Adam
Smith a Pechino
Il
presidente cinese alfiere del capitalismo e della globalizzazione che diventa
il nuovo idolo dell’Homo Davos ci
mancava tra le esperienze psichedeliche del presente. Fatto.
L’applauso, il conforto, l’ammirazione,
l’empatia per la chiara appartenenza del sincero democratico Xi al club
dell’élite in progress riunito sulle alture innevate della Svizzera è qualcosa
di straordinario. Mentre Shakira dispensava lezioni civiche alle masse e Matt
Demon informava il popolo sul destino della storia, l’Homo Davos costruiva un
nuovo totem di derivazione pechinese.
Il pubblico non è stato sfiorato neanche per un nanosecondo
dal pensiero di quella cosa chiamata “libertà”. Si sa, l’Homo Davos non si
perde nei dettagli, bada al sodo.
Egli
non può fare lo slalom in pista, consumare cocktail al Tonic Bar e
contemporaneamente ricordare che nella classifica sulla libertà economica
compilata ogni anno dalla Heritage Foundation, la Cina nel 2016 si è piazzata al 144° posto.
Gli
Stati Uniti del protezionista Trump, quello che oh, signora mia e
della signora Melania che no, gli stilisti del jet set, assolutamente non
vestiranno mai, ecco gli Stati Uniti sono all’11° posto e questa
lieve differenza dovrebbe indurre a qualche riflessione.
L’Homo Davos non sente
questi problemi, separa denaro e libertà, profitto e dittatura, dove
naturalmente il denaro, il profitto (e la libertà) sono solo suoi e la
dittatura è degli altri e in fondo dà una certa sicurezza per concludere ottimi
affari.
L’establishment
si riunisce nella località svizzera con il solito contorno di jet personali (e
grande preoccupazione per l’ambiente), champagne in villa (e un pensiero ai
diseredati del mondo), un salto al Tonic Bar (e una riflessione profonda, mi
raccomando, sulla disoccupazione). Che bravi.
Ah, en passant, non
ci sarà nessuno della nuova amministrazione americana.
A Davos passano con
eleganza da Adam Smith a Mao. Segno dei tempi, basta leggere le cronache dei
giornaloni per capire che aria tira per l’élite. Basta con gli autocrati che
urlano Make America Great Again. Meglio applaudire il democratico presidente
cinese Xi Jinping,
Così
il campione della libertà, il presidente
Xi a cui il partito comunista cinese vuole concedere il culto della
personalità che fu di Mao, diventa un faro per il business, mentre Trump è il
nemico, l’estraneo al clan dei benpensanti.
Questo smarrimento
ideale, questo sonnambulismo acuto dell’Homo Davos – la
sigla ha il copyright di un genio della scienza politica, Samuel Huntington – è la punta dell’iceberg, la boa luminosa
della crisi della contemporaneità, la sua manifestazione comica à la
Davos, l’aggiornamento del software del Dittatore. Sono tempi duri e non
abbiamo neppure la consolazione di Chaplin.
Dunque per Xi Jinping la
globalizzazione non è il problema.
Al
vicepresidente degli Stati Uniti Jo Biden, il signor Made in China ha detto che
bisogna costruire relazioni durature con l’America (Biden non sarà più alla
Casa Bianca) e al presidente dell’Ucraina Poroshenko ha detto che la Cina avrà
un ruolo costruttivo per la pace.
Dunque,
riepiloghiamo: Xi è contro Trump (globalizzazione vs protezionismo) e anche
contro Putin (Russia vs Ucraina). Eccolo, il risiko che comincia il 20 gennaio
con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca: Stati Uniti-Russia-Cina.
Washington
che cerca di frenare il dominio demografico, economico e (più tardi) militare
di Pechino cercando una sponda con la Russia. E’ tutto molto semplice, ma
terribilmente difficile da affrontare senza far bruciare la polvere da sparo.
Buona giornata.
Salvatore Sechi
da ilfoglio-list
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