Il cosidetto Ddl Zan in archivio
Un ambizioso ma brutto disegno di legge nato per contrastare in modo specifico omofobia e transfobia (e che ostinatamente non si è voluto ben calibrare se non per renderlo ancora meno centrato sull'obiettivo dichiarato) è stato fermato. Ma non è un bel giorno per la società italiana.
E «il modo ancor m’offende». Non
certo per il libero voto dei senatori della Repubblica, bensì per l’insensata
prova di forza che ha prodotto quest’esito deludente e per il solito coro zeppo
di luoghi comuni che, con qualche felice eccezione, dalle opposte sponde si è
subito levato. «Genderofili» (perdenti) contro «omofobi» (vincenti), in una
sorta di bipartitismo caricaturale e insopportabile.
Ma l’Italia, grazie a Dio e alla civiltà di tantissimi suoi cittadini e
cittadine, non è una terra di odiatori e menatori seriali e neanche di ideologi
dell’indifferenza (umana, morale e sessuale). È perciò politicamente e
civilmente assurdo e autolesionista forzare per incasellarci tutti in questa
scatola di ferro spaccata a metà.
Così si semina vento e si raccoglie tempesta, aggravando fenomeni reali ed
esaltando gli esaltati. Che pure ci sono. Sì, ci sono quelli che insultano e
vessano le persone omosessuali e transessuali, così come ci sono quelli che
pretendono, nel nome dell’«infinita possibilità», di negare la realtà della
differenza sessuale, di maternità e paternità e persino la libertà di
affermarle. Ecco perché argini espliciti a tutto ciò – alla violenza verbale e
fisica sulle persone e a ogni illiberale rimozione e intimidazione
antropologica – vanno posti o mantenuti. E bisogna farlo in modo semplice e
chiaro. Come anche la Chiesa italiana ha raccomandato, per voce dei suoi
vescovi, con buona pace dei, variamente distribuiti, seminatori di slogan a
buon mercato e di pessimo contenuto.
Il ddl Zan era e resta sbagliato, e
su queste pagine l’abbiamo scritto e documentato a fondo, dando spazio a tante
voci, trasversali agli schieramenti eppure silenziate o stravolte dalle pretese
caricaturali di cui sopra. Quella proposta 'idolatrata' da persuasori e
influencer decisi a darla già per approvata in forza di un plebiscitarismo
digitale e mediatico da far accapponare la pelle, era fuori centro in più punti
sul piano concettuale, dell’architettura giuridica e delle sue conseguenze.
Non lo si è voluto ammettere e ora si raccolgono i frutti della
presunzione. Ma meglio
nessuna legge di una cattiva legge, perché di leggi vigenti e cattive o
incattivite (come quelle sulle migrazioni e sulla cittadinanza) ne abbiamo già
troppe, e perché quando si tratta di reati e di libertà, cioè 'dei delitti e
delle pene', non si può essere approssimativi e avventurosamente 'filosofici'.
Lo strepito che si sente non è incoraggiante, ma speriamo che di questo
fallimento si sappia far tesoro.
Marco Tarquinio Avvenire
giovedì 28 ottobre 2021
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