A MONS. LUIGI NEGRI IL PREMIO
DELLA CULTURA CATTOLICA
di Giovanni Fighera LA NUOVA bq 21-10-2013
È bello sentire qualcuno che racconti una storia, la propria storia, perché vuol dire che c’è una vita. Ancor più bello è
quando la storia che ti viene raccontata è piena di speranza, una testimonianza
di gratitudine nei confronti di chi ti è stato e continua ad esserti maestro.
Allora si capisce che è sempre indispensabile tornare alle origini della
propria storia. Comprendi che solo nella consapevolezza delle tue origini,
nella gratitudine per chi ti è padre nasce la fecondità. Sant’Agostino commenta
la frase del Vangelo «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha
sarà tolto anche quello che ha» dicendo che chi ha coscienza del debito di
gratitudine verso chi ci è padre e ci ha donato tutto sarà fecondo e otterrà
ancora di più, chi, invece, non conosce la propria origine e verso chi è debitore
perderà tutto e non darà alcun frutto.
Queste riflessioni sono scaturite in me venerdì sera al Teatro Remondini di
Bassano del Grappa, dove si è tenuta la cerimonia di consegna del
riconoscimento del Premio Cultura Cattolica, XXXI edizione. Quando il premiato
mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara – Comacchio e Abate di Pomposa, ha
risposto alle domande personali rivoltegli dal giornalista Andrea Tornielli, è
andato alle origini della sua crescita, del suo modo di concepire la vita e i
rapporti con le persone: l’incontro con Cristo, avvenuto prima in famiglia e
poi, di nuovo, nella figura di Don Luigi Giussani. Quando era piccolo, il padre
gli diceva: «Vado a lavorare per collaborare alla gloria di Cristo nel mondo».
Per suo padre la fede era pertinente alla vita, riguardava anche il duro lavoro
e la fatica. La vita in quelle case dei quartieri poveri di Milano negli anni
Quaranta del Novecento era una vita povera di mezzi materiali, ma ricca di
dignità. La dignità della vita risiede, infatti, nella cultura, ovvero nella
concezione che si ha della vita.
Negri ha, poi, incontrato Don Giussani sui banchi di scuola del Liceo
Berchet di Milano e l’ha seguito fin dalle prime ore di Religione
dedicate al senso religioso, a Cristo e alla Chiesa. L’inizio di tutto fu lì,
al Berchet, nell’invito costante ad approfondire il proprio bisogno di uomo, la
propria natura. Infatti, solo in una vera esperienza umana si può capire che
Cristo è una corrispondenza perfetta alla domanda del cuore della persona. «Voi
cristiani dove siete?» chiese don Giussani ai ragazzi del Berchet. Qualcuno
colse questa provocazione come una chiamata in cui l’incontro con Cristo
avrebbe compreso in sé ogni ambito della vita, dallo studio alla cultura, dai
rapporti di amicizia alla politica. Nella vita di mons. Negri la grazia è
passata attraverso le circostanze dell’esistenza, attraverso gli incontri che
ha avuto. Mons. Negri ricorda che era molto sedentario e passava molto tempo in
casa a leggere. Dopo l’incontro con don Luigi Giussani è nata per lui una
possibilità di vita nuova. Mons. Negri ricorda che stava studiando Matematica
quando ha pensato che avrebbe potuto dedicarsi totalmente a Dio. Lo raccontò a
don Giussani che gli consigliò di custodire nel cuore quell’intuizione.
All’Università, poi, Negri iniziò ad essere missionario, ad aiutare i ragazzi
universitari che avevano bisogno e maturò la decisione del sacerdozio.
Altre figure sono state fondamentali per mons. Negri. L’arcivescovo di
Milano Schuster era ai suoi occhi un santo. Il suo successore Montini era
deciso nei principi, discreto nelle indicazioni. Papa Giovanni Paolo II ha
indicato che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente
accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» e non, può, quindi
incidere nella vita, nella storia e nella società. Papa Benedetto XVI ha
insegnato l’apertura della ragione in tutto il suo magistero proponendo «un
allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con
tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce
che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo
dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo
nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è
verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua
ampiezza». Già san Paolo con il suo richiamo «Vagliate tutto, trattenete quello
che è buono» ci propone una ragione aperta a tutto, che dialoga con tutti, che
non misura, ma si spalanca al vero e al bene. La ragione spalancata e non
ridotta arriva a cogliere che l’uomo non può capire tutto il Mistero della
realtà. Si protende così a percepire l’inadeguatezza della condizione umana di
fronte all’infinito, a capire il limite nella conoscenza e la necessità che sia
il Mistero a rivelarsi. Ragione e fede sono comunicanti e in continuo dialogo.
La rinuncia di papa Benedetto XVI è stato un dolore grande per mons. Negri, ma, nel contempo, una grande testimonianza di fede, perché il Pontefice
ha voluto bene a Cristo e alla Chiesa piuttosto che essere attaccato a se
stesso. Ha mostrato il senso del limite, virtù rara, ma fondamento di ogni
costruzione morale. Senza il senso del limite non si procede nella conoscenza
della realtà e, nel contempo, non si può comprendere la totale corrispondenza
di Cristo al nostro bisogno. Il peccato più grave del nostro tempo è, invece,
la perdita del senso del peccato. Quando l’uomo non ha più coscienza del
proprio peccato e si percepisce autosufficiente, non ha più bisogno di Cristo.
Cristo è accolto da chi si sente bisognoso e mendicante, mentre chi si sente a
posto non può riconoscerlo. «Niente è tanto incredibile quanto la risposta ad
una domanda che non si pone» (Niebur). Oggi, l’uomo, nel suo delirio di
autosufficienza, non percepisce che non si può dare la felicità da solo, tanto
meno non si può salvare da solo.
All’epoca di Gesù come oggi, nella cultura che abbiamo delineato,
la missione non è l’obiettivo, ma è il metodo, la strada, perché la vita sia
vera. Oggi si apre la stagione della nuova evangelizzazione, rivolta ad un
interlocutore che è lontano da Cristo e dalla Chiesa, che è stato vicino
magari, un tempo, ma poi se ne è andato. Bisogna far capire a tutti che è
sempre aperta la possibilità di tornare all’interno della Chiesa. Papa
Francesco è testimonianza in atto di questa nuova evangelizzazione.
Nella figura di mons. Luigi Negri si rende palese quanto scriveva Cesare
Pavese: «Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. La
vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche
noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia».
La creatività trova la sua scaturigine più autentica nella tradizione e nel
radicamento nelle proprie origini. Questa considerazione è valida sia per il
singolo individuo che per un popolo. Quando un popolo si allontana dal proprio
passato, dai valori che hanno sempre rappresentato la coscienza della comunità,
anche la cultura e l’arte perdono lo splendore e la capacità di essere sempre
nuovi, eppure sempre validi e universali. Una pianta, radicata nel terreno,
riceve sempre nuova linfa, perde le foglie vecchie e ne fa germogliare delle
nuove. Ogni esperienza di vera appartenenza reca in sé la vitalità che proviene
dalla verità sulla vita che viene tramandata di generazione in generazione, di
padre in figlio.
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