giovedì 31 ottobre 2013

ELEZIONI INEVITABILI


di Pierfrancesco De Robertis
ilrestodelcarlinoonline


SICCOME la parola «porcata» è ormai entrata nel gergo politico, da ieri esiste anche la «porcata democratica». Più o meno simile a quella inventata a suo tempo da Calderoli per farci votare senza scegliere gli eletti, non troppo diversa da quelle messe in atto negli anni da Berlusconi con le tante leggi ad personam suggerite dai suoi avvocati per arginare l’onda d’urto delle procure. Il nuovo che avanza, quello che «la politica è una cosa bella», non è insomma molto diverso dal vecchio che vuole scacciare, e quando si tratta di piegare a proprio uso le leggi e i regolamenti la forza vale più del diritto. Storia vecchia.
La realtà è che da ieri il governo è molto più debole di quanto lo fosse una settimana fa, e il due ottobre appare un lontano ricordo. L’orizzonte delle elezioni anticipate è abbastanza chiaro; non si sa con quale inchiostro verrà scritta la parole fine, ma si sa che di qui a qualche settimana qualcuno si prenderà la briga di vergarla.

SE INFATTI ieri il Pd non avesse voluto forzare la mano avrebbe avuto semplicemente la possibilità di attenersi alla prassi parlamentare e decidere per il voto segreto come accade nei casi che riguardano persone. Ci avrebbe pensato l’Aula a decretare la fine del Cavaliere, o al più la Cassazione convalidando tra un paio di mesi la decisione della Corte d’Appello di Milano sulla decadenza dai pubblici uffici.



Certo, aver voluto invece uccidere un uomo morto lasciando le impronte digitali sul cadavere può significare che il Partito democratico è la solita accozzaglia di teste calde incapaci di governare i propri sentimenti (vedi elezione del presidente della Repubblica), che i democratici non riescono a emanciparsi da quella miscela di antiberlusconismo manettaro tra fan delle procure e dei siti web più scalmanati, ma — dato che al Nazareno qualcuno la scuola dell’obbligo della politica l’ha fatta — può con più probabilità voler dire che la rotta è stata decisa: elezioni. E siccome la «porcata» di ieri ha avuto come primo effetto quello di ricompattare il fronte pidiellino e di risospingere nelle braccia del Cavaliere quelle colombe che il due ottobre scorso avevano retto Letta, è evidente che la fragile maggioranza di governo non ha una ma due gambe di meno a sorreggerla.

GODE quindi Renzi, che vuole al più presto giocarsi la chance di Palazzo Chigi, avendo già capito dalle prime avvisaglie sul tesseramento che il Pd è un animale molto più difficile da domare di una Leopolda qualunque, e che il proprio gioco del vedo-non vedo non può durare molto; gode Grillo, che dal caos generalizzato ha solo da guadagnare e tanto messi lì cento Carneadi se ne sostituiscono con altri cento; alla fine non si dispiace più di tanto il Cavaliere, che per come si erano messe le cose e vista l’inaffidabilità di un Pd incapace di reggere la pressione esterna e interna, non aveva altra scelta. Se metti all’angolo il gatto, il gatto graffia, ed è quello che ha fatto e che farà Berlusconi.

 

AI TEMPI DEL FASCISMO LA COSCIENZA FACEVA PAURA COME OGGI


Da ieri è tra parentesi, oltre al governo, anche la coscienza dei parlamentari.
Si vota sotto controllo contro l’Arcinemico.
Tutto nasce da una turlupinatura surreale del Pd, della sua nomenclatura e del presidente (Letta). Cosa volete che faccia un governo il cui capo dice che l'espulsione dal Parlamento del suo creatore politico, il Cav., non lo riguarda?
Non poteva che finire così, con una fucilazione nella schiena di Berlusconi decretata in un clima di paura della libertà di coscienza.
 E’ l’effetto della pacificazione del governo tra parentesi. Il governo (tra parentesi) è una buggeratura surreale che gli elettori di sinistra frou frou si meritano, noi no.
 

LA VITA E' COMPLICATA


L’omosessualità è complicata, come la vita, piantatela di saccheggiare anime

Non t’ammazzare che poi ti interpretano, saccheggiano la tua anima, e come diceva Majakovskij non si accorgono che “qualcosa si è infranto contro lo scoglio della vita quotidiana”, e aggiungeva: “Niente pettegolezzi, il defunto ne aveva orrore”. Viviamo in un tripudio di interpretazioni pettegole delle morti per suicidio, certi suicidi “si portano” più degli altri. La vita è complicata, l’omosessualità è una variante comune, antica, una libera condizione e insieme una prigionia, e come tale va rispettata, ma non si può escludere ovviamente che, alla stregua di altre condizioni umane, sia origine di problemi, di angosce, di dubbi e di ferite. Il sesso è fonte di gioia e di dolore, così la maternità, la disciplina culturale e familiare, tutto nell’esistenza, sia quando comincia e si sviluppa sia quando si consuma e tende a finire, è pieno di inganni e tradimenti. Piantatela di ridurre a sociologia d’accatto, a fonte di legge, il dramma personale.

Giuliano Ferrara
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martedì 29 ottobre 2013

LA FESTA DEI SANTI NON PUÒ ESSERE IN NESSUN MODO SOSTITUITA DA HALLOWEEN

MONS. MASSIMO CAMISASCA VESCOVO DI REGGIO EMILIA


Annullato il party organizzato dal Ctg in un castello di proprietà della diocesi. In quelle celebrazioni pagane si festeggiano «una zucca vuota illuminata al suo interno, fantasiosi fantasmi e folletti, immaginari mostri, streghe e vampiri»

I siti di alcuni quotidiani parlano di “scomunica”, calcando indebitamente la mano sulla decisione della Diocesi di Reggio Emilia Guastalla di non concedere il castello di Rossena, di sua proprietà, per lo svolgimento della festa in programma per la notte di Halloween. La festa era stata organizzata dal Ctg (Centro turistico giovanile), nato «in seno alla gioventù italiana di Azione Cattolica». Dopo le proteste di don Ennio Munari, parroco della Roncina e assistente spirituale della Ctg, che si è detto all’oscuro di tutto, è intervenuto il vescovo don Massimo Camisasca. La festa è stata annullata. Ecco il suo comunicato apparso sul sito della Diocesi e firmato da Camisasca.
 

