Secondo Avvenire l’archiviazione dello Zan «non è un bel giorno per la società italiana» e se la prende con gli «odiatori e menatori seriali»; e monsignor Paglia si rammarica del dialogo mancato. Ci sono situazioni in cui bene e male si contrappongono frontalmente. Purtroppo la Chiesa del dialogo non riesce più a vederle.
“Abbiamo vinto!”: il sollievo di
associazioni e singoli cattolici impegnati a bloccare il
disegno di legge Zan sull’omofobia, che avrebbe introdotto
ulteriormente – dopo la legge Cirinnà - l’ideologia gender nel sistema
giuridico italiano, è comprensibile. Il disegno di legge, però, non è stato
affossato perché ritenuto ingiusto secondo le motivazioni di chi ora esulta.
Motivazioni, in buona sostanza, di diritto naturale, ma per una serie di
convergenze di atteggiamenti politici che hanno fatto girare la ruota in questo
senso.
Michela Murgia:"le scuole cattoliche dovranno insegnare il gender" |
Da questo punto di vista, la lunga
battaglia contro il disegno di legge Zan è stata condotta da una piccola
avanguardia, decisa e agguerrita ma comunque piccola e comunque
avanguardia. La cultura prevalente nell’Italia di oggi, quella dominante
più o meno in tutti i partiti, ed anche quella presente nell’apparato ecclesiale
hanno ben altre idee, molto lontane dalle concezioni di famiglia e di doveri e
diritti di chi ha animato e condotto la lotta allo Zan. I cattolici che hanno
lottato lo hanno fatto nella solitudine e perfino nel disprezzo dell’apparato
ecclesiale ad ogni livello, ma soprattutto ai livelli superiori.
Disprezzo che si nota benissimo, per esempio, nell’editoriale di ieri del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. I cattolici che hanno lottato contro l’approvazione del disegno di legge Zan, sono chiamati da Tarquinio “odiatori e menatori seriali”, “seminatori di slogan a buon mercato”, autori di “violenza verbale”. L’archiviazione dello Zan “non è un bel giorno per la società italiana”: così sostiene Tarquinio secondo cui c’è stata come una scatola spaccata a metà, da una parte gli “ideologi dell’indifferenza”, ossia i sostenitori dell’equivalenza delle relazioni sessuate, e dall’altra, appunto, gli “odiatori e menatori seriali”.
Questo quadro, però, è solo nella testa di Tarquinio, il quale, anteponendo dogmaticamente il dialogo ai contenuti, non riesce ormai più a concepire che una legge possa essere irrimediabilmente ingiusta e che su di essa l’unico dialogo possibile con chi invece la sostiene sia la competizione culturale e politica. Lamentare che in questa occasione è mancato il dialogo, come fa appunto Tarquinio, significa negare l’esistenza di leggi talmente ingiuste da interdire moralmente lo stesso dialogo, se non nella versione della disputa, dato che il dialogo non può mai farsi a proposito del male, ma solo nel bene. Il disegno di legge Zan era una di queste leggi, la piccola avanguardia l’aveva capito, i media dell’apparato ecclesiale no.Anche monsignor Paglia, in un suo
commento alla vicenda, dimentica che ci sono situazioni in cui bene e male si
contrappongono frontalmente. Purtroppo la Chiesa del dialogo non riesce più a
vederle e infatti Paglia dice che quel disegno di legge bastava
correggerlo, si augura che venga ripresentato e che, sbolliti gli animi, si
possa ancora dialogare su di esso. Paglia sottolinea la gravità dell’omofobia –
che in realtà è pressoché inesistente nel nostro Paese – ma non sottolinea per
niente la ben più rilevante gravità del riconoscimento politico della relazione
omosessuale, che disarticola e corrode i legami matrimoniali, familiari, la
figliazione, l’educazione e così via. Paglia parla di sovranità del popolo in
democrazia e del bisogno di tener conto dei “diritti di tutti”: ma dove trova
simili concezioni? Non certo nella Dottrina sociale della Chiesa. Anche lui si
dissocia dalla piccola avanguardia e si lamenta per l’occasione perduta.
Quando si lotta in pochi, il merito
aumenta. E quindi onore al merito a quanti, specialmente tra i cattolici, si sono
impegnati. Però bisogna essere consapevoli che non si avrà l’appoggio della
Chiesa organizzata, delle strutture diocesane e pastorali quando si
intraprendono simili battaglie. Bisogna farle sulla propria pelle e questo è
stato ampiamente dimostrato dalle vicende che si sono concluse con l’affossamento
di un testo di legge intrinsecamente iniquo che l’apparato ecclesiastico voleva
limitarsi a modificare qua e là.
Il giorno precedente la votazione in
Senato che ha condannato a morte il disegno di legge Zan, la Congregazione
per la Dottrina della Fede aveva inviato una lettera a Pro Vita &
Famiglia, precisando una cosa che purtroppo non precisa nulla, ossia che sulla
questione gender i cattolici devono rifarsi al Magistero. La cosa era ovvia già
prima della precisazione. I problemi stanno altrove. Spesso su queste cose il
magistero stesso non si rifà al magistero precedente.
Spesso succede che davanti alle scelte
concrete il magistero viene dimenticato e chi lo vuole
ricordare e applicare viene chiamato “odiatore e menatore seriale” dai nemici
interni, fedeli al magistero. Spesso, adducendo motivi pastorali di apertura,
il magistero loda e si relaziona con personaggi e gruppi che fanno l’esatto
opposto di quanto esso aveva insegnato. Sulla questione omosessualità tutto
questo si è verificato in molte occasioni e possiamo realisticamente ritenere
che – a meno di cambi repentini stabiliti dalla provvidenza – avverrà anche nel
prossimo futuro.
STEFANO FONTANA LA NUOVA BUSSOLA
29-10-2021
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