LA STORIA DELLA POLONIA CHE L'EUROPA HA DIMENTICATO
Unione, Costituzione e nazione. Ursula
von der Leyen evoca punizioni contro Varsavia che rivendica il primato della
legge dello Stato, il premier polacco Morawiecki risponde: "Non accettiamo
ricatti". Un viaggio nel passato di un paese che più di tutti ha pagato
gli orrori delle guerre e delle dittature
di Marco Patricelli
Dal «ce lo chiede l’Europa» al «ce lo impone
l’Europa» c’è di mezzo un fiume: la Vistola. Se la Storia fosse meno
annusata e più conosciuta, a Bruxelles dovrebbero sapere che i polacchi, quando
c’è da combattere, combattono. E più di tutti
dovrebbe saperlo la commissaria tedesca Ursula von der Leyen che dal podio -
col ditino alzato - secondo alcuni avrebbe demolito la Polonia senza neppure
una divisione corazzata, mentre in realtà è andata a sbattere il muso contro il
premier polacco Tadeusz Morawiecki che gli ha opposto un netto «non accettiamo
ricatti».
E ha ricordato in sintesi, non senza
ragioni, che parecchie volte nella storia la Polonia ha salvato l’Europa,
ricevendone peraltro in cambio oblio e ingratitudine. Si è limitato alla lotta
contro il bolscevismo e a quella contro il nazismo, con la vittoria polacca
nella guerra del 1920 contro i russi che impedì il dilagare della rivoluzione
comunista nel cuore del Vecchio Continente stremato dal primo conflitto
mondiale, e quella contro la Wermacht dei nonni della von del Leyen che fece da
argine a Hitler, tant’è che la Polonia, pur sconfitta sul campo, non si arrese
mai e per somma irriconoscenza venne trattata da Paese sconfitto e consegnata
nelle braccia tutt’altro che amorevoli di quel campione della democrazia che
era Stalin.
L’elenco in realtà
sarebbe lungo, a partire dalla schiacciante vittoria del 1683 del re Giovanni III (Jan Sobieski) sui turchi che assediavano Vienna, a capo dell’unico esercito europeo ancora degno di tale nome, il quale impedì che oggi dovessimo inginocchiarci verso la Mecca: il secolo dopo Russia, Prussia e Austria si spartirono la Polonia. Se l’Inghilterra nel 1940 riuscì a resistere nella Battaglia area lo deve ai piloti della Raf ma soprattutto ai polacchi che vantano il più alto numero di abbattimenti di bombardieri e caccia della Luftwaffe e il minore di perdite; lo deve al fatto che tre critto-analisti polacchi consegnarono nel 1939 copie della macchina Enigma e le formule matematiche per decifrare i messaggi militari tedeschi, consentendo ad Alan Turing di contribuire a vincere la guerra; lo deve al sacrificio dei combattenti dell’Armia Krajowa che fornirono ogni sorta di informazione pagata con le torture, le deportazioni e la morte, compresi pezzi delle temutissime V2; lo deve ai soldati del generale Anders caduti a frotte in Africa e soprattutto in Italia combattendo «per la nostra e la vostra libertà». Altro che volenterosi co-carnefici di Hitler, corresponsabili addirittura della Shoah, come certa stampa mal informata o in malafede preconcetta continua irresponsabilmente a veicolare: il più alto numero di Giusti tra le nazioni è costituito da polacchi e la Polonia ha pagato alla guerra e allo sterminio con la vita di 6 milioni di abitanti, ovvero di un polacco ogni sei.L’Europa tutto questo l’ha
dimenticato mettendo sotto accusa un Paese la cui Corte costituzionale ha
affermato l’ovvio: la Costituzione è la principale fonte del diritto che non
può essere subordinata alla sovrastruttura dell’Ue. Qualsiasi studentello di
Legge lo sa, anche perché gli elementi fondanti di uno Stato sono tre: un
popolo, un territorio, un ordinamento. Punto. La Costituzione è la fons
fontium di ogni Stato di diritto e nella gerarchia delle fonti
tutto va a essa armonizzato. Chiaro che il problema non è in realtà giuridico,
ma è prettamente politico, con la presunzione degli eurocrati di stabilire
dall’alto e far calare ciò che è “giusto” e ciò che non lo è, arrogandosi anche
il potere di dare patenti di democraticità.
