martedì 11 dicembre 2012

DISPUESTO A MORIR MATANDO


Dispuesto a morir matando, come scrive un giornalone spagnolo. Eroico e caotico, egotico e noncurante, ma anche a suo modo tormentato, ribollente di orgoglio e di amor proprio, il nostro Cav. va a sbattere la testa contro il muro. Ridiventa uomo nero della democrazia italiana. Il mondo intero, partendo dall’Europa, è pronto al biasimo, alle tattiche di isolamento e di irrisione. Putin escluso, ma ha anche mal di schiena. Il circuito mediatico sprizza felicità per la preda ritrovata; la corsa della lepre tra le insalate e il sottobosco, alla ricerca della saggezza per una via di uscita da un ventennale casino, è finita. Si è fatto riacciuffare. Il circo giudiziario è lì che appresta le sue gogne vecchie e nuove. Immagine plastica: il televisionista Michele Santoro giovedì sera in collegamento farsesco-martirologico con il dottore Antonio Ingroia, promotore di pataccari e patacche in vacanza guatemalteca, abbronzato e tra le palme. Festeggia il centrosinistra di Pier Luigi Bersani: converge ora facilmente con un centro parassitario e politicamente nullo, ha in regalo un porcellum buono per una maggioranza che incorpora poetastri e versificatori di retoriche valoriali di sinistra comunista, soprattutto ha in regalo l’immagine giusta del nemico strategico, esce dalle contraddizioni del tempo di Mario Monti, il tecnocrate che ha tenuto a bada l’emergenza per incarico di un presidente post comunista e riformista, risanando e riaggiustando il possibile con uno stile e una sostanza freddi, liberali, terzisti, bancari, accademici, eurotemperati, rispettosi della storia complicata di questo paese da sempre a sovranità limitata e a democrazia debole. Festeggia il gruppo l’Espresso-Repubblica, si ricomincia, ma stavolta per darle, non per prenderle.

Poteva fare altrimenti? Certo. Poteva istruire una successione ordinata e credibile di classe dirigente, cosa che aveva cominciato ad approntare; favorire una rilegittimazione della nomenclatura e un suo rinnovamento e ringiovanimento con una gara competitiva sul fronte del consenso, poteva contribuire a una legge elettorale capace di bloccare il frontismo di centrosinistra senza distruggere anche il ricordo del maggioritario, poteva chiedere di andare con Monti e oltre Monti in una logica costruttiva, ritirarsi in una classica posizione senatoria, influente, occuparsi di Milanello e delle aziende e della politica e dell’economia con uno sguardo profondo ma non invasivo, delegando e salvaguardando la sua stessa scelta di non chiedere il voto a novembre del 2011, di provarci con il suo leale ex commissario in Europa, il gruppo Bilderberg come soluzione media e di emergenza tra un populismo maggioritario inchiodato da lunghi anni al nullismo politico e il populismo di sinistra in versione classista e socialdemocratica (ma sempre senza il riformismo, con ipoteche bestiali che il Financial Times finge di non vedere come Susanna Camusso, Maurizio Landini e Nichi Vendola). Poteva tracciare una rotta di convergenza con un pezzo dell’establishment che lo ha sempre visto come il fumo negli occhi e con il quale non ha mai saputo trattare: per lui non era così difficile, Monti fu rispettoso ed equilibrato.
Niente. Il Cav. ha scelto di imbiadare il suo destriero, di vederlo donchisciottescamente come un ronzino da corsa, e di battersi per tagliare un traguardo di minoranza e di sconfitta, in un contesto di isolamento psicologico e politico, idoleggiato dai suoi, alla testa di un’Italia che è legittimo sia rappresentata, e magari con argomenti non rozzi, con programmi e idee-forza non ripetitivi, ma non da lui oggi, dalla sua pancia, dalle sue viscere, non così, con un orizzonte cieco tra lontani mulini a vento.

La pelle è sua. E’ un vecchio amico. E’ il miglior fico del bigoncio. Ne ha fatte di tutti i colori, e ha difeso i colori della bandiera di un’Italia meno ipocrita e cupa di quella che nel 1994 aveva ereditato. Sparge allegria per chi non sia malamente perbenista. Sa sbagliare con torva meticolosità, in piena coazione a ripetere. Non ascolta altro che la eco del suo sé stesso. In questo è his own man, una personalità autonoma, che rischia in prima persona. Questo giornale seguirà le sue gesta (e quelle dei suoi arcinemici), anche perché l’Italia non è messa in pericolo dalle mattane del vecchio e ardimentoso tribuno, anche perché le alternative non sono credibili, e Berlusconi sarà autolesionista ma degno nella sua follia. L’elefante metterà il suo grugno, orecchioni e proboscide, a disposizione del muro verso il quale il Cav. si sta dirigendo, a tutta velocità. L’Italia dal 2013 sarà guidata da Bersani, e speriamo che gli spendaccioni non smantellino quel che resta di un anno reso possibile anche dalla responsabilità del Cav., e che mandino Monti al Quirinale. Speriamo. Passeremo molti anni a leccarci le ferite, come fanno i miei amati cani quando le prendono. E ho detto tutto.

 Giuliano Ferrara da Ilfoglio

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