lunedì 31 dicembre 2012

LA FORTUNA DI APPARTENERGLI


GIACOMO BIFFI

DALL’ OMELIA NEL "TE DEUM" DI FINE ANNO

Venerdì 31 dicembre 2000, ore 18.00, Basilica di San Petronio

(...) Un po’ più di saggezza di quanto l’umanità non abbia dimostrato in questi decenni, in particolare per quel che si riferisce alle norme fondamentali di comportamento, alla salvaguardia dell’istituto familiare, all’educazione delle nuove generazioni e in genere al rispetto della retta ragione. Ed è, questo, un auspicio accorato perché - come ha lasciato scritto Bonhoeffer prima di essere ucciso da miserabili che credevano di essere superuomini - "contro la stupidità siamo senza difesa".

E un po’ più di pietà, dopo tutto il sangue inutilmente versato nel Novecento, dopo le vite innocenti legalmente sacrificate sull’altare dell’egoismo, dopo gli spaventosi genocidi perpetrati dalle diverse ideologie anticristiane e quindi antiumane. Nessuna epoca della storia - quando la storia non sia infiorata di bugie - può essere giudicata più crudele, più oppressiva, più cruenta del secolo ventesimo; di quel secolo che pure era iniziato proponendo con laicistico candore la religione del progresso e il mito di una felicità terrestre universale.

La nostra attesa fiduciosa perciò è che le innegabili conquiste della scienza e della tecnica, nonché la più ampia diffusione del benessere economico e sociale, non vengano più attuate a spese di ciò che nella natura e nella dignità dell’uomo è essenziale e primario.

Che cosa augureremo poi a quanti nel battesimo sono stati consacrati al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo? Prima di tutto di riscoprire sul serio Gesù di Nazaret per quello che è: l’unigenito eterno di Dio, che nel grembo di Maria è diventato per sempre nostro fratello; il Signore della storia e dei cuori, che è il centro e il senso dell’unica nostra vita; la sola speranza vera e non deludente, in un mondo che di speranze vere e non deludenti non è in grado di offrirne a nessuno. E poiché è l’unico Salvatore di tutti, a tutti deve essere da noi annunciato e testimoniato con la franchezza del nostro dire e la coerenza del nostro operare.

Il secondo augurio che ci facciamo è di renderci conto della nostra fortuna di appartenere alla Chiesa Cattolica, la quale è il capolavoro di Dio: una realtà che riesce a essere santa e senza macchia pur essendo composta da noi peccatori. Essere membra vive del Corpo di Cristo deve tornare a costituire la ragione della nostra gioia più intensa e della nostra più motivata fierezza(...)

 

domenica 30 dicembre 2012

FRATTAGLIE E FRATTINI DELLA POLITICA


Ma secondo voi a che regno appartiene Franco Frattini? Vegetale, minerale, virtuale?

Marcello Veneziani - Dom, 30/12/2012 - da Il Giornale
Ma secondo voi a che regno appartiene Franco Frattini? Vegetale, minerale, virtuale? Non sono mai riuscito a capire cos'è, a che serve, che ci sta a fare.

Non riesco a distinguere tra la sua assenza e la sua presenza, non mi accorgo se è entrato o se è uscito in un governo, da un partito, in parlamento. Mi pare un vano e accessorio. Segni particolari nessuno. Pensa con l'inchiostro simpatico, sparisce ogni cosa che fa, che dice. Nessuno può elogiarlo o rimproverargli qualcosa, non lascia tracce, non sporca e nemmeno pulisce, scivola via come acqua tiepida, incolore, inodore, insapore. È trasparente, si può attraversare da parte a parte senza incontrare resistenza. Non so se di questi tempi la sua irrilevanza sia un pregio e perfino una virtù, può darsi; meglio essere inutili che nocivi, meglio non lasciare impronte che pasticci. Chi può dire di lui se è di destra, di centro o di sinistra, se è un tecnico, un politico o una guardia giurata. È così moderato da essere impercettibile. Il suo passaggio non è rilevato da nessuna fotocellula. Leggo sue dichiarazioni, interviste, e temo che qualcuno poi ne chieda il succo, sarebbe come versare il niente nel nulla. Nutro simpatia per lui, alias Scialby, e non ho questo giudizio solo ora che è un transagender, cioè passato ad adorare l'Agenda Monti. Niente di personale o di massonico. Lo vedo solo come un campione, un fenotipo, una conferma che siamo giunti allo stato frattale della politica, come direbbe Baudrillard; del politico galleggiano frattaglie e frattini.

CATTOCOMUNISTI: SANT'EGIDIO LA LOBBY ROSSA DEI FINTI POVERI


Pauperismo e marketing. Terzomondismo, ma senza perdere la consuetudine con il potere. L'abilità è la prima virtù nella comunità di Sant'Egidio, uno degli snodi strategici nelle ore in cui Monti sta partorendo la sua creatura.

E la nascita è assistita dai guru della comunità, elegante biglietto da visita delle migliori istanze pacifiste della nostra epoca. Sant'Egidio ha meriti indubbi, per esempio aver portato la pace nel Mozambico devastato da una lunghissima guerra civile, ma Sant'Egidio gode anche di buona stampa.

Specialmente quella di sinistra che poi è quella che forma buona parte della coscienza nazionale. E Sant'Egidio ha ottime entrature nei palazzi che contano, nelle stanze di chi comanda, nelle sagrestie più accreditate. Così quando nel 1992 la diplomazia parallela della comunità fece scoppiare la pace nel paese africano, nessuno si ricordò dell'opera preziosa e infaticabile del sottosegretario Gabrielli. I giornali lo oscurarono, come capita in una eclissi, e tributarono la standing ovation d'ordinanza alla comunità romana.

