Omelia pronunciata il
4 ottobre 2013 dal cardinale Carlo
Caffarra nella basilica di San Petronio, in occasione della solennità del
patrono di Bologna.
La solennità del momento che stiamo
vivendo; la santità e la bellezza del luogo in cui ci troviamo, orgoglio di
ogni bolognese; la memoria di Petronio, Vescovo che ha edificato spiritualmente
questa città, ci chiedono di riflettere profondamente sul suo destino e sulle
sue condizioni.
Saluto le autorità civili – in primo
luogo il Sindaco -, le autorità militari, e le autorità accademiche dell’Alma
Mater. La loro presenza, che fedelmente si ripete ogni anno, dimostra il loro
desiderio di rendere la nostra città sempre più vivibile ed amabile.
1. La seconda lettura ci invita ad una
comprensione della vicenda storica, più profonda di quella offerta dai
resoconti cronachistici.
La costruzione dell’unità fra le persone
e fra i popoli è un desiderio così profondo, che tutta la Storia ne è
attraversata. Ne è la corrente profonda. Quale unità?
Certamente l’unità che possiamo
verificare, e che è causata dall’appartenenza alla stessa Nazione o alla stessa
città. Ma l’apostolo Paolo nella seconda lettura parla di una forza unitiva più
profonda: «Pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la
sua parte siamo membra gli uni degli altri». Il centro di attrazione è il
Signore Gesù: «quando sarò innalzato, attirerò tutti a me» [Gv 12,32].
«Cristo è come un centro in cui
convergono le linee affinché le creature del Dio unico non restino nemiche ed
estranee le une con le altre, ma abbiano un luogo comune dove manifestare la
loro amicizia e la loro pace» [S. Massimo il Confessore].
Ma Gesù nella pagina del Vangelo appena
proclamata, ci avverte che esiste anche una forza che contrasta la forza
unitiva. «E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro,
il Cristo». La forza di contrasto è in atto quando qualcuno pensa di essere
superiore agli altri: quando si innalza sul fratello per dominarlo o farne uso.
Quando qualcuno esercita il potere di cui è in possesso, come dominio più o
meno esplicito sugli altri.
Cari fratelli e sorelle, la Storia nella
sua profondità è il conflitto di queste due forze: la forza attrattiva di
Cristo, che fa in Sé di tutti gli uomini un solo corpo; la forza disgregante di
chiunque pone se stesso al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera
delle proprie mani [cfr. Francesco, Lett. Enc. Lumen fidei 13].
Nel Vangelo abbiamo una rappresentazione
perfetta del conflitto fra le due forze: l’incontro di Gesù con Pilato, come è
raccontato dal Vangelo secondo Giovanni [cfr. Gv 18, 35-40].
Siamo ancora all’inchiesta previa al
processo, si direbbe oggi. Il punto da verificare è uno solo: se Cristo intende
instaurare uno Stato o un Regno alternativo all’Impero di Roma.
Cristo lo esclude in modo assoluto, e
quindi riconosce nel suo ambito l’autorità del magistrato romano. Ma nello
stesso tempo afferma l’esistenza di un altro Regno colle seguenti parole: «Per
questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere
testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Queste parole di Gesù ci dicono in primo
luogo in che cosa consiste la forza che fonda e difende il suo Regno. È la
“testimonianza alla verità”. È la sua vita luminosa. Nelle sue azioni e nelle
sue parole, ma soprattutto nel mistero della sua Persona si rivela pienamente
l’amore di Dio verso l’uomo. È questa Rivelazione la forza attrattiva di Gesù,
così potente da fare di tutti noi un solo corpo.
Le parole dette da Gesù a Pilato
indicano anche chi sono coloro che entrano in questo “campo gravitazionale”:
coloro che “sono dalla Verità”.
Sono coloro che cercano di fare luce nel
groviglio della propria esistenza, senza nessun pregiudizio, senza censurare le
grandi domande del cuore. Perché «chi cerca la verità, cerca Dio, ne sia egli
consapevole o meno» [E. Stein]. Sono coloro che mediante fede sono introdotti
in quella rivelazione dell’amore di Dio avvenuta in Gesù, il quale è il
significato e il Destino ultimo della persona umana, e il fondamento su cui
poggia la realtà.
2. Cari amici, questa interpretazione
della nostra storia quotidiana come costruzione di un’unità fra gli uomini che
è il “corpo di Cristo”, e come disgregazione sociale causata dall’esaltazione
di se stesso sopra gli altri, ci aiuta a comprendere la condizione culturale,
spirituale, della nostra città? Vorrei ora offrirvi alcune riflessioni al
riguardo.
Non c’è dubbio che la nostra città ha
conosciuto per molti anni dopo la seconda guerra mondiale, una forma, un modo
di convivere ispirato da una precisa ideologia politica. Essa ha assicurato una
città in se stessa compaginata. Non dico altro: non devo addentrarmi in analisi
che non mi competono come Vescovo, ancor meno durante un’omelia liturgica.
Questo modello di convivenza è
gradualmente imploso, lasciando la nostra città incamminata sulla via di una
progressiva disgregazione, di un progressivo disinteresse per il bene comune,
di una caduta culturale del confronto politico. Il segno di tutto questo, il
segno più inequivocabile è visibile: la nostra è diventata una città sporca,
dai muri inguardabili.
