“In principio era il Verbo, alla fine le chiacchiere”. Qualche critico feroce ha scritto che l’aforisma di Stanislaw Lec sembra adatto al Sinodo appena iniziato. Perché?
Il 10
ottobre è iniziato A Roma il Sinodo che “si articolerà in tre fasi, tra l’ottobre
del 2021 e l’ottobre del 2023, passando per una fase diocesana, una nazionale e
una continentale, che daranno vita a due differenti Instrumentum
Laboris, fino a quella conclusiva a livello di Chiesa Universale”. Una
valanga di documenti!
Questo Sinodo è stato varato da monsignor con molta enfasi da Mons. Piero
Coda – segretario generale della Commissione teologica internazionale –secondo
cui è “l’avvenimento ecclesiale più importante dopo il Concilio
Vaticano II”. Ha aggiunto: “per la prima volta in duemila anni di storia
della Chiesa, un Sinodo è chiamato a coinvolgere tutto il Popolo di Dio”.
Monsignor Massimo Camisasca, in un bell’articolo su “Avvenire”, ha spiegato che nella tradizione della Chiesa “sinodo” vuol dire “camminare assieme” e quindi accogliersi reciprocamente, nelle tante diversità, e soprattutto accogliere il Salvatore convertendosi e annunciandolo al mondo. Ma attenzione alla tentazione di fare una chiesa nuova e “diversa”, di fidarsi più della sociologia che della fede.
Su questa tentazione pronunciò parole definitive, anni fa, Joseph
Ratzinger: “Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca
disperatamente di renderla come la si desidererebbe… Come nel campo
dell’azione politica si vorrebbe finalmente costruire il mondo
migliore, così si pensa, si dovrebbe finalmente metter su anche la Chiesa
migliore”
Solo che in politica “tutto ciò che una maggioranza decide può venire
abrogato da un’altra maggioranza. Una Chiesa che riposi sulle decisioni
di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. Essa è ridotta
al livello di ciò che è plausibile, di quanto è frutto della propria
azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. L’opinione sostituisce la fede”.
Ratzinger concludeva: “noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far
conoscere quanto ha fatto lui. La Chiesa non comincia con il ‘fare’
nostro, ma con il ‘fare’ e il ‘parlare’ di Dio. Così gli Apostoli non hanno
detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa, e con la forma
di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno pregato e in
preghiera hanno aspettato, perché sapevano che solo Dio stesso può creare la
sua Chiesa, che Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre cose sono
solo le nostre e sono insufficienti”.
Può sembrare che Ratzinger consigli la passività, ma è il contrario.
E c’è una prova storica. Negli anni del post-concilio e
dopo il ’68, la Chiesa visse una crisi analoga a quella di oggi. Lo
smarrimento fu enorme, migliaia di preti abbandonarono l’abito, il mondo
cattolico era allo sbando dietro alle ideologie più in voga. Sembrava la
fine almeno della Chiesa. Poi d’improvviso una sera di ottobre
arrivò il ciclone Wojtyla e tutto cambiò, anche con l’esplosione dei movimenti,
“la primavera della Chiesa”.
Come diceva Ratzinger, sono
sempre stati i santi a rinnovare la Chiesa, mai i riformatori.
Grazie all’azione misteriosa dell’unico che conosce la via per uscire dal
sepolcro.
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