Ci avviciniamo a due giorni importanti per i cristiani, ma più in generale per tutto il nostro popolo: la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti, 1 e 2 novembre. Sono due giorni a cui la nostra gente guarda da tutto l’anno. Nei santi, sia quelli che vivono in cielo, sia quelli che vivono sulla terra, vediamo persone vere, realizzate, perché interamente dedicate a Dio e al bene dei loro fratelli. Nei nostri defunti, per cui preghiamo e a cui ci lega una profondo vincolo di gratitudine e di affetto, riconosciamo coloro che ci hanno preceduto e che ci attendono.

La Festa dei Santi è una festa di gioia e di luce. Quella dei morti è una giornata di mestizia serena, consapevole che non tutto finisce, ma che c’è una vita oltre la vita. Le nostre comunità sono chiamate a celebrare questi giorni con particolare attenzione e profondità. In modo speciale la Festa dei Santi non può essere in nessun modo sostituita da Halloween. Come ricorda il recente documento dei vescovi dell’Emilia-Romagna su “Religiosità alternativa, sette e spiritualismo”, in quelle celebrazioni pagane si festeggiano “una zucca vuota illuminata al suo interno, fantasiosi fantasmi e folletti, immaginari mostri, streghe e vampiri”. Il diffondersi di Halloween mostra che le nostre comunità hanno spesso perduto il senso della festa e anche l’occasione di far festa intorno agli eventi della vita di Gesù e dei santi. Occorre riscoprire la gioia della fede. Perché questo possa accadere è necessario che la fede torni ad essere un’esperienza viva, consapevole, capace di dare forma alla vita. È ciò che la diocesi si propone di aiutare a vivere nell’anno pastorale che comincia, dedicato alla fede della Chiesa.

LA "RAZZA EBRAICA" E' SUSCETTIBILE

UNA NUOVA PERLA DELLA MAGISTRATURA ITALIANA
 
La vignetta di Vauro non era antisemita: per il magistrato se mai è la «razza ebraica» che è «suscettibile»
Confermando la condanna di Caldarola e Polito per diffamazione nei confronti del vignettista, un magistrato sfodera un paio di termini pazzeschi
Pierluigi Battista sul Corriere della Sera informa che nei giorni scorsi è stata confermata in secondo grado la condanna, risalente al maggio 2012, nei confronti di Peppino Caldarola e Antonio Polito, colpevoli di aver bollato di antisemitismo il disegnatore satirico Vauro, il quale nel 2008 aveva rappresentato in una vignetta la parlamentare ebrea Fiamma Nirenstein con il naso adunco e il distintivo della stella di David affiancato al fascio littorio e al simbolo del Pdl (immagine riprodotta qui a destra).
LIBERTÀ DI SATIRA? Caldarola era stato condannato come autore di un articolo satirico nei confronti del vignettista apparso all’epoca sul Riformista, Polito in qualità di direttore responsabile del quotidiano. E già il solo fatto che siano stati (ri)giudicati colpevoli, osserva Battista, è una «brutta notizia» (benché mitigata dall’annullamento del risarcimento di 25 mila euro comminato in primo grado), perché significa che, a differenza che per Vauro, per Caldarola e Polito «non esiste la libertà di critica e di satira».
IL RITORNO DELLA RAZZA. C’è tuttavia una notizia ancora peggiore di questa, aggiunge il giornalista del Corriere: «Il giudice (in realtà il procuratore generale, ndr) che presso la Procura di Roma ha confermato la condanna di Caldarola e Polito negando il contenuto antisemita della vignetta in cui Vauro ha mostrificato un’ebrea con il naso adunco, nel corso del suo intervento ha adoperato un termine sovraccarico di connotati negativi e cupamente legato a un passato che speravamo fosse stato superato: ha parlato di “razza ebraica”». Un termine che «oltre a essere insensato sul piano scientifico», osserva Battista, «è offensivo e denota una rozzezza lessicale, un’ignoranza della storia e un’insensibilità che davvero lascia stupefatti».
INSOPPORTABILI. Ma non è finita. Perché «il giudice – continua Battista – senza nemmeno quel minimo di prudenza che si dovrebbe ritenere implicito nel ruolo ricoperto, ha liquidato così le rimostranze della comunità ebraica italiana che, d’accordo con Caldarola, si è sentita offesa dalla vignetta di Vauro su una donna ebrea tratteggiata con il naso adunco della tradizione antisemita: “gli ebrei sono suscettibili”. Proprio così: “gli ebrei suscettibili”». «Lo sapevano i responsabili del Tribunale romano, del ministero della Giustizia, del Consiglio superiore della magistratura che a Roma c’è un giudice che considera “suscettibili” gli ebrei che si sentono oltraggiati dall’iconografia antisemita?», domanda provocatoriamente l’autore dell’articolo. «Suscettibili e con il naso adunco: insopportabili, no?».
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LIBERI DI ESISTERE VIVERE E PENSARE



Per educare un bambino di sette anni bisogna fargli credere che un bacio tra due donne valga più degli altri?

Se è vero che siamo tutti liberi di esistere, liberi di vivere la sfera sessuale in maniera più o meno adeguata al desiderio del nostro cuore e liberi di pensare la propria affettività secondo l’educazione ricevuta, è altrettanto vero che nessuno può arrogarsi il diritto, soprattutto se ha delle responsabilità educative specifiche, di utilizzare la funzione educativa per operare sistematici tentativi di omologazione ideologica a danno di famiglie e bambini.

A Bologna, purtroppo, succede che “qualcuno” fa suo questo diritto e ritiene che debba esistere un unico modo di vivere uguale per tutti, un solo modo di fare cultura e, cosa ancor più grave, una sola proposta educativa a cui tutti devono sottostare. Addirittura c’è qualcuno che per educare un bambino di 7 anni ritiene necessario fargli vedere che un bacio fra due donne vale più di qualsiasi altro bacio e che quindi va valorizzato il più possibile.

