti che cosa siano diventati oggi. Per anni si sono fatti portatori di istanze di razionalità e responsabilità nel dibattito pubblico per poi sconfessare del tutto questa posizione finendo nel cul-de-sac dell’ideologia e della identity politics radicale. La Ragione tanto riverita dall’establishment progressista s’è persa in favore dell’emotività, del tribalismo, dell’isteria, della paranoia. L’intervento del Vaticano nel dibattito sul ddl Zan ha dimostrato, invece, cosa siano la tradizione, le istituzioni, la ragionevolezza. Un semplice comunicato d’impostazione diplomatica per delineare i profili problematici della legge in discussione sul piano dei rapporti fra Stato Italiano e Vaticano. Fine.
5. C’è un burrone tra le parti politiche
Nessun influencer, nessuna dichiarazione roboante, nessun appello, nessuna drammatizzazione, nessun complotto. Pura politica, agire razionale dell’istituzione nella sfera pubblica per raggiungere un certo obiettivo. Ed è forse su questo che il mondo progressista dovrebbe riflettere: come si è diventati così irrazionali, ideologici, emotivi? E’ questo un atteggiamento che aiuta la causa o piuttosto contribuisce a sabotarla e a chiudersi nei recinti? Di questo perfettismo, la tendenza a perseguire “il meglio” per sé stessi a qualunque costo senza tenere conto delle condizioni e del contesto, il progressismo non riesce a liberarsi.
Oggi la sinistra, come modi e forme, è esattamente lo specchio della destra nazionalista che tanto critica. Con l’aggravante che per l’inclinazione gramsciana che portano nella genetica i suoi intellettuali, essi pretendono di indottrinare, moraleggiare, indirizzare, esercitare una pedagogia petulante e soprattutto di delegittimare con ogni mezzo tutte quelle posizioni valoriali che non corrispondono alle proprie.
Senza il riconoscimento reciproco tra avversari non può esistere democrazia liberale. Senza l’impiego della ragione individuale nell’agire politico non può esserci concretezza. Senza mediazione, compromesso, dialogo e analisi c’è soltanto una maionese impazzita ed inconcludente di emotività e piagnistei. C’è un burrone sempre più profondo tra le parti politiche, tra le istituzioni e la società; lo scivolamento verso sabotaggi, delegittimazioni, partigianerie distruttive, ideologie ossessive. E sulla gravità di questo pericolo andrebbero per primi civilizzati proprio i progressisti e il loro insostenibile radicalismo.