BASTA
PROSELITISMO, È TEMPO DI "SILENCE"
Ma tornando a "La Civiltà Cattolica", ciò che più colpisce è l'attualizzazione che essa fa della
vicenda storica di "Silence".
Sull'ultimo numero della rivista c'è un articolo su ciò che dovrebbe essere
oggi "la missione nel
Giappone secolarizzato" in cui l'autore, il gesuita
giapponese Shun'ichi Takayanagi, dà
per obbligato "un mutamento di paradigma nei confronti del concetto di
missione e dei modi di esercitarla".
A giudizio di padre Takayanagi, infatti, il tipo di missione in uso anche
in Giappone fino a pochi decenni fa, che "mirava a risultati visibili e
concreti, cioè a un gran numero di battezzati", oggi non solo "non è
più possibile", ma è superato e da sostituire in blocco.
Egli scrive:
"Anche se la 'missione' ha ottenuto un grande risultato nel Giappone
del XVI secolo, non è più possibile raggiungere un simile successo nei tempi
odierni, caratterizzati da un rapido progresso della cultura materiale e da un
elevato livello di vita. Proprio per
questo l’antiquata concezione della missione, che proviene dall’epoca coloniale
occidentale del XIX secolo e sopravvive nel subconscio di molti missionari,
stranieri e autoctoni, deve essere sostituita da una nuova concezione del
popolo con il quale e per il quale si lavora.
La nuova strategia dell’annuncio
del Vangelo deve diventare espressione del bisogno di religione degli uomini di
oggi. Il dialogo deve approfondire la nostra concezione delle altre religioni e
della comune esigenza umana di valori religiosi".
Secondo "La Civiltà Cattolica", dunque, all'"antiquato"
concetto di missione, cioè "fare proseliti e procurare convertiti alla
Chiesa", va sostituito il "dialogo". Tanto più in un paese come
il Giappone in cui è normale "andare a un santuario scintoista e prendere
parte a feste buddiste, e anche partecipare, a Natale, a una liturgia
cristiana", senza più lo "strano obbligo di seguire un determinato
credo religioso" e "in un’atmosfera culturale vagamente non
monoteista".
Sul finire del suo articolo padre Takayanagi sottolinea che i giapponesi,
pur apertissimi al pluralismo religioso, "rimangono sconvolti da qualche
episodio brutale che può essere ricondotto a radici religiose", islamiche
ma non solo.
E così commenta:
"Certamente la religione può far crescere e maturare gli uomini, ma in
casi estremi l’appartenenza a una religione può anche pervertire la natura
umana. Il cristianesimo è in grado di impedire il fanatismo e questa sorta di
perversione? Questo è per noi un interrogativo assillante, che dobbiamo porci
nell’esercizio della nostra attività missionaria. La storia passata del
cristianesimo, a questo riguardo, non è certo ineccepibile. […] In particolare,
alcuni intellettuali giapponesi, sebbene in maniera vaga e quasi inconscia e
ispirandosi alla cultura politeistica giapponese, cominciano a chiedersi se le
religioni monoteiste, in ultima analisi, possano mostrarsi veramente tolleranti
verso i membri di altre religioni. […] Questi intellettuali ritengono che il
terreno culturale politeista dello scintoismo giapponese possa assicurare un
approdo morbido alle altre religioni".
Il 4 gennaio ampi stralci di questo articolo de "La Civiltà
Cattolica" sono usciti anche su "L'Osservatore
Romano".
Il che non deve sorprendere.
Perché già altre volte "L'Osservatore Romano" ha fatto l'apologia di
un paradigma di missione finalizzato alla "comune esigenza umana di valori
religiosi", come quello ora propugnato dalla rivista diretta da padre
Spadaro.
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