Tra questi “qualcuno” c’è il teatro Testoni che propone spettacoli ad un pubblico di bambini, bambini che vanno all’asilo, alla scuola materna, per crescere il più possibile in modo positivo e aperto. Imporre loro di fatto un’ idea falsa e non maggioritaria, è operare un danno alla democrazia.

Il comune di Bologna attraverso la sua ufficialità istituzionale, sottrae risorse a realtà più urgenti e significative della città e si permette il lusso di concedere al teatro Testoni la cifra di 810.000euro solo in virtù di una scelta ideologica e strumentale.

Non è l’opposizione ad una idea diversa dalla nostra che ci fa muovere, ma la preoccupazione dell’educazione reale di questi bambini e della salvaguardia della convivenza sociale e democratica.
Manif pour tous-Italia Bologna

venerdì 25 ottobre 2013

CINQUANT'ANNI DI INUTILITA'


L’Antimafia? Chiu-de-te-la

Cinquant’anni d’inutilità a difendere il solco che le procure tracciano



 

E che sarà mai questa commissione parlamentare Antimafia, pur bicamerale, ma tanto – proprio tanto – muffita di retorica? Tutti a scannarsi intorno alla poltrona della presidenza, c’è arrivata Rosy Bindi e ancora oggi, dopo tre giorni, il termometro della politica segna febbre alta. Non serve a niente la Commissione, non spaventa di certo i criminali e già sei mesi di vuoto (tanto ne è passato di tempo prima che si arrivasse a un esito elettivo in questa legislatura) sono una più che sufficiente prova di conclamata inutilità. Certo, serve a far schiuma. Uno come Saviano trova l’occasione per fare il suo assolo, altri s’accodano nel “non praevalebunt”, il copione è straccio ormai e perciò, in tutto questo vociare, l’unica cosa che ci sentiamo di dire è: chiu-de-te-la.

Chiudetela, questa Commissione inutilissima che dal 1962, cinquantuno anni, mastica buoni propositi e montagne di carta. Inutilissima e utile a volte solo per fare da controcanto alle inchieste, a volte da grancassa e solo una volta, grazie a Luciano Violante – presidente dal 1992 al 1994 – la commissione fu ardimentosa messa in scena di un processo politico. Fu qualcosa di più di un semplice tribunale: un tribunale dell’Inquisizione spagnola. Con l’interrogatorio di Tommaso Buscetta, infatti, Violante ottenne un risultato: dare un nome all’Entità che stava dietro a ogni intreccio criminale. Il nome fu quello di Giulio Andreotti (ancora non c’era Silvio Berlusconi) e fu così che Violante tracciò il solco che Gian Carlo Caselli, a Palermo, dovette difendere. La politica arrivò prima della magistratura in quella occasione ma la commissione risulta, ancorché storicamente, politicamente inutile perché l’Andreotti di ieri, cioè il Berlusconi di oggi, è già stato incastrato. Le procure hanno già tracciato il solco che la politica deve ormai solo rubricare. Chiu-de-te-la.

 DA ILFOGLIO.IT

LA CICUTA FRANCESE


Non penso qui da noi siano molti coloro che hanno appreso come in Francia, per un sindaco, sia diventato illegale rifiutarsi di sposare due gay. Un primo cittadino che non volesse compiere l’atto si vederebbe incriminato e passibile non solo di multa, ma anche di carcere. Fino a cinque anni. E senza la possibilità di delegare qualcun altro.

I commenti che ho letto, però, non mi pare azzecchino il punto. Infatti non è una questione di obiezione, di libertà di coscienza, di dovere civico. Per niente. E c’entrano davvero poco anche gli omosessuali. Sono stati usati. Utili idioti, se posso dirlo senza essere accusato di omofobia. Infatti non è un errore quello che sta avvenendo, non è una conseguenza della legge sul matrimonio gay, ma esattamente il fine ultimo per il quale quella legge contestata è stata concepita ed approvata. A causa sua, infatti, non è più possibile per un cattolico praticante e coerente aspirare alla carica di sindaco. A meno che non sia disposto a testimoniare fino al carcere e, diciamolo pure, al martirio, la sua fede.
Non è certo una novità, almeno in Francia. Nel 1790 il governo rivoluzionario, con la Costituzione Civile del Clero, aveva posto un’analogo aut-aut: o con lo Stato (per il bene del paese e della Rivoluzione, certo) sopra la Chiesa e sopra Dio, o…
Seguirono ghigliottine, annegamenti forzati, teste su picche e il resto del repertorio per chi non aveva aderito.
La prospettiva odierna è certo meno truculenta – ma anche nel 1788 nessuno pensava che di lì a poco sarebbe iniziato un bagno di sangue.
Con l’imposizione di un “sacrificio all’imperatore” gli attuali governanti francesi, che si sono distinti per una esplicita e reiterata ostilità al cristianesimo e per l’adozione in proposito di un’agenda indistinguibile da quella della massoneria, evidentemente sperano di ottenere un non expedit che liberi il campo da tutti quei fastidiosi provocatori cattolici che non accettano di stare rinchiusi in sacrestia. Magari pretendendo di dire pure la loro.
E qui da noi in Italia? Bene, ci provano. Infiltrando un po’ di ideologia gender nella legge sul femminicidio*, portando avanti la famosa legge sull’omofobia, oppure contando su colpi di mano europei (per adesso falliti).
Di utili idioti anche qui non ne mancano.

* Art.5 (…)
b) sensibilizzare gli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere e, in particolare, della figura femminile anche attraverso l’adozione di codici di autoregolamentazione da parte degli operatori medesimi;
c) promuovere un’adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell’ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curricolare ed extra-curricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l’informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo; (…)

mercoledì 23 ottobre 2013

UN PAPA CHE CI CONVERTE


di Costanza Miriano da Il Foglio

Una si trova con anni di trincea sulle spalle, veterana, piena di stellette in onore al merito di avere difeso Benedetto XVI a spada tratta in riunioni di redazione, cene di amici, raduni di parenti e assemblee condominiali, a volte anche con i passanti; si è letta di notte i suoi libri meravigliosi ma densissimi, lottando eroicamente contro il sonno e contro Nora Ephron che ammiccava dallo scaffale; ha elogiato la coscienza, si è introdotta allo spirito della liturgia, ha sfoderato sant’Agostino per tenere testa al collega colto; ha vegliato e pregato in piazza san Pietro per far sentire tutto l’affetto possibile al vicario di Cristo martire mediatico, e poi, così, a un certo punto, di botto, stanca e piena di cicatrici ma con ancora la scimitarra tra i denti, in un giorno solo, si ritrova senza preavviso pericolosamente circondata da amici.

