di Assuntina Morresi
Tratto da L'Occidentale il 29 novembre 2012
Tratto da L'Occidentale il 29 novembre 2012

Se telefonando potessi parlare con Silvio Berlusconi gli ricorderei la
lettera che gli ho scritto l’anno scorso, la sera delle sue responsabili e
dolorose dimissioni da Presidente del Consiglio per far posto al governo dei
tecnici di Mario Monti: riscriverei daccapo tutta la stima e l’affetto che ho
cercato di dimostrargli allora, in un momento così amaro e duro.
E se telefonando potessi parlare con Silvio Berlusconi, gli chiederei
perché ha deciso di farsi del male come sta facendo adesso. Gli chiederei perché
vuole distruggere se stesso, e quindi tutti noi che lo abbiamo seguito in
questi anni. Gli direi che la sua è una storia grande, che ha cambiato l’Italia
e in meglio, e che non merita un finale piccino, come quello che si sta
ostinatamente costruendo con le sue mani. E’ una storia costellata anche di
grandi errori, spesso non solo suoi, che però spiegano perché siamo arrivati a
questo punto. E che riconoscerli non è segno di debolezza, ma di forza e
saggezza politica.
Gli direi che tutto è cambiato, dal '94 ad oggi, e ancora di più dal 2008:
non c’era stato l’attacco forsennato alla casta, paginate di grandi quotidiani
e libri su libri che dovevano servire solo a distruggere il centrodestra
(perché tanto a sinistra qualunque cosa succeda, lo zoccolo duro di elettori
resta comunque intatto: lì si vota ancora per collocazione ideologica). La
conseguenza è che il movimento di Beppe Grillo da una percentuale da prefisso
telefonico è salito fino a essere il secondo partito politico, e di questo
dovrebbe ringraziare pubblicamente la ditta Stella&Rizzo, senza la quale
adesso avremmo un comico in più e un partito in meno.

Se telefonando potessi parlare con Silvio Berlusconi gli direi che lui ci
ha regalato vent’anni di libertà e di agibilità politica, ma che adesso è lui
che si deve fidare di noi, e deve lasciarci la possibilità di salvare tutto il
suo patrimonio politico, e la sua persona è inclusa.
Non si deve avventurare nell’illusione di un suo nuovo inizio come se nella
vita, personale e politica, si potesse veramente spingere il pulsante del
"reset" e tornare alla pagina iniziale, cancellando tutto quel che
c’è stato in mezzo. Funziona solo nella realtà virtuale dei computer, mai in
quella reale. Una lista personale in nome di una resuscitata Forza Italia,
significherebbe forse entrare in parlamento con un pugno di parlamentari
fedelissimi: ma per fare cosa? Con quale progetto politico? Con quale
prospettiva? A prezzo di quante macerie? Dopo quanti mesi di campagna
elettorale devastante, di nuovo tutta incentrata contro di lui, il bersaglio
ideale?
E per quale motivo una persona tre volte Presidente del Consiglio, che è
riuscita a bloccare il progetto di potere comunista nel proprio paese (perché a
sinistra per governare hanno dovuto prendere in prestito un democristiano come
Prodi, e poi accoltellarlo alla schiena perché un comunista potesse diventare
premier), un capo di governo che ha avuto l’onore di essere chiamato a parlare
al Congresso degli Stati Uniti di America, ecco, per quale motivo una persona
che è stata tutto questo e molto altro ancora, per quale motivo dovrebbe
ritenere una vittoria entrare in parlamento con qualche lista di pochi punti
percentuali, dopo aver demolito irreparabilmente il suo partito?
Se telefonando potessi parlare con Silvio Berlusconi, gli direi che la
nostra sopravvivenza è anche la sua. Che l’affermazione di Alfano alle primarie
è la sua affermazione. Che il rinnovamento del PdL intorno ad Alfano è il suo
rinnovamento. Che il testimone passato non può tornare più indietro, a meno di mandare
all’aria tutta la gara. E che a volte per vincere, dobbiamo accettare e fidarci
che altri lo possano fare e lo sappiano fare per noi. E che per camminare da
soli, i bambini non si mettono in gara con i padri, e i padri non si mettono in
gara con i figli: a un certo punto li lasciano andare, e guardano restando da
una parte, e non per questo si sentono di meno. Anzi. Sanno che è quello
l’unico modo per poter camminare insieme, vicini, un giorno, pur restando
ognuno al proprio posto.
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