Perché c’è stata quella graduale
implosione? Perché quel sistema, quel modello includeva una grande menzogna
sull’uomo. Non dico sull’uomo considerato astrattamente. Una grande menzogna
sull’uomo concreto, sull’uomo reale non astratto, al quale non è risparmiato il
dramma della libertà. Sull’uomo che lavora; sull’uomo che desidera educare
liberamente i suoi figli; sull’uomo che ogni mattino saluto, aprendo le
finestre della mia camera, perché dorme nella piazza sottostante.
Ora il vero rischio della nostra città –
come della cultura occidentale – è di rassegnarsi a vivere dentro una cultura
incapace di dare un assetto sensato al nostro convivere, che non sia la mera
esaltazione della libertà individuale. Una cultura che intende dispensare
l’uomo dalla ricerca di un senso della vita. La rassegnazione, la
de-moralizzazione, l’avvilimento del cuore che ne derivano, possono essere
fatali, perché ci portano a pensare che ciascuno di noi è impotente di fronte
ai grandi poteri e meccanismi economici e finanziari.
3. Quali sono le dimensioni fondamentali
della verità circa l’uomo concreto, quella verità che preme dal fondo della
nostra coscienza individuale e che sola può fare risorgere la nostra città?
Sono soprattutto quattro. Le richiamo telegraficamente.
- La persona umana è persona-uomo e
persona-donna. Il matrimonio e la famiglia si radicano in questo mistero della
nostra umanità. Voler ignorare questa semplice verità circa l’uomo concreto,
neutralizzando dal punto di vista etico femminilità e mascolinità; negando il
significato morale proprio del corpo e dei comportamenti che ad esso si
riferiscono, significa correre il rischio di scardinare millenni di civiltà. Si
corre il rischio di far scomparire le figure fondamentali dell’esistenza umana:
il padre, la madre, il figlio. La realtà psico-fisica della femminilità e della
mascolinità non è né muta né ottusa: ha un suo proprio linguaggio e una sua
propria intelligibilità.
- La “catena generazionale” mediante la
quale ogni generazione trasmette all’altra semplicemente la propria umanità.
Voi sapete che questa trasmissione si chiama «educazione della persona». Quale
progetto di vita stiamo trasmettendo alle generazioni che seguono alla nostra:
ai bambini, ai giovani? Vigiliamo, noi adulti, perché non si interrompa la
catena; perché non accada di lasciare figli spiritualmente senza padre/madre.
L’afasia educativa dei genitori causa l’afasia spirituale dei figli. Un grande
impegno educativo da parte della Chiesa e della società civile è improrogabile.
- La terza dimensione della verità circa
l’uomo è il lavoro. Cari amici, ancora una volta lancio il mio grido. È giusto
che sia fatto ogni sforzo perché chi ha lavoro, non lo perda. Ma è sommamente
ingiusto che i giovani non trovino accesso al mondo del lavoro. Stiamo
correndo, a causa di questo, un grave rischio: farli sentire “superflui” e come
“sovrannumerari”, una generazione di cui la società, alla fine, non sa che
farsene. E così commettiamo nei loro confronti il peggiore dei furti: li
derubiamo della speranza. E che questo furto sia già stato perpetrato lo
dimostra il fatto dei circa due milioni di giovani nella nostra Nazione che non
fanno niente: non vanno a scuola e non cercano lavoro. Ciascuno di loro forse è
stato condotto a dire: «Son riuscito a far svanire nel mio cuore ogni umana
speranza» [A. Rimbaud].
- L’ultima – ma non d’importanza –
dimensione dell’uomo concreto è il rapporto di cittadinanza: l’essere con
l’altro nella stessa città. Abitare non solo materialmente nella nostra città,
dipende dalla responsabile partecipazione di ciascuno alla sua vita. La crisi
della nostra città è spirituale, e spirituale potrà essere solamente la sua
ripresa.
4. Cari fratelli e sorelle, quale è la
forza che in ogni momento può rinnovare la nostra città? È stato scritto
giustamente che «le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono
felice l’uomo» [cit. da V. Havel, Il potere dei senza potere, Itaca ed., Castel
Bolognese 2013, pag. 25]. Il più grande potenziale del cambiamento è in noi.
«Le risorse esistenziali e morali
dell’io, se ridestate liberano un potenziale di cambiamento, i cui esiti sono
imprevedibili sul piano sociale» [ibid.]. La nostra città è quindi affidata a
ciascuno di noi.
Esistono nella tradizione due
iconografie di S. Petronio. L’una lo raffigura mentre tiene sul braccio vicino
al cuore la nostra città: pater civitatis. L’altra lo raffigura nel gesto di
dare cibo ai poveri: pater pauperum.
Pater civitatis – pater pauperum. È
questo legame, il legame della civitas ai bisogni dell’uomo concreto che fa
risorgere Bologna. Perché essa diventi sempre più la città dove regna la luce
della Verità circa l’uomo, circa l’uomo concreto; dove questa luce diventa in
ciascun cittadino energia costruttrice della nostra convivenza. Così sia.
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