Ma come? Dove sono finiti quelli che dovevo convincere? Dove sono finiti quelli che insultavano il mite Papa dandogli del nazista, e la Chiesa retrograda e ricca (dir male della Chiesa si porta sempre)? Rivoglio il mio mondo rassicurante, diviso in due, i vicini e i lontani. Certo, si sapeva sempre ben distinguere tra errore ed errante, tra carità e verità, tra amore per il fratello e chiarezza di giudizio, ma insomma uno schema era fatto. Io sto dalla parte della ragione, tu del torto, ma ti voglio bene lo stesso.

Adesso che è questo coro di consensi al Papa? Tutti in visibilio per croci di ferro e scarponi e metropolitane e case semplici. Che nervi la folla osannante. È molto meglio sentirsi tra i pochi che hanno capito. Anzi, meglio ancora sentirsi sulla soglia, sempre a un pelo dall’entrare tra i pochi, i felici (perché anche io come Groucho non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci una come me).
Insomma, che piccolo fastidio all’inizio il coro forse un po’ superficiale di consensi. E insieme che dispiacere scoprire di non provare lo stesso slancio per certi atteggiamenti e parole del Papa, che pure riconoscevo evangelici.

In questa mancata adesione mi sono trovata in compagnia di tanti cattolici, che pure stimo, e di cui condivido le idee. Il loro dissenso ha cominciato ad essere ampio, e anche sostanziale. Di fronte ai dubbi rispettosi e riservati mi si è stretto il cuore, di fronte a certe loro durezze contro il Papa, invece, ho provato un grande disagio soprattutto se ad esprimerle erano miei amici.

Nel tentativo di trovare il bandolo, proverei invece a capovolgere la questione, non solo perché il Catechismo dice che i fedeli devono aderire al successore di Pietro “col religioso ossequio dello spirito” credendo che lui è assistito da Dio, non solo perché un cattolico non si sceglie in cosa credere, si prende il pacchetto completo, ma perché trovo molto più interessante il punto di vista opposto, almeno sul piano spirituale (mentre mi dichiaro ampiamente priva di strumenti e inadeguata a valutare un pontificato dal punto di vista storico, che è probabilmente, legittimamente, l’aspetto che più interessa gli atei devoti e questo giornale).
Se alcune scelte del Papa danno fastidio a molte persone, tra cui diverse che stimo moltissimo, e se a volte anche io, lo ammetto, non ho condiviso lo slancio entusiastico che sembra avere contagiato tutti, mi sembra fondamentale chiedermi il perché. Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema siamo noi. Quindi: che problema ho io?
È come quando ai miei figli non torna qualcosa in un compito: la loro primissima ipotesi è sempre che sia il libro ad essere sbagliato, anche se si astengono dall’esprimere la loro intima convinzione, perché la filippica che si beccherebbero li allontanerebbe dall’unico vero obiettivo della loro dedizione al sapere: la merenda.


Cosa ci dà fastidio, dunque, e perché? Il problema è il nostro

FERMA LE POLITICHE ABORTISTE DEL PARLAMENTO EUROPEO

Nei prossimi giorni il Parlamento Europeo dovrà pronunciarsi sul progetto di risoluzione riguardante "Salute e diritti sessuali e riproduttivi" ("Sexual and Reproductive Health and Rights”) a cura della deputata portoghese Edite Estrela. Questa iniziativa si deve all'azione della lobby abortista International Planned Parenthood Federation (IPPF), che dopo il successo della raccolta di firme di "Uno di Noi” rischia di non godere più dei sovvenzionamenti comunitari, e che quindi intende promuovere l'aborto come metodo contraccettivo e come diritto umano a livello europeo.

Questo progetto umilia la dignità dell'essere umano allo stadio embrionale, attacca esplicitamente il diritto all'obiezione di coscienza e offende le libertà educative dei genitori, addirittura chiedendo all'Unione Europea di finanziare l'aborto all'interno dei propri programmi di aiuto allo sviluppo verso Paesi esterni. Oltretutto, l'argomento della risoluzione non può essere legittimamente discusso in sede europea, dato che è di esclusiva pertinenza degli Stati membri (come conferma una risposta della Commissione Europea dell'anno scorso).

Con la petizione "Ferma le politiche abortiste del Parlamento Europeo”, promossa da CitizenGO in cinque lingue, chiediamo al Partito Popolare Europeo e al suo presidente Joseph Daul di opporsi nel modo più fermo all'approvazione di questo progetto. Tanto più che lo stesso PPE aveva contribuito in modo decisivo all'approvazione dell'importante Risoluzione 1763, presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, a difesa del diritto all'obiezione di coscienza.

Restano solo pochi giorni per chiedere ai deputati del PPE di non votare questa proposta: ti chiediamo quindi di firmare e diffondere la nostra petizione intitolata "Ferma le politiche abortiste del Parlamento Europeo”.

Sottoscrivi questo appello urgente a difesa del diritto alla vita e della libertà di obiezione di coscienza
Grazie per il tuo impegno in difesa del diritto alla vita, della libertà di obiezione di coscienza e della libertà di educazione.


http://www.citizengo.org/it/445-firma-contro-la-promozione-dellaborto-nellunione-europea?sid=MzE1NzQ0MDcxMjAwODAz

http://www.novaeterrae.eu/fondazione-novae-terrae/italian-news/dodici-ragioni-per-contrastare-il-progetto-risolutivo-estrela.html

lunedì 21 ottobre 2013

UNA VENTATA DI ARIA FRESCA

America cover
Padre Thomas Reese, gesuita troppo liberal perfino per dirigere America, la rivista newyorchese della Compagnia – fu costretto alle dimissioni nel 2005, si dice su pressione del Vaticano in seguito a posizioni non in linea su etica e morale – loda in una conversazione con il Foglio i primi mesi di pontificato di Francesco.


