giovedì 19 gennaio 2017

HOMO DAVOS

Adam Smith a Pechino

Il presidente cinese alfiere del capitalismo e della globalizzazione che diventa il nuovo idolo dell’Homo Davos ci mancava tra le esperienze psichedeliche del presente. Fatto. 
L’applauso, il conforto, l’ammirazione, l’empatia per la chiara appartenenza del sincero democratico Xi al club dell’élite in progress riunito sulle alture innevate della Svizzera è qualcosa di straordinario. Mentre Shakira dispensava lezioni civiche alle masse e Matt Demon informava il popolo sul destino della storia, l’Homo Davos costruiva un nuovo totem di derivazione pechinese.

Il pubblico non è stato sfiorato neanche per un nanosecondo dal pensiero di quella cosa chiamata “libertà”. Si sa, l’Homo Davos non si perde nei dettagli, bada al sodo.

Egli non può fare lo slalom in pista, consumare cocktail al Tonic Bar e contemporaneamente ricordare che nella classifica sulla libertà economica compilata ogni anno dalla Heritage Foundation, la Cina nel 2016 si è piazzata al 144° posto. 
Gli Stati Uniti del protezionista Trump, quello che oh, signora mia e della signora Melania che no, gli stilisti del jet set, assolutamente non vestiranno mai, ecco gli Stati Uniti sono all’11° posto e questa lieve differenza dovrebbe indurre a qualche riflessione.

L’Homo Davos non sente questi problemi, separa denaro e libertà, profitto e dittatura, dove naturalmente il denaro, il profitto (e la libertà) sono solo suoi e la dittatura è degli altri e in fondo dà una certa sicurezza per concludere ottimi affari.
L’establishment si riunisce nella località svizzera con il solito contorno di jet personali (e grande preoccupazione per l’ambiente), champagne in villa (e un pensiero ai diseredati del mondo), un salto al Tonic Bar (e una riflessione profonda, mi raccomando, sulla disoccupazione). Che bravi. 
Ah, en passant, non ci sarà nessuno della nuova amministrazione americana. 

A Davos passano con eleganza da Adam Smith a Mao. Segno dei tempi, basta leggere le cronache dei giornaloni per capire che aria tira per l’élite. Basta con gli autocrati che urlano Make America Great Again. Meglio applaudire il democratico presidente cinese Xi Jinping,

Così il campione della libertà, il presidente Xi a cui il partito comunista cinese vuole concedere il culto della personalità che fu di Mao, diventa un faro per il business, mentre Trump è il nemico, l’estraneo al clan dei benpensanti.

Questo smarrimento ideale, questo sonnambulismo acuto dell’Homo Davos – la sigla ha il copyright di un genio della scienza politica, Samuel Huntington – è la punta dell’iceberg, la boa luminosa della crisi della contemporaneità, la sua manifestazione comica à la Davos, l’aggiornamento del software del Dittatore. Sono tempi duri e non abbiamo neppure la consolazione di Chaplin.

Dunque per Xi Jinping la globalizzazione non è il problema. 
Al vicepresidente degli Stati Uniti Jo Biden, il signor Made in China ha detto che bisogna costruire relazioni durature con l’America (Biden non sarà più alla Casa Bianca) e al presidente dell’Ucraina Poroshenko ha detto che la Cina avrà un ruolo costruttivo per la pace.
Dunque, riepiloghiamo: Xi è contro Trump (globalizzazione vs protezionismo) e anche contro Putin (Russia vs Ucraina). Eccolo, il risiko che comincia il 20 gennaio con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca: Stati Uniti-Russia-Cina.


Washington che cerca di frenare il dominio demografico, economico e (più tardi) militare di Pechino cercando una sponda con la Russia. E’ tutto molto semplice, ma terribilmente difficile da affrontare senza far bruciare la polvere da sparo. Buona giornata.

Salvatore Sechi
da ilfoglio-list

Nessun commento:

Posta un commento