Fonte:
CulturaCattolica.it
sabato 8 dicembre 2012
Sembrava una
sera come tante, almeno come le sere migliori d’inverno: la comunità riunita,
don Gabriele e Angelo con noi, alcuni parrocchiani amici, tra i più fedeli, il
fuoco della stufa che scoppiettava allegramente e fuori neve e ghiaccio e
l’abbraccio silenzioso del Carpegna.
Spente le luci della sala inizia un film, alcuni lo avevano già visto ma non sr Karola ed io. Ci avevano detto qualcosa ma non potevamo immaginare quello che ci avrebbe avvolti di lì a poco.
«October Baby», in inglese, sottotitoli in italiano. Dopo alcune battute sei così profondamente immersa nella vicenda che non ti ricordi più dei sottotitoli. Sei semplicemente dentro la storia.
I pensieri di Hannah, la protagonista, affiorano a tratti ma con vigore e forza e ti toccano nel profondo. Non importa se tu non sei un aborto, come lei, se non hai dovuto combattere contro l’epilessia o l’asma, come lei, quei pensieri sono i tuoi, li hai dentro nelle stanze segrete del cuore. Sì, perché ciascuno di noi vuole vivere e, insieme a volte, vorrebbe morire.
Ciascuno di noi sa di aver bisogno di essere perdonata, ma ancor più di perdonare. Il potere di perdonare, come dice un sacerdote cattolico che incontra Hannah – battista – nella cornice solenne di una cattedrale americana: è l’unico potere che ci rende davvero liberi.
Dopo un’ora e venti di riprese si riaccendono le luci e non riesci più a vedere per le lacrime.
Karola la cui vicenda umana s’intreccia un poco con quella di Hannah è il volto della sofferenza. L’abbraccio forte per quella gemella che hanno perso lei e sua sorella Valeria. La loro vicenda non è certo drammatica come quella di Hannah perché i genitori di sr Karola hanno amato e voluto le loro figlie, ma la reazione al dolore della perdita di una gemella che è vissuta con te nove mesi, che hai misteriosamente abbracciato nel seno di tua madre e che ora non è più, è la stessa.
Tutti rimangono in silenzio, non si hanno parole di fronte alla vita, non si può continuare a chiamare tessuto vitale un aborto, quando ti trovi di fronte alla faccia di un bambino – come afferma con il cuore gonfio di sofferenza l’infermiera che aveva operato il tentativo di aborto della madre di Hannah. Come c’è una vita oltre la vita così c’è una vita dentro le prime ore del tuo concepimento, i primi giorni del tuo stato embrionale, i primi mesi della tua vita nel ventre materno. C’è una vita e una coscienza.
Che grande mistero è l’uomo e che grandezza conferisce all’uomo la fede nel suo destino infinito, eterno. Solo questo ci permette di perdonare e di amare comunque, quand’anche scoprissimo di non essere stati amati.
Guardo sr Karola e le vedo risplendere un sorriso di gratitudine, penso al grande dono di averla con noi. Al grande dono che siamo gli uni per gli altri grazie a una madre che non ci ha abortito e a un padre che ci ha volute, come il padre adottivo di Hannah.
Tornata in cella, ripenso al film mentre leggo un articolo di Giacomo Galeazzi, giornalista de La Stampa, che riprende la proposta di CulturaCattolica.it di dichiarare Chiara Corbella “uomo dell’anno 2012”.
Vedo la foto di Chiara e rivedo il sorriso bellissimo di Hannah nel film. Sì, è davvero una scelta ispirata, una donna come Chiara, che giovanissima muore per aver voluto la sua bimba e aver ritardato le cure per sconfiggere il tumore, rende evidente che inizio e fine vita sono legati al medesimo filo, quello della verità e della dignità dell’uomo.
Scriveva profeticamente Eliot che ci sarebbe dato un tempo in cui sarebbe stato necessario combattere e morire per rendere evidente la verità. È il nostro tempo che, per grazia di Dio, non rimane senza testimoni. Chiara è una di questi.
Spente le luci della sala inizia un film, alcuni lo avevano già visto ma non sr Karola ed io. Ci avevano detto qualcosa ma non potevamo immaginare quello che ci avrebbe avvolti di lì a poco.
«October Baby», in inglese, sottotitoli in italiano. Dopo alcune battute sei così profondamente immersa nella vicenda che non ti ricordi più dei sottotitoli. Sei semplicemente dentro la storia.
I pensieri di Hannah, la protagonista, affiorano a tratti ma con vigore e forza e ti toccano nel profondo. Non importa se tu non sei un aborto, come lei, se non hai dovuto combattere contro l’epilessia o l’asma, come lei, quei pensieri sono i tuoi, li hai dentro nelle stanze segrete del cuore. Sì, perché ciascuno di noi vuole vivere e, insieme a volte, vorrebbe morire.
Ciascuno di noi sa di aver bisogno di essere perdonata, ma ancor più di perdonare. Il potere di perdonare, come dice un sacerdote cattolico che incontra Hannah – battista – nella cornice solenne di una cattedrale americana: è l’unico potere che ci rende davvero liberi.
Dopo un’ora e venti di riprese si riaccendono le luci e non riesci più a vedere per le lacrime.
Karola la cui vicenda umana s’intreccia un poco con quella di Hannah è il volto della sofferenza. L’abbraccio forte per quella gemella che hanno perso lei e sua sorella Valeria. La loro vicenda non è certo drammatica come quella di Hannah perché i genitori di sr Karola hanno amato e voluto le loro figlie, ma la reazione al dolore della perdita di una gemella che è vissuta con te nove mesi, che hai misteriosamente abbracciato nel seno di tua madre e che ora non è più, è la stessa.
Tutti rimangono in silenzio, non si hanno parole di fronte alla vita, non si può continuare a chiamare tessuto vitale un aborto, quando ti trovi di fronte alla faccia di un bambino – come afferma con il cuore gonfio di sofferenza l’infermiera che aveva operato il tentativo di aborto della madre di Hannah. Come c’è una vita oltre la vita così c’è una vita dentro le prime ore del tuo concepimento, i primi giorni del tuo stato embrionale, i primi mesi della tua vita nel ventre materno. C’è una vita e una coscienza.
Che grande mistero è l’uomo e che grandezza conferisce all’uomo la fede nel suo destino infinito, eterno. Solo questo ci permette di perdonare e di amare comunque, quand’anche scoprissimo di non essere stati amati.
Guardo sr Karola e le vedo risplendere un sorriso di gratitudine, penso al grande dono di averla con noi. Al grande dono che siamo gli uni per gli altri grazie a una madre che non ci ha abortito e a un padre che ci ha volute, come il padre adottivo di Hannah.
Tornata in cella, ripenso al film mentre leggo un articolo di Giacomo Galeazzi, giornalista de La Stampa, che riprende la proposta di CulturaCattolica.it di dichiarare Chiara Corbella “uomo dell’anno 2012”.
Vedo la foto di Chiara e rivedo il sorriso bellissimo di Hannah nel film. Sì, è davvero una scelta ispirata, una donna come Chiara, che giovanissima muore per aver voluto la sua bimba e aver ritardato le cure per sconfiggere il tumore, rende evidente che inizio e fine vita sono legati al medesimo filo, quello della verità e della dignità dell’uomo.
Scriveva profeticamente Eliot che ci sarebbe dato un tempo in cui sarebbe stato necessario combattere e morire per rendere evidente la verità. È il nostro tempo che, per grazia di Dio, non rimane senza testimoni. Chiara è una di questi.
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