L’Antimafia? Chiu-de-te-la
Cinquant’anni d’inutilità a difendere il solco che le procure tracciano
E che sarà mai questa commissione parlamentare Antimafia, pur bicamerale,
ma tanto – proprio tanto – muffita di retorica? Tutti a scannarsi intorno alla
poltrona della presidenza, c’è arrivata Rosy Bindi e ancora oggi, dopo tre
giorni, il termometro della politica segna febbre alta. Non serve a niente la
Commissione, non spaventa di certo i criminali e già sei mesi di vuoto (tanto
ne è passato di tempo prima che si arrivasse a un esito elettivo in questa
legislatura) sono una più che sufficiente prova di conclamata inutilità. Certo,
serve a far schiuma. Uno come Saviano trova l’occasione per fare il suo assolo,
altri s’accodano nel “non praevalebunt”, il copione è straccio ormai e perciò,
in tutto questo vociare, l’unica cosa che ci sentiamo di dire è: chiu-de-te-la.
Chiudetela, questa Commissione inutilissima che dal 1962, cinquantuno anni,
mastica buoni propositi e montagne di carta. Inutilissima e utile a volte solo
per fare da controcanto alle inchieste, a volte da grancassa e solo una volta,
grazie a Luciano Violante – presidente dal 1992 al 1994 – la commissione fu
ardimentosa messa in scena di un processo politico. Fu qualcosa di più di un
semplice tribunale: un tribunale dell’Inquisizione spagnola. Con l’interrogatorio
di Tommaso Buscetta, infatti, Violante ottenne un risultato: dare un nome
all’Entità che stava dietro a ogni intreccio criminale. Il nome fu quello di
Giulio Andreotti (ancora non c’era Silvio Berlusconi) e fu così che Violante
tracciò il solco che Gian Carlo Caselli, a Palermo, dovette difendere. La
politica arrivò prima della magistratura in quella occasione ma la commissione
risulta, ancorché storicamente, politicamente inutile perché l’Andreotti di
ieri, cioè il Berlusconi di oggi, è già stato incastrato. Le procure hanno già
tracciato il solco che la politica deve ormai solo rubricare. Chiu-de-te-la.
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