La rottura col passato, il passaggio dal teologo bavarese al gesuita argentino, è chiara e netta: “Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano accademici abituati a fare distinzioni e parlare in astratto. Francesco, invece, è un pastore che mette al centro la comunicazione su ciò che è l’essenza del Vangelo. Bergoglio parla con immagini vive, spiega ad esempio che la chiesa è un ospedale da campo. Crede che le persone siano attirate verso la cristianità non dalle dispute, ma dalla bellezza, la bellezza di una comunità capace di amare seguendo il messaggio meraviglioso dell’amore di Dio”. C’era bisogno, insomma, di un uomo che sapesse comunicare con chiarezza il Vangelo; ci voleva “uno che riconciliasse” il popolo fedele con la chiesa intesa come Istituzione dopo le contrapposizioni e il calvario degli ultimi anni.
Il cardinale Timothy Dolan, combattivo presidente della Conferenza episcopale americana (il rinnovo delle cariche è in programma il prossimo novembre durante l’assemblea annuale di Baltimora), dopo qualche perplessità sul cambiamento di rotta riguardo i princìpi non negoziabili – il Papa ha chiarito che non bisogna parlarne sempre, che le priorità sono altre – e sulle scarse capacità manageriali del Pontefice, ha parlato di una “ventata d’aria fresca” che soffierebbe ormai impetuosa sulla cupola di San Pietro e sui vetri dell’albergo Santa Marta. Evangelizzazione, missione, periferia. E’ l’invito a uscire, a non chiudersi nelle chiese, a non essere cristiani di sacrestia, come ha ripetuto Francesco mercoledì scorso nell’udienza generale.
Thomas Reese SJ
La verità, dice padre Reese, è che più delle agende pastorali e di programmi più o meno chiari di pontificato, “è lui, il Papa, la ventata d’aria fresca” che si attendeva da tempo. Il gesuita preso quasi alla fine del mondo “ha come obiettivo quello di comunicare il Vangelo in parole comprensibili e attraenti. Rifiuta la pompa che separa lui e gli altri esponenti del clero dal popolo cattolico. E’ in grado di capire che parole, paramenti e simboli del Tredicesimo secolo non potranno mai comunicare qualcosa alla gente del Ventunesimo secolo. Francesco vuole tornare all’essenza del Vangelo e trovare nuove strade per comunicarlo ai fedeli d’oggi”. Niente dubbi, per l’ex direttore di America, neppure sul Papa che rilascia interviste (senza controllarne il testo prima della pubblicazione) come fossero piccole encicliche da diffondere al mondo: “Non c’è alcun pericolo, nessun rischio di ingenerare confusione e di creare incomprensioni. La vecchia maniera di comunicare era inefficace. Quanta gente legge le encicliche papali? Quanti sono in grado di capirle? Più che parlare a un ristretto gruppo di ecclesiastici, Francesco vuole parlare al mondo”. E questo non significa venire a patti con esso, non porta a scendere su un piano mondano? Tutt’altro: “Bergoglio non è un relativista. Come gesuita, crede semplicemente nello Spirito, quindi tenta di trovare Dio in ogni cosa. Francesco venera la storia e la tradizione della chiesa, ma interpreta ciò non come nostalgia di un tempo perfetto ormai perduto, bensì come strada per imparare come entrare nel futuro con l’aiuto dello Spirito Santo”.
Il Papa, aggiunge Reese, “è convinto che nel messaggio della chiesa c’è molto di più che regole e regolamenti”. Il suo messaggio è chiaro: “I fedeli non possono più essere spinti a fare il bene sotto minacce e ammonimenti, con la paura. Devono prima essere conquistati con l’amore”, spiega il nostro interlocutore. La strategia è semplice: meno dottrina e precetti, più pastorale. E’ questa “la ventata d’aria fresca” necessaria per la salvezza della chiesa.



IL VERO PAPA NON E' QUELLO DI REPUBBLICA



 

Giù le mani dal papa. Bisogna ripeterlo oggi che Francesco si trova strattonato a destra e a sinistra.
Bersagliato da contestatori cattolici superficiali e imprudenti che lo rappresentano come modernista eterodosso e stravolto da sostenitori laicisti che lo applaudono attribuendogli idee egualmente eterodosse e quasi atee.

Un circo mediatico assurdo.
Come se non bastasse a questi due schieramenti se ne aggiunge un terzo, quelli dei neobergogliani fondamentalisti, che si sentono “superapostoli” di questo papa e “giudicano” chi, fra i credenti, ha la fede e la grazia, e chi no.
Ma di questi dirò in conclusione.


SENZA DIO?

Comincio dal caso più eclatante: quello di “Repubblica”. Martedì scorso, un editoriale di prima pagina di Ian Buruma, che sembra ignaro di secoli di dottrina cattolica relativa alla “retta coscienza”, attribuiva al papa l’idea che “non è poi necessario che Dio o la Chiesa ci dicano come dobbiamo comportarci. Basta la nostra coscienza”.

L’editorialista traeva la conclusione che papa Francesco starebbe così abbattendo il credo cattolico: “nemmeno i protestanti più devoti si spingerebbero tanto lontano. I protestanti si sono limitati ad eliminare i preti in quanto tramite tra l’individuo e il suo creatore. Le parole di papa Francesco lasciano pensare invece che quella di eliminare lo stesso Dio potrebbe rappresentare un’opzione legittima”.

Abbiamo letto bene? Dunque, secondo quanto sta scritto sulla prima pagina di “Repubblica”, papa Francesco vorrebbe insegnare a “eliminare Dio”?

In realtà lo stesso Buruma poi giudica “un po’ sconcertante” tale idea. Per la precisione è una colossale sciocchezza. Che neanche meriterebbe una confutazione.

Siccome però qualche lettore laico di “Repubblica” o qualche cattolico intransigente potrebbe crederci (e magari partire all’attacco del Papa), faccio sommessamente notare che il vero magistero di Francesco insegna esattamente il contrario di quella nozione di coscienza che il giornale scalfariano gli attribuisce.