Il Cardinale Richelieu
In principio, un trentina d'anni fa, c'erano due preti. Don Vincenzo Paglia,
 
classe 1945, e don Matteo Zuppi, di dieci anni più giovane. Il primo è stato per molti anni parroco della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, l'altro il suo vice. Poi, sia pure a tappe, entrambi hanno fatto carriera. Oggi Paglia è vescovo di Terni, Zuppi è vescovo ausiliare di Roma con raggio d'azione fra i vip del centro storico. Il terzo del gruppo, Andrea Riccardi esce dai fermenti postsessantottini del Virgilio, uno dei licei storici della Capitale. I tre fondano Sant'Egidio, una comunità che mette le proprie energie al servizio dei poveri. È un po' la loro chiave di violino: il cristianesimo viene a liberare gli ultimi. E i poveri, per loro, sono soprattutto quelli che non ce la fanno, che non arrivano alla fine del mese, che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Intendiamoci: non c'è niente di più cristiano, ma l'enfasi è tutta in quella direzione perché Nostro Signore è venuto a salvare tutti, chi sta bene e chi se la passa male. Insomma, la realtà viene letta con il cannocchiale della tradizione cattolica democratica. Un menù perfetto per la sinistra, anche se la comunità sa essere trasversale.

Lo si capisce bene quando Paglia diventa, il 2 aprile 2000, vescovo di Terni: la consacrazione avviene davanti a migliaia di persone nella basilica d San Giovanni in Laterano. Paglia fa il giro del tempio, manco fosse il Papa, per raccogliere l'applauso scrosciante dei fedeli fra i quali ci sono politici di tutto l'arco costituzionale. Paglia, e con lui i suoi amici e collaboratori, è fatto così: sembra intimo della destra, del centro e della sinistra e infatti, come una lobby superaddestrata, Sant'Egidio batte cassa con tutti i governi. Ma il cuore sta a sinistra, nella cornice di quel pauperismo che privilegia chi si dibatte in fondo alla scala sociale. Dove il povero non è il povero di spirito ma quello cui manca tutto. A Sant'Egidio invece non manca nulla: finanziamenti, consenso, sostegno dei grandi giornali. Se Cl e l'Opus Dei sono sempre state nel mirino dei quotidiani progressisti, con accuse talvolta al limite della fantascienza, Sant'Egidio e i suoi capitani sono sempre stati portati in palmo di mano e la comunità ha sempre ricevuto cospicui aiuti per i propri progetti: per esempio 600 milioni di lire per combattere l'Aids in Mozambico con tanto di assegno arrivato da Bill Gates tramite il presidente di Microsoft Italia Roberto Paolucci.

Si sanno vendere bene, benissimo, gli apostoli della pace universale: l'Onu di Trastevere, la chiamano i suoi ammiratori. E anche ora, alle grandi manovre del governo Monti, non si sono fatti cogliere impreparati. Con quella collocazione, vicina alla lista Monti cui è approdato Riccardi, e la spiccata sensibilità per i temi sociali cari alla sinistra, sono all'incrocio strategico fra Monti e Bersani, al crocevia di quello che dovrebbe essere il domani dell'Italia.

Formalmente solo Riccardi è sceso in campo, ma di fatto tutta la comunità è schierata sulle stesse posizioni e non vive quella lacerazione che ha attraversato l'area che fa riferimento a Comunione e liberazione. Anzi, Riccardi e Paglia sono di casa non solo nelle capitali africane sfregiate dalla miseria e dalla guerriglia, ma anche nei salotti che contano.

E così, non c'è da stupirsi che l'altro giorno si sia sparsa la voce, poi smentita in una giostra incontrollabile di versioni, che l'incontro chiave per il costituendo centro montiano, cui ha partecipato anche Riccardi, si sia svolto nell'istituto di Nostra Signora di Sion, ai piedi del Gianicolo, residenza di monsignor Paglia che è vescovo e Presidente del pontificio Consiglio per la famiglia ma resta consigliere spirituale di Sant'Egidio. E si prepara a dare la benedizione al nuovo governo.

  DA: ilgiornale
Stefano Zurlo 30/12/2012 -

IL RITORNO DEL CATTOCOMUNISMO


Negli ultimi vent’anni, non è esistito Governo più disastroso di quello presieduto da Mario Monti rispetto all’andamento dell’economia reale e ai conti pubblici dell’Italia nei confronti dell’Europa e a tre indicatori (PIL, disoccupazione, produzione industriale); per altri due indicatori (debito e inflazione) è tra i governi peggiori degli ultimi 15 anni. La manovra Monti, imperniata all’85% sulle tasse, ha generato povertà e ha distrutto l’economia reale (ricchezza, lavoro, produzione), creando inflazione e ottenendo risultati fortemente negativi sul fronte delle finanze pubbliche rispetto al triennio precedente.

Ciò nonostante, con una decisione senza precedenti per quanto riguarda i rapporti tra Chiesa e Stato, la Conferenza Episcopale Italiana, per bocca del suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, sostiene Monti nel suo proposito di divenire elemento dirimente e decisivo dello scenario politico. «Monti – ha detto recentemente Bagnasco – ha presentato un modo, una strada, che mi pare sia offerta alla riflessione seria e onesta di tutti, indistintamente, creando secondo le scelte di ciascuno un consenso, una posizione. Mi pare sia un metodo innovativo sotto questo profilo e tutti quanti, se vorranno, nel mondo politico e nella gente, potranno misurarsi su queste proposte concrete».

