martedì 19 ottobre 2021

LUIGI AMICONE: UNA VITA TRASCORSA NEL MOVIMENTO CON INGENUA BALDANZA E IRRUENTE PASSIONE

 

IL RICORDO DI RODOLFO CASADEI 

Di tre cose sono grato nella vita: di avere incontrato la CL degli anni Settanta, di aver potuto raccontare il martirio dei cristiani perseguitati nel mondo, di avere avuto come direttore Luigi Amicone. Delle tre cose, quella decisiva è stata la terza, perché senza la fiducia incosciente in me di Luigino non sarei mai potuto essere inviato speciale in Medio Oriente e altrove, io che per natura sono introverso e ho un senso pratico molto limitato; e perché è stato lui a mostrarmi un modo virile di continuare ad appartenere al Movimento quando avere i coglioni non sembrava più essere un requisito indispensabile.

Un direttore come nessuno

Non è solo una questione professionale e non è solo una questione di affiliazione ecclesiale. È che le tre esperienze suddette mi hanno modellato l’anima: il mio senso morale, il mio modo di considerare le persone, distinguendo i veri santi dai veri paraculi, la mia estetica, il mio criterio per decidere di dedicare il tempo e le energie a un obiettivo piuttosto che ad altro. Questo è stato possibile grazie alla valorizzazione di cui sono stato oggetto da parte di Gigi. Anche in queste ore alcuni lo descrivono come uno che sembrava vivere in un altro mondo, distratto e disattento al vicino perché affascinato dal lontano. Ma non lo hanno avuto come direttore.

Amicone era unico per il modo in cui leggeva gli articoli dei suoi redattori. Non ho mai visto un superiore compiacersi e rallegrarsi come faceva lui per quello che un suo subordinato aveva scritto. Nel mondo del giornalismo c’è tanta invidia e piccineria: i complimenti fra colleghi spesso sono ipocriti, le rivalità sono fiumi carsici, la difesa del ruolo conquistato è arcigna. Amicone gioiva come un bambino quando gli consegnavi un pezzo arguto e intelligente, mostrava ammirazione sincera per quello che avevi fatto. Ne eri gratificato e quella gratificazione ti spingeva a fare sempre meglio, spazzava via le tentazioni della pigrizia e della routine. Anche adesso tante volte mi capita di scrivere con la stessa disposizione d’animo di quando lui era il mio direttore, pregustando la sua approvazione e i suoi elogi, e come si sarebbero trasformati in un approfondimento di quello che nel mio ragionamento o nel mio racconto era rimasto ancora implicito, e lui aveva colto meglio di me.

 La vita presa a morsi senza sputare

Amicone, lo sanno tutti, era uno dei prediletti di don Giussani. Ne fece il capo del CLU della Cattolica, gli fece scrivere in un libro la cronaca di un pellegrinaggio in Terra Santa che fecero insieme a un centinaio di persone. Non ho frequentato a sufficienza l’iniziatore di Comunione e Liberazione per potere fare paragoni, ma ho sempre notato l’affinità di carattere e di

personalità delle figure di spicco di CL: don Giussani, don Giorgio Pontiggia, maestro di Amicone, don Francesco Ricci (altra persona di cui sono debitore), Enzo Piccinini, Giorgio Vittadini, lo stesso Gigi hanno in comune l’irruenza, la leadership naturale, la vita presa a morsi senza sputare nulla, la curiosità intellettuale e umana; e lo stesso difetto: l’iracondia. Ma Amicone è sempre stato il meno iracondo di tutti, le sue sfuriate si placavano subito. Non era mai implacabile col limite altrui: prendeva in mano la situazione, non umiliava nessuno, redistribuiva le carte e amici come prima.

Amicone rimarrà noto come un grande bastian contrario, quasi un prototipo del genere. Ma deve essere chiaro che non era per niente una posa: era la forma che aveva assunto grazie ai suoi maestri Pontiggia e Giussani, forma che a sua volta lui ha trasmesso a me, e che resta anche il tratto caratteristico di Tempi, il giornale che lui ha fondato. Quando nel 1994 Amicone ha fondato Tempi, unico pazzo convinto che fosse possibile rinverdire i fasti de Il Sabato (che aveva chiuso tre anni prima), l’Italia era investita dal manipulitismo che aveva terremotato il panorama politico italiano e che era la colonna sonora della stampa italiana.

