Dispuesto a morir matando, come scrive un giornalone spagnolo.
Eroico e caotico, egotico e noncurante, ma anche a suo modo tormentato,
ribollente di orgoglio e di amor proprio, il nostro Cav. va a sbattere la testa
contro il muro. Ridiventa uomo nero della democrazia italiana. Il mondo intero,
partendo dall’Europa, è pronto al biasimo, alle tattiche di isolamento e di
irrisione. Putin escluso, ma ha anche mal di schiena. Il circuito mediatico
sprizza felicità per la preda ritrovata; la corsa della lepre tra le insalate e
il sottobosco, alla ricerca della saggezza per una via di uscita da un
ventennale casino, è finita. Si è fatto riacciuffare. Il circo giudiziario è lì
che appresta le sue gogne vecchie e nuove. Immagine plastica: il televisionista
Michele Santoro giovedì sera in collegamento farsesco-martirologico con il
dottore Antonio Ingroia, promotore di pataccari e patacche in vacanza
guatemalteca, abbronzato e tra le palme. Festeggia il centrosinistra di Pier
Luigi Bersani: converge ora facilmente con un centro parassitario e
politicamente nullo, ha in regalo un porcellum buono per una maggioranza che
incorpora poetastri e versificatori di retoriche valoriali di sinistra
comunista, soprattutto ha in regalo l’immagine giusta del nemico strategico,
esce dalle contraddizioni del tempo di Mario Monti, il tecnocrate che ha tenuto
a bada l’emergenza per incarico di un presidente post comunista e riformista,
risanando e riaggiustando il possibile con uno stile e una sostanza freddi,
liberali, terzisti, bancari, accademici, eurotemperati, rispettosi della storia
complicata di questo paese da sempre a sovranità limitata e a democrazia
debole. Festeggia il gruppo l’Espresso-Repubblica, si ricomincia, ma stavolta
per darle, non per prenderle.
Poteva fare altrimenti? Certo. Poteva istruire una successione
ordinata e credibile di classe dirigente, cosa che aveva cominciato ad
approntare; favorire una rilegittimazione della nomenclatura e un suo
rinnovamento e ringiovanimento con una gara competitiva sul fronte del
consenso, poteva contribuire a una legge elettorale capace di bloccare il
frontismo di centrosinistra senza distruggere anche il ricordo del
maggioritario, poteva chiedere di andare con Monti e oltre Monti in una logica
costruttiva, ritirarsi in una classica posizione senatoria, influente,
occuparsi di Milanello e delle aziende e della politica e dell’economia con uno
sguardo profondo ma non invasivo, delegando e salvaguardando la sua stessa
scelta di non chiedere il voto a novembre del 2011, di provarci con il suo
leale ex commissario in Europa, il gruppo Bilderberg come soluzione media e di
emergenza tra un populismo maggioritario inchiodato da lunghi anni al nullismo
politico e il populismo di sinistra in versione classista e socialdemocratica
(ma sempre senza il riformismo, con ipoteche bestiali che il Financial Times
finge di non vedere come Susanna Camusso, Maurizio Landini e Nichi Vendola).
Poteva tracciare una rotta di convergenza con un pezzo dell’establishment che
lo ha sempre visto come il fumo negli occhi e con il quale non ha mai saputo
trattare: per lui non era così difficile, Monti fu rispettoso ed equilibrato.
Niente. Il Cav. ha scelto di imbiadare il suo destriero, di vederlo donchisciottescamente come un ronzino da corsa, e di battersi per tagliare un traguardo di minoranza e di sconfitta, in un contesto di isolamento psicologico e politico, idoleggiato dai suoi, alla testa di un’Italia che è legittimo sia rappresentata, e magari con argomenti non rozzi, con programmi e idee-forza non ripetitivi, ma non da lui oggi, dalla sua pancia, dalle sue viscere, non così, con un orizzonte cieco tra lontani mulini a vento.
Niente. Il Cav. ha scelto di imbiadare il suo destriero, di vederlo donchisciottescamente come un ronzino da corsa, e di battersi per tagliare un traguardo di minoranza e di sconfitta, in un contesto di isolamento psicologico e politico, idoleggiato dai suoi, alla testa di un’Italia che è legittimo sia rappresentata, e magari con argomenti non rozzi, con programmi e idee-forza non ripetitivi, ma non da lui oggi, dalla sua pancia, dalle sue viscere, non così, con un orizzonte cieco tra lontani mulini a vento.
La pelle è sua. E’ un vecchio amico. E’ il miglior fico del bigoncio. Ne ha fatte di tutti i colori, e ha difeso i colori della bandiera di un’Italia meno ipocrita e cupa di quella che nel 1994 aveva ereditato. Sparge allegria per chi non sia malamente perbenista. Sa sbagliare con torva meticolosità, in piena coazione a ripetere. Non ascolta altro che la eco del suo sé stesso. In questo è his own man, una personalità autonoma, che rischia in prima persona. Questo giornale seguirà le sue gesta (e quelle dei suoi arcinemici), anche perché l’Italia non è messa in pericolo dalle mattane del vecchio e ardimentoso tribuno, anche perché le alternative non sono credibili, e Berlusconi sarà autolesionista ma degno nella sua follia. L’elefante metterà il suo grugno, orecchioni e proboscide, a disposizione del muro verso il quale il Cav. si sta dirigendo, a tutta velocità. L’Italia dal 2013 sarà guidata da Bersani, e speriamo che gli spendaccioni non smantellino quel che resta di un anno reso possibile anche dalla responsabilità del Cav., e che mandino Monti al Quirinale. Speriamo. Passeremo molti anni a leccarci le ferite, come fanno i miei amati cani quando le prendono. E ho detto tutto.
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