Quali sono queste proposte? Basta leggere l’agenda Monti per farsi un’idea. La “proposta” che sta alla base del programma, è la creazione di un vincolo di dipendenza del nostro Paese nei confronti delle scelte economiche degli organismi europei, primo fra tutti la Banca Centrale, avendo Monti chiarito che rispetto all’unità politica dell’Europa, nutre forti dubbi. Sul piano della crescita e dello sviluppo, nulla viene detto, come del resto hanno dimostrato gli ultimi dodici mesi. Rispetto alla famiglia, cardine di quella “società naturale” di cui la Chiesa si è fatta promotrice in duemila anni di storia, non c’è traccia di alcun elemento che infondi speranza. Sui principi non negoziabili, men che meno. Si sa, di contro, che i futuri alleati di sinistra dei centristi che sostengono Monti, si sono già detti favorevoli al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e che nel documento della “truppa” che si è radunata attorno a Italia Futura (Riccardi, Olivero, Costalli e Bonanni), «non vi è alcun riferimento a temi molto cari alla tradizione cattolica, come ad esempio i “valori non negoziabili”, che avrebbero forse posto qualche difficoltà a firmatari provenienti da altre tradizioni», come ha scritto Andrea Romano, intellettuale vicino a Montezemolo, in risposta a Oscar Giannino.

Monti chiarisce a Eugenio Scalfari in un’intervista del 23 dicembre apparsa su “la Repubblica”, i suoi propositi: si definisce laico, al pari di Scalfari; non intende rifare la Democrazia Cristiana e ritiene indispensabile una grande alleanza con il Partito Democratico. Sono gli stessi propositi che enuncia il portavoce in pectore di Monti, Andrea Riccardi, che sembra voglia incarnare i richiami di Benedetto XVI sulla presenza di politici “credenti e credibili”, tenendo presente che il Papa non ha mai chiesto a un movimento ecclesiale – tale è la Comunità di Sant’Egidio – di fare politica attiva. Candelina sulla “torta” di chi sta preparando gli editoriali del direttore di “Avvenire”, che declinano il futuro: «Ci sono fasi della vita dei Paesi – ha scritto Tarquinio – nelle quali forze alternative coniugano i propri sforzi anche solo su temi ben definiti nell’interesse nazionale. Ma perché questo accada in Italia, occorre che ci siano almeno due buoni e grandi pilastri in un quadro politico rinnovato». Insomma, lo scenario è quello già visto per molti decenni: il consolidamento di una cultura e di una politica catto-comunista, che rappresenta la negazione dell’essenza stessa del cristianesimo, che è amore per la libertà e per la verità.
Danili Quinto da "la nuova Bussola quotidiana"

MA I CATTOLICI VOGLIONO MONTI ALTERNATIVO A BERSANI E ALLA CGIL


L’endorsement dell’Osservatore Romano per Monti “che vuole recuperare il senso più alto e più nobile della politica” dice che oltre il Tevere sono arrivate garanzie precise. L’azione futura di Mario Monti non romperà sui princìpi cosiddetti “non negoziabili” (vita, famiglia ed educazione) e insieme non andrà a intaccare quanto acquisito dai patti lateranensi. Che tradotto significa due cose: non sarà Monti a scendere a compromessi con la sinistra populista e antagonista; non sarà lui a intaccare gli accordi bilaterali della chiesa con lo stato italiano, con tutti i rispettivi impegni finanziari che comportano. Monti ha mantenuto questa politica nei mesi di governo tecnico e così farà in futuro. Del resto, non è di ieri l’insistenza dell’Osservatore, e dunque dei piani alti del Vaticano, per la ricerca di una sintonia fra “i due colli”, il tentativo di due mondi diversi di coesistere nell’interesse di entrambi. “Si nota – scriveva ieri l’Osservatore a riguardo di Monti – la sintonia con il messaggio ripetuto in questi anni dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, non a caso un’altra figura istituzionale che gode di ampia popolarità e alla quale tutti riconoscono il merito di aver individuato proprio nel senatore a vita l’uomo adatto a traghettare l’Italia fuori dai marosi della tempesta finanziaria”.
Mai come ora la posizione del Vaticano rispecchia il sentire di tutte le gerarchie della chiesa italiana, da Angelo Bagnasco in giù. Il referente del Forum delle associazioni cattoliche che convocò il raduno di Todi (ottobre 2011), nelle ultime settimane uno dei leader cattolici più vicini al presidente della Cei nella sua strategia di fuoriuscita dalle secche del Pdl per entrare nel mondo ancora illibato dell’ex premier Monti, Carlo Costalli, leader del Movimento cristiano lavoratori (Mcl), conferma questa nuova linea pur con le precauzioni del caso: “Certo, andiamo con Monti – dice –, ma se dopo le elezioni vi saranno alleanze con la sinistra populista e antagonista, da Nichi Vendola alla Fiom-Cgil per intenderci, scendiamo dal carro immediatamente. Vogliamo un partito sul modello del Ppe capace di sganciarsi da certe sinistre”.