Da Repubblica al Corriere della Sera fino all’Indipendente di Vittorio Feltri, era tutta una caccia al politico ladro. Tempi ospitava interventi di Giuliano Ferrara e Vittorio Sgarbi, intervistava Bettino Craxi al telefono da Hammamet, si faceva querelare da Camillo Davigo. Era già cominciata la demonizzazione di Silvio Berlusconi, e Amicone lo indicava come il leader popolare attorno al quale anche il mondo cattolico avrebbe dovuto raccogliersi. Tutti sbertucciarono Tempi per queste posizioni, e il giornale arrivò sull’orlo della chiusura fra il 2001 e il 2002. Con la svolta del paese a favore del centrodestra anche Tempi decollò ed ebbe i suoi… tempi migliori.

 Un anticonformista genuino

Che l’anticonformismo di Giussani, di Amicone o il mio (e mi scuso di inserirmi come terzo nell’esemplificazione) non sia mai stato una posa si capisce da una cosa senza bisogno di fare tanti discorsi: l’anticonformista genuino paga di persona, viene escluso dai giri buoni, si fa un sacco di nemici, di lui si raccontano cattiverie, si impone nel dibattito pubblico per la sua assertività, il suo coraggio e le sue capacità comunicative, ma resta sempre un outsider. Ditemi se Giussani e Amicone, in vita, non hanno corrisposto a questo identikit.

Quando, tre anni fa, pubblicai una raccolta di miei articoli e commenti sotto il titolo Scritti contrari – Per non annegare nel pensiero liquido, Gigi mi fece la cortesia di scrivere la prefazione. Fu una cosa superlativa: nemmeno mia madre avrebbe saputo parlare tanto bene di me. Mi descrisse come “monaco certosino” del giornalismo (ed è vero: sono un umile artigiano del testo scritto e sono credente) e «un vecchio cavaliere uscito da un film come Il mestiere delle armi»: vero pure questo, tante volte mi son detto di essere nato nell’epoca sbagliata. Sensazione spiacevole attenuata dalla presenza di persone come Amicone e pochi altri. Lo ringraziai dicendogli che era un “coccodrillo” perfetto (coccodrillo è un necrologio scritto quando la persona è ancora in vita e tenuto da parte in attesa dell’infausto evento), e che quando morivo doveva essere ripubblicato tale e quale.

Il destino ha voluto che le cose andassero diversamente, che toccasse a me ricordare lui tornato alla casa del Padre, non con un “coccodrillo” ma con un pezzo improvvisato come questo. Col bel risultato che chi ha letto la prefazione di Amicone al mio libro e ora legge il mio necrologio si rende conto dell’insuperabile gap di qualità fra i due testi, a mio svantaggio. Ma mi devi scusare, Gigi, perché ho scritto con le lacrime agli occhi, senza avere preparato nulla prima: non ho mai nemmeno immaginato di scrivere un “coccodrillo” per te, perché ti percepivo immortale nonostante il tuo tumore. Non so nemmeno tirare fuori un’immagine bella come quella del monaco certosino o del cavaliere antico per definire la tua figura. Riesco solo a immaginarti in compagnia di Pontiggia e di Giussani, mentre discutete accalorati, come se aveste tutta l’Eternità a disposizione.


19 OTTOBRE 2021

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il messaggio di don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, scritto alla famiglia per la morte di Luigi Amicone (nota: Amicone era sposato ed aveva sei figli)


Carissimi Annalena, Francesco, Lucilla, Gloria, Clara, Teresa e Giovanni, vi abbraccio con tutto il cuore e con me lo fa tutto il movimento.  Appena Giorgio mi ha dato la notizia della morte di Luigino, sono andato a rileggere le pagine di un dialogo che ebbe con don Giussani durante l’Equipe del CLU del 1978, a Chiesa Valmalenco. Alla domanda di don Giussani: «Che cos’è per noi il cristianesimo? Badate che dobbiamo trovare una risposta che, anche se io fossi ateo, varrebbe anche per me», molti universitari intervennero, ma nessuna risposta lo convinse. Finché prese la parola Luigino: «Io penso che il cristianesimo sia l’avvenimento del Dio che si è fatto un uomo, e questo uomo si è detto Dio e ha scelto…». Giussani lo interruppe: «Basta, basta: ci siamo! Perché è solo quello il cristianesimo! Il cristianesimo è questo: è un fatto! Un fatto. Guardate ˗ per favore ˗ che non è una questione di gusto, di chiarezza intellettuale o di mettere le cose al loro posto: è una condizione, è la condizione fondamentale di ogni pensare cristiano e di ogni comportamento cristiano. Il cristianesimo è un fatto! Per questo, ragazzi, la nostra fede, il nostro essere cristiani è innanzitutto un fatto che non vi potete strappare più di dosso, con tutte le unghie che voi potete cacciare, perché è il Battesimo che vi ha afferrati».

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leggi anche il ricodo di Daniele Barale

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