 

NELLA COSCIENZA DELLE ORIGINI STA LA FECONDITA'

A MONS. LUIGI NEGRI IL PREMIO
DELLA CULTURA CATTOLICA


di Giovanni Fighera LA NUOVA bq 21-10-2013



 

È bello sentire qualcuno che racconti una storia, la propria storia, perché vuol dire che c’è una vita. Ancor più bello è quando la storia che ti viene raccontata è piena di speranza, una testimonianza di gratitudine nei confronti di chi ti è stato e continua ad esserti maestro. Allora si capisce che è sempre indispensabile tornare alle origini della propria storia. Comprendi che solo nella consapevolezza delle tue origini, nella gratitudine per chi ti è padre nasce la fecondità. Sant’Agostino commenta la frase del Vangelo «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» dicendo che chi ha coscienza del debito di gratitudine verso chi ci è padre e ci ha donato tutto sarà fecondo e otterrà ancora di più, chi, invece, non conosce la propria origine e verso chi è debitore perderà tutto e non darà alcun frutto.

Queste riflessioni sono scaturite in me venerdì sera al Teatro Remondini di Bassano del Grappa, dove si è tenuta la cerimonia di consegna del riconoscimento del Premio Cultura Cattolica, XXXI edizione. Quando il premiato mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara – Comacchio e Abate di Pomposa, ha risposto alle domande personali rivoltegli dal giornalista Andrea Tornielli, è andato alle origini della sua crescita, del suo modo di concepire la vita e i rapporti con le persone: l’incontro con Cristo, avvenuto prima in famiglia e poi, di nuovo, nella figura di Don Luigi Giussani. Quando era piccolo, il padre gli diceva: «Vado a lavorare per collaborare alla gloria di Cristo nel mondo». Per suo padre la fede era pertinente alla vita, riguardava anche il duro lavoro e la fatica. La vita in quelle case dei quartieri poveri di Milano negli anni Quaranta del Novecento era una vita povera di mezzi materiali, ma ricca di dignità. La dignità della vita risiede, infatti, nella cultura, ovvero nella concezione che si ha della vita.

Negri ha, poi, incontrato Don Giussani sui banchi di scuola del Liceo Berchet di Milano e l’ha seguito fin dalle prime ore di Religione dedicate al senso religioso, a Cristo e alla Chiesa. L’inizio di tutto fu lì, al Berchet, nell’invito costante ad approfondire il proprio bisogno di uomo, la propria natura. Infatti, solo in una vera esperienza umana si può capire che Cristo è una corrispondenza perfetta alla domanda del cuore della persona. «Voi cristiani dove siete?» chiese don Giussani ai ragazzi del Berchet. Qualcuno colse questa provocazione come una chiamata in cui l’incontro con Cristo avrebbe compreso in sé ogni ambito della vita, dallo studio alla cultura, dai rapporti di amicizia alla politica. Nella vita di mons. Negri la grazia è passata attraverso le circostanze dell’esistenza, attraverso gli incontri che ha avuto. Mons. Negri ricorda che era molto sedentario e passava molto tempo in casa a leggere. Dopo l’incontro con don Luigi Giussani è nata per lui una possibilità di vita nuova. Mons. Negri ricorda che stava studiando Matematica quando ha pensato che avrebbe potuto dedicarsi totalmente a Dio. Lo raccontò a don Giussani che gli consigliò di custodire nel cuore quell’intuizione. All’Università, poi, Negri iniziò ad essere missionario, ad aiutare i ragazzi universitari che avevano bisogno e maturò la decisione del sacerdozio.

Altre figure sono state fondamentali per mons. Negri. L’arcivescovo di Milano Schuster era ai suoi occhi un santo. Il suo successore Montini era deciso nei principi, discreto nelle indicazioni. Papa Giovanni Paolo II ha indicato che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» e non, può, quindi incidere nella vita, nella storia e nella società. Papa Benedetto XVI ha insegnato l’apertura della ragione in tutto il suo magistero proponendo «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza». Già san Paolo con il suo richiamo «Vagliate tutto, trattenete quello che è buono» ci propone una ragione aperta a tutto, che dialoga con tutti, che non misura, ma si spalanca al vero e al bene. La ragione spalancata e non ridotta arriva a cogliere che l’uomo non può capire tutto il Mistero della realtà. Si protende così a percepire l’inadeguatezza della condizione umana di fronte all’infinito, a capire il limite nella conoscenza e la necessità che sia il Mistero a rivelarsi. Ragione e fede sono comunicanti e in continuo dialogo.

La rinuncia di papa Benedetto XVI è stato un dolore grande per mons. Negri, ma, nel contempo, una grande testimonianza di fede, perché il Pontefice ha voluto bene a Cristo e alla Chiesa piuttosto che essere attaccato a se stesso. Ha mostrato il senso del limite, virtù rara, ma fondamento di ogni costruzione morale. Senza il senso del limite non si procede nella conoscenza della realtà e, nel contempo, non si può comprendere la totale corrispondenza di Cristo al nostro bisogno. Il peccato più grave del nostro tempo è, invece, la perdita del senso del peccato. Quando l’uomo non ha più coscienza del proprio peccato e si percepisce autosufficiente, non ha più bisogno di Cristo. Cristo è accolto da chi si sente bisognoso e mendicante, mentre chi si sente a posto non può riconoscerlo. «Niente è tanto incredibile quanto la risposta ad una domanda che non si pone» (Niebur). Oggi, l’uomo, nel suo delirio di autosufficienza, non percepisce che non si può dare la felicità da solo, tanto meno non si può salvare da solo.

All’epoca di Gesù come oggi, nella cultura che abbiamo delineato, la missione non è l’obiettivo, ma è il metodo, la strada, perché la vita sia vera. Oggi si apre la stagione della nuova evangelizzazione, rivolta ad un interlocutore che è lontano da Cristo e dalla Chiesa, che è stato vicino magari, un tempo, ma poi se ne è andato. Bisogna far capire a tutti che è sempre aperta la possibilità di tornare all’interno della Chiesa. Papa Francesco è testimonianza in atto di questa nuova evangelizzazione.