Dice Costalli: “Il 10 gennaio ci ritroviamo non solo con le associazioni che hanno organizzato Todi ma anche con tutti i movimenti ecclesiali per ragionare sul nostro appoggio a Monti. E a conferma del fatto che il nostro appoggio è benedetto dalla Cei, saranno presenti anche le tre ‘lobby’ che lavorano direttamente su mandato delle gerarchie: Retinopera, Scienza e Vita e il Forum delle famiglie. Vogliamo pressare Monti fino, mi si passi il termine, a stressarlo affinché comprenda che il mondo cattolico che l’appoggia è ampio e non può essere riconducibile a Montezemolo-Riccardi-Olivero più Casini. Se tutto è ridotto a questi nomi non ci stiamo. Ma Monti credo ne sia cosciente”. Ore febbrili in via Aurelia, sede della Cei. Dopo anni di richiami del Papa, e a ruota dei vescovi, il momento del “nuovo impegno dei cattolici in politica” è arrivato. Della serie, o ora o mai più. “Certo – dice Costalli –, occorre chiarirsi bene. Per noi sono due i temi imprescindibili che l’agenda Monti deve fare propri. Sono i temi etici, e dunque il sì incondizionato ai princìpi non negoziabili di ratzingeriana memoria, e il sì a un’economia sociale e di mercato moderna che sappia trovare il giusto equilibrio fra economia e solidarietà”. Che significa? “Sì alla vita in ogni sua fase, al valore incondizionato di ogni vita umana, alla famiglia fondata sul matrimonio, alla libertà di educazione. E sì anche a una politica economica che preveda forti riduzioni dei costi dello stato e insieme forti liberalizzazioni”. Il Pdl così com’è non serve allo scopo? “No. Purtroppo la storia recente del Pdl è stata anche la storia di una certa decadenza sui temi morali ed etici, e insieme anche la storia di continue prese di posizioni anti europee, ad esempio con attacchi diretti alla Merkel. Mentre, invece, in questo anno Monti su questi temi non ha mai strappato. Vorrà dire qualcosa, no? Noi vogliamo che tutta quella classe dirigente che ha ben lavorato in questi anni all’interno del Pdl venga con Monti. Non sono pochi. Faccio alcuni nomi: Mauro, Frattini, Mantovano, Roccella, Quagliariello, Alemanno, Fitto… ma tanti altri se ne potrebbero fare. In questo senso lanciamo un segnale anche a certi esponenti di ItaliaFutura che parlano troppo e troppo spesso di rottamazione di tutti coloro che sono già stati in Parlamento. E’ un’argomentazione ridicola e pure inutile. Chi ha ben lavorato, e sono tanti, deve poter dare ancora il proprio contributo e dare così il meglio di sé. Anche perché se siamo in tanti, se cioè con Monti riusciamo a portare un fronte il più trasversale possibile come è credo nei suoi desiderata, si potrebbe arrivare perfino a non aver bisogno di alleanze a sinistra”.
di Paolo Rodari
Tratto da Il Foglio del 28 dicembre 2012
 

BAGNASCO SIA PIU' PRUDENTE


Sinceramente credo ci vorrebbe e ci sarebbe voluta più discrezione da parte delle autorità ecclesiastiche, vaticane e non, nel fare interventi che possono essere letti come sostegno aperto per qualcuno. Non credo che il Papa voglia appoggiare un determinato partito o candidato. Quelli che sono a mediare tra lui e il resto della Chiesa e della società dovrebbero vivere con molta più prudenza questa responsabilità

UNA DOMANDA A MONS. LUIGI NEGRI

Un  argomento caro al Papa è quello del rapporto tra Chiesa e politica, intesa sia come realtà esterna che come potere interno alla stessa realtà ecclesiale. Benedetto XVI ha spesso richiamato i politici cattolici alla coerenza nella difesa di certi principi, di quelli “non negoziabili”, che sono pochi ma precisi.

Credo che la questione non sia meramente un problema di persone o di analisi strettamente politiche, ma di chiarezza su alcuni criteri per giudicare correnti, posizioni, programmi. Questi sono i valori non negoziabili. Un uomo politico può ricevere un appoggio significativo soltanto nel momento in cui si impegna a fare di essi il punto di vista di tutta la sua azione di governo. La politica non ha la mediazione come obiettivo, quello è l’incremento del bene comune. La mediazione deve essere solo un mezzo. Ma non è il fine.

In questi giorni, però, assistiamo a prese di posizione abbastanza esplicite che fanno parlare di vero e proprio “endorsement vaticano” verso determinate forze politiche… E’ di pochi giorni fa la dichiarazione, che ha suscitato disorientamento in molti cattolici, del presidente della CEI d’appoggio esplicito alla “salita” in politica con una lista propria ed entro certe alleanze del premier Mario Monti.

Sinceramente credo ci vorrebbe e ci sarebbe voluta più discrezione da parte delle autorità ecclesiastiche, vaticane e non, nel fare interventi che possono essere letti come sostegno aperto per qualcuno. Non credo che il Papa si voglia esprimere nel senso di appoggiare un determinato partito o candidato. Quelli che sono a mediare tra lui e il resto della Chiesa e della società dovrebbero vivere con molta più prudenza questa responsabilità.

