Il Pd sta tornando al vecchio Pci
con imbarazzante disinvoltura. Per chi – come il sottoscritto – aveva creduto
che il Pd rappresentasse davvero la rottamazione del vecchio comunismo italico
e un approdo liberaldemocratico, è una vera delusione.
Sta
iniziando ora anche la demonizzazione di Monti, sospettato di voler entrare in
campo. Come in passato la Nomenklatura proveniente dal vecchio Pci non tollera
ostacoli o concorrenti e convoca subito gli antagonisti al tribunale della
morale da loro stessi presieduto.
C’era già stata un’inquietante
premessa con Matteo Renzi. Le primarie fra Bersani e Renzi servivano al Pd come
grande lancio propagandistico per la campagna elettorale (con un vincitore
predefinito: Bersani) e così è stato.
Solo che Renzi è una personalità assolutamente
anomala nel panorama Pd. E’ infatti un cattolico non subalterno alla vecchia
Nomenklatura e ha pensato di poter concorrere davvero e vincere.
Il suo consenso è cresciuto
pericolosamente, perché la possibilità di rottamare i vecchi compagni entusiasmava
molti, così è scattata un’assurda operazione di demonizzazione da parte della
stessa Nomenklatura post-comunista.
Sul sindaco fiorentino non si sono
risparmiati i colpi. Poi, dopo il primo turno, si è addirittura cambiato la
regola in corsa, restringendo il voto agli elettori della prima tornata, per
scongiurare ad ogni costo la vittoria di Renzi.
Un’operazione sconcertante. La quale
conferma la regola: come il vecchio Pci, anche il Pd di D’Alema e Bersani è
prontissimo ad annettersi cattolici, laici e liberali, tutti accolti a braccia
aperte purché accettino il ruolo di comparse.
Si ha la sensazione che al massimo
possano scegliere fra “specchietti per allodole”, “foglie di fico”, “mosche
cocchiere” e “cavalli di Troia”.
E’ così evidente questa pulsione
veterocomunista che – davanti al diniego di Casini di accodare l’Udc alla
candidatura di Bersani – dal Pd è trapelata l’intenzione di fabbricarsi un
partitello cattolico per l’occasone (“un centro fatto in casa” ha scritto il
Corriere del 5 dicembre), secondo il più classico schema dei Partiti Comunisti
di un tempo (in Polonia per esempio il regime comunista aveva fatto allestire
un partitino dei contadini per far finta che a Varsavia vi fosse un sistema
democratico e pluralista).
Veniamo a Monti. Il Pd prima ha
provato a neutralizzarlo chiedendogli di restare super partes e prospettandogli
ruoli importanti nel dopo elezioni. Poi si è suggerito a Monti – entrando in
politica – di farlo alla corte del Pd, per esempio come ministro dell’economia
di Bersani. Infine si è sperato che Napolitano riuscisse a dissuaderlo.
Ora però si sospetta che Monti
voglia entrare in gioco in modo autonomo e questo scombinerebbe tutti i piani
dei post-comunisti che già si sentono il potere in tasca.
Così è scattata contro Monti la
macchina della demonizzazione. E’ entrato in campo e a gamba tesa il vero
leader del Pd, Massimo
D’Alema che ha lanciato la sua scomunica: sarebbe “moralmente discutibile” –
così ha detto – che Monti patrocinasse un suo cartello elettorale.
Naturalmente D’Alema aveva tutto il
diritto di definire sbagliata o inopportuna questa operazione, ma il fatto che
sia ricorso al giudizio morale è un evidente ritorno al passato.
Così facendo, come ha osservato ieri
un commentatore del “Corriere della sera”, D’Alema mostra che i postcomunisti
si sentono ancora “titolari di un primato morale secondo il quale è morale ciò
che va nella direzione che unilateralmente si considera migliore (la propria) e
‘immorale’ tutto ciò che contrasta il luminoso progresso della Storia”.
Tutto questo mi ricorda molto la
caratteristica del Partito-Principe teorizzato da Antonio Gramsci, un partito
“divinizzato” che esercita un dominio totalitario:
“Il moderno Principe” scrive
Gramsci alludendo al Pci, “sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di
rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto
che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato,
solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve
a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto,
nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base
di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di
tutti i rapporti di costume”.
Ecco perché Augusto Del noce, uno
dei massimo studiosi di Gramsci, scriveva: “Già troppe volte ho detto
dell’impossibilità di interpretare il suo pensiero (di Gramsci, nda) in senso
riformistico o socialdemocratico”.
Faccio sommessamente notare che il
quotidiano del Pd, “l’Unità” porta tuttora, sotto la testata, il riferimento al
grande teorico comunista. Ma il problema sta soprattutto nei contenuti.
Ieri infatti l’editoriale di prima
pagina era affidato a Michele Prospero (uno degli intellettuali di
riferimento). E Prospero iniziava proprio citando Gramsci per lanciare
l’anatema su Monti: “Nella crisi, spiegava Gramsci, le oligarchie del denaro si
scagliano contro le élite della politica e rivendicano il potere”.
L’invettiva – che secondo Massimo
Bordin evoca il “Pci anni Sessanta” – prosegue e sembra assimilare l’eventuale
entrata in campo di Monti a quella di Berlusconi (“come vent’anni fa”).
Naturalmente non si nomina mai
personalmente Monti (anche perché è pur sempre colui che il Pd salutò un anno
fa come il salvatore ed è colui che il Pd sta sostenendo al governo), ma si
demonizzano le fantomatiche “oligarchie” lasciando al lettore di trarre le
conclusioni su chi oggi ne sia il rappresentante.
Da un lato dunque si evocano dei
fantasmi plutocratici (“quanto stanno architettando le oligarchie che in modo
cieco si scagliano contro le élite politiche”, “la vana volontà di potenza
delle oligarchie”).
Dall’altro si scomunica il leaderismo
dei “poteri forti” (sì, adesso i “poteri forti” sono tornati ad essere i
cattivi): “La crisi italiana non può trovare rimedio nelle nuove alchimie
trasformistiche dei poteri forti. La pretesa di arrestare il declino con
cartelli confusi, a sostegno di un capo che invoca lo scettro per grazia
ricevuta ha un che di tragico”.
Di tragico però c’è anzitutto il
ritorno della Sinistra agli stereotipi del passato comunista. D’altra parte
quello di Bersani è un traguardo storico proprio per questo: perché sarebbe la prima volta che uno che
proviene dall’apparato comunista, in Italia, arriva a Palazzo Chigi col voto
degli elettori (e proprio mentre è Presidente della repubblica un vecchio
leader del Pci degli anni di Togliatti).
Più di vent’anni dopo il crollo del comunismo.
Sembra incredibile, ma è così.
Per questo tutta la vecchia
Nomenklatura – che non si è fatta rottamare da Renzi e lo ha spazzato via –
punta a questa vittoria. E chiunque proponga alternative finirà per essere
dipinto come un’emanazione di entità malefiche, di oligarchie oscure, che
preparano tragedie. Sempre la stessa solfa.
Antonio Socci
Da “Libero”, 18 dicembre 2012
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