Nella figura di mons. Luigi Negri si rende palese quanto scriveva Cesare Pavese: «Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia». La creatività trova la sua scaturigine più autentica nella tradizione e nel radicamento nelle proprie origini. Questa considerazione è valida sia per il singolo individuo che per un popolo. Quando un popolo si allontana dal proprio passato, dai valori che hanno sempre rappresentato la coscienza della comunità, anche la cultura e l’arte perdono lo splendore e la capacità di essere sempre nuovi, eppure sempre validi e universali. Una pianta, radicata nel terreno, riceve sempre nuova linfa, perde le foglie vecchie e ne fa germogliare delle nuove. Ogni esperienza di vera appartenenza reca in sé la vitalità che proviene dalla verità sulla vita che viene tramandata di generazione in generazione, di padre in figlio.

NON SPOSI I GAY?


In Francia ti danno tre anni di prigione

di Massimo Introvigne lanuovabq 20-10-2013


Il 18 ottobre 2013 il Consiglio Costituzionale francese ha assestato un altro colpo alla libertà di coscienza, stabilendo che i sindaci e gli ufficiali di stato civile non possono rifiutarsi di celebrare matrimoni omosessuali per ragioni morali o religiose. Se persistono nel rifiuto, sono passibili di una pena detentiva fino a tre anni. Di fronte ai diritto dei gay al matrimonio, non esiste secondo il Consiglio Costituzionale nessuna obiezione di coscienza.

Non si tratta di quattro gatti. I sindaci obiettori e gli eletti locali e nazionali che li sostengono in Francia sono oltre ventimila. E i laicisti, che si appellano tanto spesso e volentieri alla coscienza, sono riusciti a far prevalere l'idea che esistono «zone franche» - soprattutto quella dei diritti degli omosessuali - dove la libertà di coscienza non si applica.

Il problema è mondiale, e riguarda una frontiera cruciale della libertà minacciata dalla dittatura del relativismo. Nell'aprile 2012, nella loro lettera pastorale sulla libertà religiosa, i vescovi del Canada avevano levato la loro voce per ricordare la norma contenuta nel n. 2242 del Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. "Rendete [...] a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21). "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At 5,29)».

Il problema era simile a quello francese: in Canada, spiegavano i vescovi, «in quattro Province (Colombia Britannica, Manitoba, Terranova, Saskatchewan) gli ufficiali di stato civile devono celebrare i matrimoni omosessuali oppure dimettersi dalle loro cariche pubbliche». Dimettersi? In Francia si va in prigione, e ci sono sindaci degli Stati Uniti finiti in carcere per le stesse ragioni.

I sindaci francesi faranno appello alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. ma con poche speranze. Infatti il 15 gennaio 2013 la stessa Corte ha dato torto alla signora Lilian Ladele in un caso che la opponeva alla Gran Bretagna.

La signora Ladele era un’impiegata municipale a Londra che si occupava di condurre matrimoni civili. Nel 2007, dopo che la Gran Bretagna aveva introdotto la celebrazione di unioni civili tra omosessuali, l’impiegata obiettò che la sua coscienza di cristiana le impediva di celebrarle. Dal momento che la legge britannica non prevede la possibilità di obiezione di coscienza in questi casi, fu licenziata.
Nel caso Ladele la Corte ha ritenuto che spetta ai tribunali nazionali decidere su quale debba prevalere tra due diversi diritti entrambi protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo così come interpretata dalla giurisprudenza della stessa Corte, il diritto degli omosessuali a non essere discriminati e il diritto alla libertà religiosa. Pertanto i tribunali inglesi avevano la legittima possibilità di far prevalere i diritti degli omosessuali. Il licenziamento della Ladele è stato confermato.

Nel caso Ladele anche la Corte Europea ha mostrato pericolosamente che, quando si tratta di matrimoni e unioni omosessuali, i giudici ritengono che la libertà religiosa possa essere messa fra parentesi, negando il diritto all’obiezione di coscienza a pubblici funzionari. Corrono brutti tempi per la libertà di coscienza. Come dimostra in Francia la Manif pour Tous, la battaglia potrà essere vinta solo da un grande movimento di popolo. Di giudici e politici non c'è da fidarsi.

I MANOVALI DEL PARLAMENTO


Non ce ne stiamo accorgendo ma la repubblica di Napolitano e della Boldrini, del ministro Kyenge e dei manovali del Parlamento sta stravolgendo lo Stato di diritto

Marcello Veneziani - Ven, 18/10/2013


Non ce ne stiamo accorgendo ma, nel giro di poche settimane, la repubblica di Napolitano e della Boldrini, del ministro Kyenge e dei volenterosi manovali del Parlamento, sta stravolgendo lo Stato di diritto e il senso della giustizia col plauso dei media.
Viene introdotto il reato di omofobia, nasce cioè un reato dedicato in esclusiva; viene introdotto il femminicidio, cioè viene stabilito che c'è un omicidio più omicidio degli altri; viene negato il reato di immigrazione clandestina e dunque la cittadinanza non ha più valore; viene introdotto il reato di negazionismo, valido solo per la shoah.
Vengono così stravolti i principi su cui si fonda ogni civiltà giuridica: l'universalità della norma che deve valere per tutti, il principio più volte sbandierato e poi di fatto calpestato, della legge uguale per tutti; viene punito col carcere il reato d'opinione, e colpendo solo certe opinioni; viene sancita la discriminazione di genere, a tutela di alcune minoranze; è vanificata l'opera del giudice nell'individuare eventuali aggravanti nei reati giudicati perché vengono indicate a priori quelle rilevanti e dunque sono suggerite pure quelle irrilevanti.
Usano l'eccezione per colpire la norma, piegano le leggi a campagne ideologico-emotive e le rendono variabili. Sfasciano la giustizia col plauso dei giustizialisti, uccidono la libertà e l'uguaglianza, il diritto e la tolleranza nel nome della libertà e dell'uguaglianza, del diritto e della tolleranza.
Un mostro. E se provi a dirlo, il mostro sei tu, a suon di legge.

martedì 15 ottobre 2013

CHI E' PAPA FRANCESCO


 
DON GABRIELE MANGIAROTTI
 
Sembrava, per i maestri del pensiero dominante, che per la Chiesa Cattolica fosse giunta la fine, sommersa dagli scandali. Il pettegolezzo sulla Curia vaticana, le disavventure dello IOR, il “corvo” tra i più intimi del Papa avevano gettato un’ombra sulla Chiesa che sembrava far franare ogni possibile velleità di presenza.
Relitto del passato, realtà anacronistica e ingombrante, testimone di un’epoca che non sarebbe più ricomparsa.
La Chiesa sembrava affossata e seppellita dai suoi stessi membri autorevoli.
Pedofilia, corruzione, insegnamento sclerotizzato parevano l’unica parola possibile per ricordare questa obsoleta istituzione.
E poi? E poi lo shock delle dimissioni di Benedetto XVI, con l’attesa di quello che sarebbe successo. E la commozione per un gesto, quel gesto che rivelava una libertà e una grandezza d’animo che non si ritenevano più possibili.