 

LA CHIESA E IL COMPLESSO DI EVA TENTATRICE





«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura (…) / Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia e a te non ricorre / sua disianza vuol volar sanz’ali»
(Dante, Paradiso, canto XXXIII)
 
 

Dov’era il 25 dicembre Enzo Bianchi, il priore di Bose? La barba ce l’ha. Magari, vestito da Babbo Natale, se n’è andato in giro a consegnare regali, chissà!
Ci penso mentre leggo “La Chiesa e il complesso di Eva tentatrice”: il suo commento su
Repubblica alla vicenda di don Piero Corsi. Questo scrive il priore: «Purtroppo a livello di istituzione storica, la Chiesa ha il retaggio di una eredità pesante, di poco apprezzamento verso la donna: Eva, tentatrice. Donna, colei che trascina l’uomo nel peccato, “che fa sfogare la sua concupiscenza”, si sosteneva nel Medioevo. Una logica che nella Casta si trascina da allora».
Gliel’ha detto qualcuno che da Eva in poi sono accadute un bel po’ di cosette? Che ne so… ad esempio che anche quest’anno, il 25 dicembre, abbiamo celebrato la nascita del Bambino Gesù perché Dio, l’Onnipotente, ha deciso di incarnarsi, di crescere in un ventre di donna (donna!) ed ha scelto Maria, Madre Sua e Madre nostra? Ha mai riflettuto, Enzo Bianchi, sul rapporto specialissimo che Cristo ha sempre avuto con le donne? Su come le onorava, tanto da scandalizzare tutti, al suo tempo? Gli risulta che è alle donne che per prime si è fatto vedere quando è risorto?
Qualcuno lo dica al priore di Bose quante donne sono state proclamate sante o beate, o dottori della Chiesa. E poi, priore, non sarebbe male che qualche volta posasse la penna e, anziché scrivere, leggesse. Magari le encicliche. Mulieris dignitatem, tanto per fare un esempio. O le Lettere alle donne scritte dai pontefici: sì, proprio dai rappresentanti ultimi di quella che, in perfetta sintonia con il lessico
politically correct, lei chiama “la Casta”. Ma anche libri un po’ più “leggeri” potrebbero esserle di grande aiuto, perché per capire come le donne cristiane vedono se stesse non c’è miglior modo che sentire le interessate.
Ad esempio, li ha letti i due libri di
Costanza Miriano? In Sposati e sii sottomessa, a pagina 38 scrive: «Dovrai imparare a essere sottomessa, come dice san Paolo. Cioè messa sotto, perché tu sarai la base della vostra famiglia. Tu sarai le fondamenta. Tu sosterrai tutti, tuo marito e i figli, adattandoti, accettando, abbozzando, indirizzando dolcemente. E’ chi sta sotto che regge il mondo, non chi si mette sopra gli altri». Le pare poco? (Non le svelo nulla del secondo libro, Sposala e muori per lei. Le lascio il gusto della scoperta. Una conferenza in meno, priore, e una buona lettura in più. Così quando parlerà di donne e di uomini cristiani avrà le idee un po’ più chiare)
Vede, priore, checché ne dicano le vetero, neo o post-femministe, c’è un’evidenza evidentissima: noi e i maschi siamo diversi e quella delle pari opportunità fuori e/o dentro la Chiesa è una gran boiata. La parità per noi cattolici (si informi!) è avere la stessa dignità, non fare le stesse cose. E’ da sempre così. E la Chiesa - anche quella che lei chiama “la Casta”(?) - ama a tal punto le donne che, ben sapendo di andare controcorrente, le difende strenuamente – pensi un po’! - sin da quando vengono concepite.
Eh già. Mi rendo conto che, osasse scrivere QUESTO sulle colonne di
Repubblica, le toglierebbero la visibilità guadagnata in anni e anni di impegno per adeguarsi al pensiero dominante, ma Gesù su questo è stato chiarissimo: «Nessuno può servire due padroni. (Mt 6, 24-34)». Sarà bene che scelga.


P.S.
Don Piero Corsi ha sbagliato. Punto. Su di lui non mi dilungo perché a fronte di una indifferenza generale sul terzo Natale di sangue in Nigeria e sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, i commenti sul volantino del prete di Lerici hanno invaso la rete, hanno mobilitato il comitato Se non ora quando, tutti i media senza eccezioni e la meglio (si fa per dire) intelligenza del Paese. Amen

 Luisella Saro
Cultura cattolica
28 dicembre 2012

lunedì 24 dicembre 2012

L'ATTESA


DON JULIAN CARRON: Quella forza rigenerante dell’attesa che ci fa scoprire il divino nell’uomo Corriere della Sera 23/12/2012

Caro Direttore,
le difficoltà che ci troviamo ad affrontare, da quelle personali (precarietà, se non perdita del lavoro, malattie, fragilità umane, smarrimento esistenziale, male fatto o subito) a quelle collettive (crisi economica, disagi sociali, confusione politica, incertezza internazionale), sono così imponenti che potrebbero indurre a ritenere inevitabile la scomparsa di ogni attesa. Eppure mai come in queste circostanze risulta evidente quanto siano vere le parole di Dante a noi familiari: «Ciascun confusamente un bene apprende / nel qual si queti l’animo, e disira: / per che di giugner lui ciascun contende».
Ma che lealtà occorre in ciascuno di noi per riconoscere questa attesa e questo desiderio di bene! Quello che rende più difficile questo riconoscimento è il clamore sociale che tutti concorriamo a generare con la nostra connivenza. Infatti, «tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace di un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile» (Rilke). Ognuno di noi sa bene fino a che punto dà il proprio contributo a questa cospirazione.
Chi l’avrà vinta? La parte di noi che attende o quella che cospira?
Guercino, Gesù e la Samaritana
L’indizio di una risposta ci viene da Pavese, che ha colto come nessun altro il persistere in noi di questa attesa: «Com’è grande il pensiero che veramente nulla a noi è dovuto. Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?». Infatti, perché continuiamo ad attendere anche nelle situazioni più disperate? Perché nessuna sconfitta personale o crisi storica riesce a cancellare da ogni fibra del nostro essere il barlume, sebbene inconsapevole, di un’attesa? Perché questa attesa ci costituisce nel profondo, tanto che «si affaccia ancora oggi, in molti modi, al cuore dell’uomo» (Benedetto XVI). Anche se ridotto, trascurato e osteggiato, il cuore non cessa di desiderare.
Non di rado l’impossibilità di strapparci di dosso questa attesa può sembrare una condanna. Ma gli spiriti più acuti identificano altrove la vera condanna. Ne Il mestiere di vivere, sempre Pavese ci ricorda che «aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettar niente che è terribile». Tutti sappiamo che cosa diventa la vita quando non aspettiamo più nulla: una noia che finisce nella disperazione e nel cinismo. Attendere è la struttura del nostro essere. La sostanza del nostro io è l’attesa.
Ora, malgrado questa nostra struttura originale, tante volte facciamo fatica a sperare. Quanto ha ragione Péguy quando ci ricorda che «per sperare occorre aver ricevuto una grande grazia». Ma quale grazia può essere all’altezza della sfida e sostenere la speranza di fronte a qualsiasi eventualità?

