Il poeta è sempre innamorato: della
parola, della visione. La poesia è il farsi oggetto fruibile della complessità
di questo incontro-innamoramento. La parola suona “altra” anche quando è usuale
e la visione coglie un barlume appena di quanto abbiamo sotto gli occhi
abitualmente oppure ci spalanca frange di memorie e anche assoluti. In Pronto
Soccorso: “ (…..) respira a fatica…/ieri sera tranquilla, nel suo letto,/
ora sembra sfollata/ sfrattata dalle cose consuete/ noi tutti, come lei saremo
presi/ nel cuore di una notte, ribaltati e presi.”
La poesia non può prescindere
dall’esperienza, dal vissuto, dal passato ; anzi la poesia gioca con il tempo:
ciò che è stato diventa ciò che è perché nel momento che lo afferra lo porge
presente, palpitante, perlaceo come un ritrovamento antropologico, dopo che è
stato ben ripulito.
Perché il poeta usa il materiale spurio
che fu per esibirlo nel suo nitore, nella sua innocenza significante. “ Di
tanto…. questo resta”; e ciò che resta è ciò che ci ha plasmati e identificati.
Franco Casadei è poeta e soprattutto in
questo nuovo libro, scarno per numero di poesie e per concisione delle stesse,
ha compiuto un balzo verso il nitore chiaramente percepibile, verso
un’essenzialità dove nessuna parola è in eccesso e nessuna manca..
Molte scorie sono state abbandonate, la
visione è nitida, il ricordo è suggello, il paesaggio si è come prosciugato e
il poeta tesse un fitto dialogo con l’essere qui, ora, l’avere visto, la
sicurezza dell’oltre, la certezza della sua imperfezione al cospetto di un Dio
che si spera misericordioso.
Le certezze di Franco sono salde ma non
è dato all’uomo di penetrare il mistero:
“Non c’è ragione al morire
si ha un bel dire
è un decorso naturale.
Sindone nera, la morte,
buio fondale.
Dovremo comunque attraversarla
nell’attesa che la notte deflagri
e ci svegliamo dal’offesa.”
E più chiaramente , la poesia precedente
si chiudeva con questi due versi:
“La mancanza sento, una mancanza,/la
firma segreta sta dentro alle cose.”; l’uomo può solo cogliere la
superficie delle stesse, è impedita la visione di quella firma. Ma
frequentemente nelle poesie del libro cogliamo questa discrasia fra una
certezza di fede e un’oscurità di visione. La morte è temuta, perché è la vita
che conosciamo, anche nei suoi risvolti più duri e violenti che ci ha plasmati;
l’edenico resta mistero e resta anche il timore di non avere ben risposto alle
richieste della Parola divina e quindi di essere stati più di argilla che di
talenti.
“Il tempo gira come una ruota consumata/
– anche la meridiana ha perso il chiodo-/rimangono le mani/ a pelo d’acqua a
chiedere perdono”, questa consapevolezza della fallacità,
della fragilità, dei cedimenti può confidare solo nel Divino Cuore
misericordioso . La vita è parola che si fa respiro, la morte è … terra che mi
riprendi , dice sovente il poeta. Trascendenza e immanenza coabitano e talvolta
configgono, a favore della parola che ha la caratteristiche di entrambe: è
comunicazione e ri-creazione.
Sono molte le poesie che insistono su
questa tematica di prossimità al redde rationem da cui trapela un timore,
un’ansia di essersi troppo spesso compiaciuti ugualmente apparentata ad una
saldissima consapevolezza del perdono.
Naturalmente non mancano bozzetti
struggenti : le corsie d’ospedale “ enigmi d’occhi, mani adagiate”
; la terra natia: “ lontano, là / l’ultimo lembo della piana/e all’orizzonte
infinito il mare/ che nei giorni di chiaro / regala il bianco della vele/ sono
nato qui/ e qui respiro”; La donna della carrozzina bianca: “ (…………….)
D’inverno l’aria affila il gelo/ mangi piatti grami,/ una notte di nebbia ti ha
dissolta/ sono rimasti i muri e l’eco di una tosse.”
Mai come in questo libro Casadei si era
messo a nudo e aveva permesso che il suo respiro e la sua visione si
deponessero sulla pagina, ma, forse è proprio per questo motivo, che
compiutamente si spalanca alla poesia.
Narda Fattori
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2012/09/28/franco-casadei-il-bianco-delle-vele-recensione-di-narda-fattori/
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