C’ è una ferita nel mondo contemporaneo,
la ferita che lo stato provoca “alla libertà religiosa”.
Parola del cardinale Angelo Scola,
cardinale arcivescovo di Milano, che nel diciassettesimo centenario di
quell’Editto di Milano che ha sancito la nascita della libertà di professare il
proprio credo, ricorda come la svolta del 313 d. C. sia, nei fatti, “un inizio
mancato”.
Al sindaco di Milano Giuliano Pisapia,
che davanti al Papa l’estate scorsa aveva rivendicato l’autonomia d’azione
delle istituzioni pubbliche, Scola, nel tradizionale appuntamento di
sant’Ambrogio – il suo secondo “discorso alla città” nella Messa della vigilia
– ricorda invece come il pericolo viene proprio dallo stato quando nel nome
della propria autonomia e neutralità di fatto affossa ogni libertà
confessionale: l’evoluzione che gli stati democratico-liberali hanno perseguito
affossa la svolta dell’Editto di Milano e non garantisce alcuna libertà.
Il presupposto teorico di questa
evoluzione, infatti, si rifà al modello francese di laïcité che a sua volta si
basa sull’idea dell’indifferenza, definita come neutralità, delle istituzioni
statali rispetto al fenomeno religioso.
Ma i risultati sono opposti: più che
neutralità lo stato adotta “un modello maldisposto verso il fenomeno
religioso”, con conseguenze pericolose. Scola cita il caso statunitense, dove
la riforma sanitaria di Obama “che impone a vari tipi di istituzioni religiose
di offrire ai propri impiegati polizze di assicurazione sanitaria che includano
contraccettivi, aborti e procedure di sterilizzazione” altro non è che “una
ferita alla libertà religiosa”. Un esempio, per ricordare come oggi il dissidio
nelle nostre società non sia tanto fra credenti di religioni diverse, quanto
fra “la cultura secolarista e il fenomeno religioso”. Dice l’arcivescovo:
misconoscendo questo dato, “la giusta e necessaria aconfessionalità dello stato
ha finito per dissimulare, sotto l’idea di ‘neutralità’, il sostegno dello
stato a una visione del mondo che poggi sull’idea secolare e senza Dio”.
Come ovviare “a questo grave stato di
cose”? La ricetta di Scola è quella di uno stato che non interpreti la sua
aconfessionalità con distacco, ma porti la libertà religiosa a essere “libertà
realizzata posta in cima alla scala dei diritti fondamentali”.
In questo senso va recuperato ciò che
l’Editto di Milano ha iniziato. Come scriveva Gabrio Lombardi: “L’Editto del
313 ha un significato epocale perché segna l’initium libertatis dell’uomo
moderno”. Questo significato lo deve recuperare anche la chiesa. Sulla cattedra
che fu di Dionigi Tettamanzi e di Carlo Maria Martini, che qui inaugurò il suo
dialogo con i non credenti, Scola invita ora i cristiani, superati i decenni
della contestazione “che annunciavano la fine di ogni forma pubblica del
cattolicesimo, a testimoniare l’importanza e l’utilità della dimensione
pubblica della fede”.
P. Rodari, il foglio 7 dicembrequi
Nessun commento:
Posta un commento