E la sera del 13 marzo quel “Buonasera” che ha spiazzato tutti, e quel silenzio di preghiera che ha fermato il cuore del mondo.
Quella sera si è riaperto il credito e l’attesa. E in tanti si sono fatti la domanda dei primi testimoni di Gesù: “Ma chi è dunque costui?”
Questa domanda permane ancor oggi, per tanti. E sono i giovani che lo vanno ad ascoltare, e sono i poveri che, nelle loro periferie, si accorgono di avere un amico che li stima, ma sono anche i tanti che si sentono disorientati per una presenza che li spiazza.
C’è una immagine che mi rimane nel cuore. Il giorno del pellegrinaggio ad Assisi di papa Francesco stavo davanti alla TV per vedere l’incontro con i giovani, per ascoltare il suo messaggio (e già da subito mi aveva incuriosito il modo con cui egli aveva giudicato i mass media e le loro “profezie” sul gesto clamoroso ed eclatante che avrebbe dovuto compiere: si è spogliato sì, ma della “mondanità spirituale”).

Quella sera ho visto un padre che aveva tempo per i suoi figli, tutti, senza fretta. Ed erano suoi i tanti disabili che lo abbracciavano, ed erano suoi i tanti frati che lo salutavano. Allora ho capito che questo è il suo segreto. E mi è venuto alla mente quel racconto in cui Don Giussani ricorda l’incontro con un missionario in Brasile, così come lo ricorda A. Savorana nel bel libro “Vita di don Giussani” edito dalla Rizzoli: «Giussani incontrò un gruppetto di missionari del PIME, a Santana, una cittadina fluviale sul Rio delle Amazzoni (a venti chilometri da Macapà), e uno di essi, padre Angelo Biraghi, «grande e grosso, mi dice una sera: “Accompagnami in un pezzo di desobriga [visita pastorale alle comunità dell’interno; N.d.A.], e ho visto che lo diceva con un’aria un po’ sorniona, un po’ ironica, ma io ho detto di sì. Sono andato e a un certo punto, dopo qualche ora di macchina, si fermava tutto, la macchina doveva tornare indietro, iniziava un pantano che doveva attraversare in otto ore, ed era già verso sera (c’era un nugolo di moscerini che faceva diventare la faccia gonfia)». A quel punto padre Biraghi gli dice: «Guarda, scherzavo: torna indietro tu»; quindi il padre missionario «si è messo le calosce che gli arrivavano fino alla vita, e poi ho capito perché mi aveva detto così: ha incominciato a entrare in quel fango fino all’anca e ci voleva un minuto per fare un metro. E io ero là che lo vedevo allontanarsi e lui che si voltava indietro, mi salutava, sorrideva col sorriso sornione del giorno prima, ed era sera, e il sole lì cade in un quarto d’ora, quindi oramai imbruniva e lo vedevo un po’ lontano, circondato proprio dalla nuvola (nel senso di insetti), e la sua prima meta, dopo otto ore, era un seringueiro che stava tirando fuori, in quella zona della foresta, la gomma dagli alberi». Giussani non lo dimenticherà per tutta la vita: «Racconto sempre ai miei amici questo particolare [...]; sarò stato lì almeno mezz’ora senza muovermi pensando: “Ma guarda cos’è il cristianesimo! Quest’uomo che rischia la pelle per uno (uno!), per andare a trovare uno che prima non aveva mai conosciuto e che magari non avrebbe mai più visto nella vita, per portargli una parola e per segnare un gesto di amicizia!”. Insomma, io raccordo con quel momento, con quell’istante, la percezione vivida del fatto che il cristianesimo nasce proprio come amore.
Sì, perché il cristianesimo è questo: l’avvenimento di Cristo presente che ha un amore infinito per l’uomo, per ogni uomo.» [pag. 282]

Papa Francesco ce lo insegna e ce lo mostra, perché lo vive.
E brucia, con la sua presenza, tutte le interpretazioni, di destra o di sinistra, che non riescono a leggere quello che accade. Sono come l’ago della bussola in presenza di un forte campo magnetico. Tutte le categorie usuali svaniscono.
Ci è chiesto allora di imparare a guardare a Papa Francesco con gli occhi della fede e con il realismo della speranza.

P.S.: Questo dovrà far pensare tutti quei farisei che ritengono che questo Papa farà piazza pulita degli “integralisti” e dei “bigotti”, ritenendosi (loro) sempre a posto; loro che non hanno mai ascoltato e preso sul serio il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Non “ringrazino perché non siamo come gli altri”, ma imparino realmente che cos’è la misericordia e la comunione. Attenzione: Non esiste il “Papa dei media”, esiste Papa Francesco che vive l’ansia di comunicare a tutti gli uomini l’amore a Cristo presente.
E per chi è disorientato perché non ritrova nei discorsi tanto esaltati dai media la autentica tradizione cattolica, ricordiamo che quello che il Papa insegna si trova nel suo magistero ordinario, a cominciare dalla Lumen fidei. Il resto è un tentativo – in altri tempi si sarebbe detto “ironico” – per toccare il cuore dei lontani.

P. P. S.: Lasciamo pure che i mass media facciano il loro mestiere. Non sono certo loro gli esegeti del Papa, neppure se si chiamano Scalfari e neppure se, come Spadaro, dirigono la prestigiosa Civiltà Cattolica. A tutti vogliamo ricordare che, come con insistenza ci ha detto Papa Benedetto XVI, il criterio del cattolicesimo non sta nell’opinione personale ma nella fedeltà al magistero.