Il bene morale per la vita della Chiesa e del Mondo
VERITATIS SPLENDOR
Lettera Enciclica sui fondamenti dell'insegnamento morale della Chiesa
SAN GIOVANNI PAOLO II
Il martirio, esaltazione della santità
inviolabile della legge di Dio
90. Il
rapporto tra fede e morale splende in tutto il suo fulgore nel rispetto incondizionato che si deve
alle esigenze insopprimibili della dignità personale di ogni uomo, a quelle esigenze difese dalle
norme morali che proibiscono senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi.
L'universalità e l'immutabilità della norma morale manifestano e, nello stesso
tempo, si pongono a tutela della dignità personale, ossia dell'inviolabilità dell'uomo,
sul cui volto brilla lo splendore di Dio (cf Gn 9,5-6).
Rubens, San Sebastiano |
L'inaccettabilità
delle teorie etiche «teleologiche», «consequenzia- liste» e «proporzionaliste»,
che negano l'esistenza di norme morali negative riguardanti comportamenti
determinati e valide senza eccezioni, trova una conferma particolarmente
eloquente nel fatto del martirio cristiano, che ha sempre accompagnato e
accompagna tuttora la vita della Chiesa. ( omissis)
92. Nel
martirio come affermazione dell'inviolabilità dell'ordine morale risplendono la
santità della legge di Dio e insieme l'intangibilità della dignità personale
dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: è una dignità che non è mai
permesso di svilire o di contrastare, sia pure con buone intenzioni, qualunque
siano le difficoltà. Gesù ci ammonisce con la massima severità: «Che giova
all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8,36).
Il
martirio sconfessa come illusorio e falso ogni «significato umano» che si
pretendesse di attribuire, pur in condizioni «eccezionali», all'atto in se
stesso moralmente cattivo; ancor più ne rivela apertamente il vero volto:
quello di una violazione
dell'«umanità» dell'uomo, prima
ancora in chi lo compie che non in chi lo subisce. Il
martirio è quindi anche esaltazione della perfetta «umanità» e della vera
«vita» della persona, come testimonia sant'Ignazio di Antiochia rivolgendosi ai
cristiani di Roma, luogo del suo martirio: «Abbiate compassione di me,
fratelli: non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia... Lasciate che
io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò
veramente uomo. Lasciate che
io imiti la passione del mio Dio».
93. Il
martirio è infine un segno
preclaro della santità della Chiesa: la
fedeltà alla legge santa di Dio, testimoniata con la morte, è annuncio solenne
e impegno missionario usque ad
sanguinem perché lo splendore
della verità morale non sia offuscato nel costume e nella mentalità delle
persone e della società. Una simile testimonianza offre un contributo di
straordinario valore perché, non solo nella società civile ma anche all'interno
delle stesse comunità ecclesiali, non si precipiti nella crisi più pericolosa
che può affliggere l'uomo: la confusione
del bene e del male, che
rende impossibile costruire e conservare l'ordine morale dei singoli e delle
comunità. I martiri, e più ampiamente tutti i santi nella Chiesa, con l'esempio
eloquente e affascinante di una vita totalmente trasfigurata dallo splendore
della verità morale, illuminano ogni epoca della storia risvegliandone il senso
morale. Dando piena testimonianza al bene, essi sono un vivente rimprovero a
quanti trasgrediscono la legge (cf Sap 2, 12) e fanno risuonare con
permanente attualità le parole del profeta: «Guai a coloro che chiamano bene il
male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che
cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro» (Is 5,20).
Se il
martirio rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale, a cui
relativamente pochi possono essere chiamati, vi è nondimento una coerente
testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche
a costo di sofferenze e di gravi sacrifici. Infatti di fronte alle molteplici
difficoltà che anche nelle circostanze più ordinarie la fedeltà all'ordine
morale può esigere, il cristiano è chiamato, con la grazia di Dio invocata
nella preghiera, ad un impegno talvolta eroico, sostenuto dalla virtù della
fortezza, mediante la quale — come insegna san Gregorio Magno — egli può
perfino «amare le difficoltà di questo mondo in vista del premio eterno».
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