La democrazia, invece, o è o non è, ci piaccia o non ci piaccia. L’Europa sovranazionale il suo treno l’ha perso quando rinunciò a dotarsi di una Costituzione, e da allora arranca nel difendere un corpo senz’anima, cosa che ha dato la stura a parlare di Unione economica, di banchieri e di burocrati. Romano Prodi dichiarò che «con il naufragio della Costituzione, le spoglie di quello che sarebbe dovuto essere un super-governo europeo, vennero fatte a pezzi e i Paesi più forti si accaparrarono i ruoli di maggior rilievo. Oggi, di fatto, la Germania esercita le funzioni di Cancelliere e di ministro dell'Economia dell'Europa. E la Francia quelle di ministro degli Esteri e della Difesa». Guarda caso il Paese che fece naufragare il progetto nel 2005 bocciando il referendum e quello che pretende di guidare le sorti continentali.
Il 29 ottobre 2004 furono 25 i capi di Stato e di Governo, con altrettanti ministri degli
Esteri, al tavolo della Sala degli Orazi e dei Curiazi al Campidoglio dove era
stato solennemente posizionato un ponderoso volume contenente 448 articoli e 36
protocolli. Le stilografiche schizzarono inchiostro e ottimismo che sprizzava
altresì dai volti del cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, del presidente
francese Jacques Chirac e del premier italiano Silvio Berlusconi affiancato dal
ministro degli Esteri Franco Frattini. Francesi e olandesi, di lì a poco, a
maggio, seppellirono tutto e tutti con la sonora bocciatura del referendum, che
peraltro sanciva in maniera più rumorosa le continue e dissanguanti imboscate
francesi e britanniche. Per chi ha la memoria corta, si ricorda che il 23
giugno 2007, un documento allegato alle Conclusioni della Presidenza del Consiglio
europeo (21-22 giugno), annunciava: «The constitutional concept, which consisted in
repealing all existing Treaties ad replacing them by a single text called
“Constitution”, is abandoned». Niente rifondazione di
sovranità, dunque, con delega a Bruxelles che adesso pretende di succhiarla a
Varsavia col ricatto economico: o vi adeguate o chiudiamo i rubinetti dei fondi
europei. In nome di un
principio astratto, appunto, quella democrazia che viene interpretata a
corrente alternata: vale per i polacchi ma non per i tedeschi e neppure per i
francesi che in sostanza hanno fatto la stessa cosa ma ben prima della Polonia
senza che nessuno insorgesse: nessuna delega di sovranità e nessuna cessione
di legittimità in riva alla Senna e lungo il corso della Sprea in nome della
costituzione nazionale, ma deve esserci sulla linea della Vistola.
Quando venne
lanciata la Convenzione
europea che avrebbe dovuto scrivere la nuova Carta costituzionale, presieduta
da Giscard d'Estaing, un suo vice era Giuliano Amato, che potrebbe raccontare
come e perché non se ne venne a capo. Persino il progetto Penelope del
presidente della Commissione europea Romano Prodi (ancora lui), venne tritato
dalle resistenze franco-britanniche. Oggi, invece, la Polonia dovrebbe
ammainare la bandiera senza combattere perché glielo chiede l’Europa, perché i
polacchi sono anche i “cattivoni” che non vogliono i migranti (che l’Europa
lascia tutti in Italia, non volendoli nessuno, nonostante i bei proclami) e
vuole costruire muri. Con una morale, al solito, a corrente alternata.
Non si
ricordano campagne di
stampa di solidarietà ai polacchi che assorbirono centinaia di migliaia di
ucraini profughi della guerra di aggressione scatenata da Putin, ai quali sono
stati assicurati un tetto e lavoro; non si ricordano neppure vesti strappate
per le continue violazioni dei diritti della minoranza polacca in Bielorussia
da parte di quell’altro campione di democrazia che è Aljaksandr Lukashenko, che
fa notizia quando fa dirottare un aereo per mettere le mani su un oppositore ma
non quando rimuove i deputati polacchi eletti sostituendoli con chi gli aggrada
o arrestandoli. È lo stesso galantuomo che
riversa migranti contro gli Stati baltici e contro la Polonia come arma di
pressione politica. Proprio lì, al confine orientale di un’Europa strabica e
schizofrenica che passa dalla lunghezza delle zucchine alle misure della
democrazia col metro variabile dell’opportunità a senso unico.
TRATTO DA LIST
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