Precisamente a questo livello ci viene incontro l’avvenimento che celebriamo nel Natale. L’annuncio cristiano si rivolge all’io di ciascuno di noi, sfidando ogni scetticismo e sfiducia, come risposta imprevedibile alla nostra ferita. Per farsi risposta che l’uomo possa sperimentare, l’Infinito ha assunto una forma finita. Nel Natale è abolita la distanza altrimenti incolmabile tra il finito e l’Infinito.
In questa prospettiva, avere fede non significa piegarsi a una serie di precetti, studiare una dottrina o partecipare a una organizzazione: la fede cristiana è riconoscere il divino presente nell’umano, come fu per Simone, la Maddalena, la Samaritana, Zaccheo, colpiti da una presenza che destava l’improvviso presentimento di una vita diversa. Non erano le gambe raddrizzate, la pelle mondata, la vista riacquistata a colpirli. «Il miracolo più grande era uno sguardo rivelatore dell’umano cui non ci si poteva sottrarre» (don Giussani).

La Chiesa celebra il Natale affinché anche noi possiamo fare esperienza di questo abbraccio che afferra la nostra umanità, la mia e la tua, per compiere quell’attesa che vibra in ogni mossa del nostro cuore inquieto. Come duemila anni fa, anche oggi il significato dell’esistenza si rende presente attraverso una realtà umana che si può vedere e toccare, dentro un tempo e un spazio, ci raggiunge con un inconfondibile accento di promessa e di speranza al quale ci possiamo legare, dentro la vita della Chiesa.
Questa è la grazia, il nuovo inizio nel mondo, il cui primo testimone è Benedetto XVI: «Giustamente, nessuno può avere la verità. È la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo ci deve sconcertare e sorprendere sempre di nuovo!».
Buon Natale a tutti.                                                                                                   Julián Carrón

venerdì 21 dicembre 2012

MASCHIO E FEMMINA LI CREO'


Il papa e il rabbino contro la filosofia del "gender"
 
DALL'UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI , 21.12.2012
 

[…] Nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse.

C’è anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra?

Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio "io" per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana.

Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini.

Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: "Donna non si nasce, lo si diventa" ("On ne naît pas femme, on le devient"). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma "gender", viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi.

La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: "Maschio e femmina Egli li creò" (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà.

La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo. (...)

I CRISTIANI NEL MONDO

ARTICOLO DEL PAPA PER IL FINANCIAL TIMES

"Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo".

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

E’ nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.

 

giovedì 20 dicembre 2012

FARE ESPERIENZA DELLA PRESENZA DI GESU' E RIVELARLA AL MONDO


Cari fratelli e sorelle,
il Signore mi dona la grazia di fare l’ingresso nella Diocesi che Gesù mi ha affidato, attraverso il mandato del Papa, nella domenica gaudete, nella domenica della letizia, della gioia.

Proprio la gioia è la nota principale delle letture che abbiamo ascoltato, anche del Vangelo, che esplicitamente non parla di essa, ma pur sempre di evangelizzazione, di una notizia che è fonte di esultanza.

Gesù sta per arrivare, dice il Battista (cfr. Lc 3, 16). Gesù è arrivato, è qui, è vicino, sta per venire ancora. Dice Paolo ai Filippesi: Ve lo ripeto, state lieti, il Signore è vicino (cfr. Fil 4, 4-5). Ci troviamo, così, nel cuore dell’Avvento, che è attesa e preparazione e infine scoperta di Gesù presente. Ma ci troviamo anche nel cuore del ministero del vescovo. È lo stesso ministero di ogni sacerdote, di ogni cristiano, della Chiesa intera: fare esperienza della presenza di Gesù e rivelarla al mondo. Sono venuto per questo e, oserei dire, solo per questo. Per questo e per tutto ciò che può aiutare questa rivelazione.

Cosa occorre al vescovo, cosa occorre a voi, a voi preti, a voi religiosi e laici per vivere questa bellissima esperienza, per scoprire le tracce di Dio presente e mostrarle agli uomini? Permettetemi di dirlo, almeno brevemente, sperando di avere presto l’occasione di tornare sopra questi accenni: occorre silenzio, occorre preghiera, occorrono compagni di viaggio.

Silenzio, perché la moltitudine di parole e di immagini non cancelli in noi la possibilità di vedere e di udire. Solo un’educazione dello sguardo e del cuore può ridarci la capacità di innamorarci ancora della verità, della bellezza, della giustizia, del bene, che sono tutti nomi di Dio. Silenzio per ascoltare la voce di Dio che parla in molti modi, attraverso suo Figlio e lo Spirito. Parla attraverso la Chiesa nella Sacra Scrittura, nei sacramenti, nel magistero, nella vita dei santi sulla terra e in cielo.

