mercoledì 25 gennaio 2017

PERCHE' SOLO NEL CASO DI UN DIVORZIATO RISPOSATO?

In calce ad un suo post sul film “SILENCE”, che contiene un commento da leggere,


Leonardo Lugaresi è tornato sul tema dell’Amoris Laetitia:

(…) I Vescovi di Malta l'altro giorno si sono riuniti in conferenza episcopale (fanno presto, perché sono solo in due) e hanno detto la loro come applicare le indicazioni della Amoris Laetitia. Pare che il punto cruciale della dichiarazione sia il seguente:

«If, as a result of the process of discernment, undertaken with “humility, discretion and love for the Church and her teaching, in a sincere search for God’s will and a desire to make a more perfect response to it” (AL 300), a separated or divorced person who is living in a new relationship manages, with an informed and enlightened conscience, to acknowledge and believe that he or she are at peace with God, he or she cannot be precluded from participating in the sacraments of Reconciliation and the Eucharist (see AL, notes 336 and 351)».

Suona bene, e io non ho certo le competenze né l'autorità per criticare alcunché. Però c'è qualcosa che non capisco (e non per via dell'inglese).

Dicono che se un divorziato risposato, avendo fatto tutto quel bel percorso di presa di coscienza, «manages to acknoledge and believe that he or she are at peace with God» (“arriva a riconoscere e credre di essere in pace con Dio”), non gli può essere impedito di partecipare al sacramento della riconciliazione: ma, a parte il fatto che nessuno mai ha pensato di impedirglielo, perché mai quel tale o quella tale dovrebbe andare a confessarsi? Se uno è sano, non ha bisogno del medico: chi sa o crede di essere in pace con Dio, perché dovrebbe far perdere tempo a un prete?


E un'altra cosa non mi è chiara: perché questo dovrebbe valere solo nel caso di un divorziato risposato? Non potrebbe funzionare anche in tutti gli altri casi?

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