Occorre, poi, la preghiera, il riconoscimento del nostro essere creature bisognose di Dio, che ci ha creati perché ci ama e ci ha salvati gratuitamente, senza nessun nostro merito, perché il suo amore non è fermato dal male. Senza Dio, si spegne la luce nella vita dell’uomo. Senza Dio la vita dell’uomo diventa incomprensibile e perfino, talvolta, insopportabile, con tutto il carico di ingiustizie che essa comporta.

Siamo nell’anno della Fede: vorrei aiutarvi a scoprire Dio, vorrei scoprirlo io con voi, vorrei farlo scoprire a chi non lo conosce. Vorrei aiutarvi a scoprire in lui il Padre, colui da cui veniamo, a cui andiamo, colui che guida la nostra vita senza sostituirsi alla nostra libertà, ma che è provvidente e misericordioso. Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dal silenzio e dalla preghiera scaturirà, poi, il desiderio di conoscere.

Vorrei riprendere in mano con voi il Catechismo della Chiesa Cattolica e i documenti più importanti del Concilio Vaticano II. Certamente in molte parrocchie e comunità già lo si sta facendo. Durante l’anno liturgico commenterò i misteri della vita di Gesù con questi testi nelle mani.

La preghiera e il silenzio trovano nella celebrazione della Messa la loro massima espressione settimanale. Desidero vivere con voi la liturgia, avendo come stella polare l’insegnamento del nostro Papa Benedetto XVI. Celebrare con sobrietà, dignità, senza protagonismo, lasciando a Gesù e alla sua opera il centro della scena.

Se voglio pregare, studiare, predicare, celebrare l’eucarestia, se voglio privilegiare i rapporti diretti e personali, se voglio incontrare la gente, dovrò rinunciare ad altro. Chiedo a Dio la grazia di un carico amministrativo leggero, di ridurre all’essenziale le riunioni, gli incontri di rappresentanza, i convegni. Dio mi aiuterà. Senza dimenticare nessuno, vorrei dedicare tempo ed energie ai preti, ai giovani, alle famiglie.

Conto di incontrare i primi, riuniti per zone, entro giugno, i giovani durante la Quaresima, le famiglie nelle mie visite alle parrocchie, ma già domenica 30 dicembre qui in Cattedrale nei Vespri della Sacra famiglia.

Ho detto, infine, che occorrono i compagni di viaggio. Dio ci chiama personalmente, ma non ci lascia individui isolati, chiusi in un dialogo intimistico con lui. Dio ci chiama per far parte del suo popolo. E il suo è un popolo eucaristico, formato da tante comunità radunate attorno al vescovo, nell’obbedienza al suo ministero e in comunione col vescovo di Roma.

Compagni di viaggio sono tante persone a cui la nostra vita è legata e come consegnata nella comunione cristiana. Famiglie, parrocchie, comunità religiose, sacerdotali, Istituti religiosi, compagnie vocazionali, amicizie cristiane, associazioni, movimenti, comunità laicali, … tante diverse forme canoniche ed esistenziali, espressione di un unico principio: a Dio si va come membra del suo popolo, pellegrino nel tempo verso l’eterno.

Dobbiamo riscoprire assieme la bellezza e la fecondità della nostra appartenenza ecclesiale.

È tempo ora di proseguire la nostra liturgia. Vorrei ritornare alla parola dell’inizio: la Chiesa ci invita alla letizia. Ma è possibile l’esperienza della letizia nel nostro tempo, nelle nostre condizioni di vita? Sì, se riconosciamo la realtà annunciata dai profeti e dall’apostolo: Dio è presente, è uno di noi, si è fatto uomo per essere vicino, incontrabile, familiare. Non angustiatevi, allora, ma fate presenti a Dio le vostre necessità (cfr. Fil 4, 6). Il Signore ha revocato la nostra condanna. Non temeremo più alcuna sventura (cfr. Sof 3, 15).

Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore (Sof 3, 16-17). Diciamo assieme: mia forza e mio canto è il Signore (Es 15, 2; Ps 117, 14; Is 12, 2)!
Amen.

 
MASSIMO CAMISASCA
VESCOVO DI REGGIO EMILIA
OMELIA D'INGRESSO IN DIOCESI
16 DICEMBRE 2012

IL RITORNO DEL VECCHIO PCI


Il Pd sta tornando al vecchio Pci con imbarazzante disinvoltura. Per chi – come il sottoscritto – aveva creduto che il Pd rappresentasse davvero la rottamazione del vecchio comunismo italico e un approdo liberaldemocratico, è una vera delusione.

Sta iniziando ora anche la demonizzazione di Monti, sospettato di voler entrare in campo. Come in passato la Nomenklatura proveniente dal vecchio Pci non tollera ostacoli o concorrenti e convoca subito gli antagonisti al tribunale della morale da loro stessi presieduto.

C’era già stata un’inquietante premessa con Matteo Renzi. Le primarie fra Bersani e Renzi servivano al Pd come grande lancio propagandistico per la campagna elettorale (con un vincitore predefinito: Bersani) e così è stato.

Solo che Renzi è una personalità assolutamente anomala nel panorama Pd. E’ infatti un cattolico non subalterno alla vecchia Nomenklatura e ha pensato di poter concorrere davvero e vincere.

Il suo consenso è cresciuto pericolosamente, perché la possibilità di rottamare i vecchi compagni entusiasmava molti, così è scattata un’assurda operazione di demonizzazione da parte della stessa Nomenklatura post-comunista.

Sul sindaco fiorentino non si sono risparmiati i colpi. Poi, dopo il primo turno, si è addirittura cambiato la regola in corsa, restringendo il voto agli elettori della prima tornata, per scongiurare ad ogni costo la vittoria di Renzi.

Un’operazione sconcertante. La quale conferma la regola: come il vecchio Pci, anche il Pd di D’Alema e Bersani è prontissimo ad annettersi cattolici, laici e liberali, tutti accolti a braccia aperte purché accettino il ruolo di comparse.

Si ha la sensazione che al massimo possano scegliere fra “specchietti per allodole”, “foglie di fico”, “mosche cocchiere” e “cavalli di Troia”.

E’ così evidente questa pulsione veterocomunista che – davanti al diniego di Casini di accodare l’Udc alla candidatura di Bersani – dal Pd è trapelata l’intenzione di fabbricarsi un partitello cattolico per l’occasone (“un centro fatto in casa” ha scritto il Corriere del 5 dicembre), secondo il più classico schema dei Partiti Comunisti di un tempo (in Polonia per esempio il regime comunista aveva fatto allestire un partitino dei contadini per far finta che a Varsavia vi fosse un sistema democratico e pluralista).

Veniamo a Monti. Il Pd prima ha provato a neutralizzarlo chiedendogli di restare super partes e prospettandogli ruoli importanti nel dopo elezioni. Poi si è suggerito a Monti – entrando in politica – di farlo alla corte del Pd, per esempio come ministro dell’economia di Bersani. Infine si è sperato che Napolitano riuscisse a dissuaderlo.

Ora però si sospetta che Monti voglia entrare in gioco in modo autonomo e questo scombinerebbe tutti i piani dei post-comunisti che già si sentono il potere in tasca.

Così è scattata contro Monti la macchina della demonizzazione. E’ entrato in campo e a gamba tesa il vero leader del Pd, Massimo D’Alema che ha lanciato la sua scomunica: sarebbe “moralmente discutibile” – così ha detto – che Monti patrocinasse un suo cartello elettorale.

Naturalmente D’Alema aveva tutto il diritto di definire sbagliata o inopportuna questa operazione, ma il fatto che sia ricorso al giudizio morale è un evidente ritorno al passato.

Così facendo, come ha osservato ieri un commentatore del “Corriere della sera”, D’Alema mostra che i postcomunisti si sentono ancora “titolari di un primato morale secondo il quale è morale ciò che va nella direzione che unilateralmente si considera migliore (la propria) e ‘immorale’ tutto ciò che contrasta il luminoso progresso della Storia”.

Tutto questo mi ricorda molto la caratteristica del Partito-Principe teorizzato da Antonio Gramsci, un partito “divinizzato” che esercita un dominio totalitario:

“Il moderno Principe” scrive Gramsci alludendo al Pci, “sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”.

Ecco perché Augusto Del noce, uno dei massimo studiosi di Gramsci, scriveva: “Già troppe volte ho detto dell’impossibilità di interpretare il suo pensiero (di Gramsci, nda) in senso riformistico o socialdemocratico”.

Faccio sommessamente notare che il quotidiano del Pd, “l’Unità” porta tuttora, sotto la testata, il riferimento al grande teorico comunista. Ma il problema sta soprattutto nei contenuti.

Ieri infatti l’editoriale di prima pagina era affidato a Michele Prospero (uno degli intellettuali di riferimento). E Prospero iniziava proprio citando Gramsci per lanciare l’anatema su Monti: “Nella crisi, spiegava Gramsci, le oligarchie del denaro si scagliano contro le élite della politica e rivendicano il potere”.

L’invettiva – che secondo Massimo Bordin evoca il “Pci anni Sessanta” – prosegue e sembra assimilare l’eventuale entrata in campo di Monti a quella di Berlusconi (“come vent’anni fa”).

Naturalmente non si nomina mai personalmente Monti (anche perché è pur sempre colui che il Pd salutò un anno fa come il salvatore ed è colui che il Pd sta sostenendo al governo), ma si demonizzano le fantomatiche “oligarchie” lasciando al lettore di trarre le conclusioni su chi oggi ne sia il rappresentante.

Da un lato dunque si evocano dei fantasmi plutocratici (“quanto stanno architettando le oligarchie che in modo cieco si scagliano contro le élite politiche”, “la vana volontà di potenza delle oligarchie”).

Dall’altro si scomunica il leaderismo dei “poteri forti” (sì, adesso i “poteri forti” sono tornati ad essere i cattivi): “La crisi italiana non può trovare rimedio nelle nuove alchimie trasformistiche dei poteri forti. La pretesa di arrestare il declino con cartelli confusi, a sostegno di un capo che invoca lo scettro per grazia ricevuta ha un che di tragico”.

Di tragico però c’è anzitutto il ritorno della Sinistra agli stereotipi del passato comunista. D’altra parte quello di Bersani è un traguardo storico proprio per questo: perché sarebbe la prima volta che uno che proviene dall’apparato comunista, in Italia, arriva a Palazzo Chigi col voto degli elettori (e proprio mentre è Presidente della repubblica un vecchio leader del Pci degli anni di Togliatti).

Più di vent’anni dopo il crollo del comunismo. Sembra incredibile, ma è così.

Per questo tutta la vecchia Nomenklatura – che non si è fatta rottamare da Renzi e lo ha spazzato via – punta a questa vittoria. E chiunque proponga alternative finirà per essere dipinto come un’emanazione di entità malefiche, di oligarchie oscure, che preparano tragedie. Sempre la stessa solfa.

Antonio Socci

Da “Libero”, 18 dicembre 2012