di
Costanza Miriano da
Il Foglio
Una si trova con anni
di trincea sulle spalle, veterana, piena di stellette in onore al merito di
avere difeso Benedetto XVI a spada tratta in riunioni di redazione, cene di
amici, raduni di parenti e assemblee condominiali, a volte anche con i
passanti; si è letta di notte i suoi libri meravigliosi ma densissimi, lottando
eroicamente contro il sonno e contro Nora Ephron che ammiccava dallo scaffale;
ha elogiato la coscienza, si è introdotta allo spirito della liturgia, ha
sfoderato sant’Agostino per tenere testa al collega colto; ha vegliato e
pregato in piazza san Pietro per far sentire tutto l’affetto possibile al
vicario di Cristo martire mediatico, e poi, così, a un certo punto, di botto,
stanca e piena di cicatrici ma con ancora la scimitarra tra i denti, in un
giorno solo, si ritrova senza preavviso pericolosamente circondata da amici.
Ma come? Dove sono
finiti quelli che dovevo convincere? Dove sono finiti quelli che insultavano il
mite Papa dandogli del nazista, e la Chiesa retrograda e ricca (dir male della
Chiesa si porta sempre)? Rivoglio il mio mondo rassicurante, diviso in due, i
vicini e i lontani. Certo, si sapeva sempre ben distinguere tra errore ed
errante, tra carità e verità, tra amore per il fratello e chiarezza di
giudizio, ma insomma uno schema era fatto. Io sto dalla parte della ragione, tu
del torto, ma ti voglio bene lo stesso.
Adesso che è questo
coro di consensi al Papa? Tutti in visibilio per croci di ferro e scarponi e
metropolitane e case semplici. Che nervi la folla osannante. È molto meglio
sentirsi tra i pochi che hanno capito. Anzi, meglio ancora sentirsi sulla
soglia, sempre a un pelo dall’entrare tra i pochi, i felici (perché anche io
come Groucho non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci
una come me).
Insomma, che piccolo
fastidio all’inizio il coro forse un po’ superficiale di consensi. E insieme
che dispiacere scoprire di non provare lo stesso slancio per certi
atteggiamenti e parole del Papa, che pure riconoscevo evangelici.
In questa mancata
adesione mi sono trovata in compagnia di tanti cattolici, che pure stimo, e di
cui condivido le idee. Il loro dissenso ha cominciato ad essere ampio, e anche
sostanziale. Di fronte ai dubbi rispettosi e riservati mi si è stretto il
cuore, di fronte a certe loro durezze contro il Papa, invece, ho provato un
grande disagio soprattutto se ad esprimerle erano miei amici.
Nel tentativo di
trovare il bandolo, proverei invece a capovolgere la questione, non solo perché
il Catechismo dice che i fedeli devono aderire al successore di Pietro “col
religioso ossequio dello spirito” credendo che lui è assistito da Dio, non solo
perché un cattolico non si sceglie in cosa credere, si prende il pacchetto
completo, ma perché trovo molto più interessante il punto di vista opposto,
almeno sul piano spirituale (mentre mi dichiaro ampiamente priva di strumenti e
inadeguata a valutare un pontificato dal punto di vista storico, che è
probabilmente, legittimamente, l’aspetto che più interessa gli atei devoti e
questo giornale).
Se alcune scelte del
Papa danno fastidio a molte persone, tra cui diverse che stimo moltissimo, e se
a volte anche io, lo ammetto, non ho condiviso lo slancio entusiastico che
sembra avere contagiato tutti, mi sembra fondamentale chiedermi il perché.
Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema
siamo noi. Quindi: che problema ho io?
È come quando ai miei
figli non torna qualcosa in un compito: la loro primissima ipotesi è sempre che
sia il libro ad essere sbagliato, anche se si astengono dall’esprimere la loro
intima convinzione, perché la filippica che si beccherebbero li allontanerebbe
dall’unico vero obiettivo della loro dedizione al sapere: la merenda.
Cosa ci dà fastidio,
dunque, e perché? Il problema è il nostro
Perché fatico a capire
che quando il Papa dice che il bene è una relazione non sta affatto facendo
concessioni al relativismo, ma mettendo l’accento sulla carità? Perché
dimentico che quando un Papa dice che bisogna obbedire alla coscienza non parla
di assecondare pensieri ed emozioni spontanei ma intende certo tendere una mano
ai lontani, sapendo che per la nostra dottrina è la coscienza il luogo nel
quale “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi”, (Catechismo della Chiesa
Cattolica, niente di meno), e che la coscienza va sempre rettamente formata?
Io credo che a volte
mi capiti di dimenticare tutte queste cose fondamentalmente perché una figura
di Papa sacrale e lontana permette a noi “vicini” di sentirci un po’ migliori
degli altri. A noi piace essere figli di Dio, certo. Significa che siamo di
stirpe regale, e lo siamo davvero; ma non ci piace, invece, essere fratelli –
siamo tutti figli, ma io un po’ più figlia degli altri – perché dei fratelli
vediamo tutti i limiti, le meschinità, le scarpe sporche, la puzza, la
goffaggine, l’inadeguatezza. Quello che vediamo ci dà fastidio perché ci
ricorda esattamente come siamo noi, è come vedere noi stessi in uno specchio:
dei tipi sgangherati. Creature. E creature in cui “il mistero dell’iniquità è
in atto”.
Il fatto è che la fede
nasce da un incontro, mentre il modo in cui tendiamo a intenderla è piuttosto
una religiosità naturale che è segno della nostra immaturità, una religiosità
che serve a confermarci e non a convertirci.
Ci sono delle persone
che hanno fatto l’incontro che cambia davvero la vita, quello con Gesù Cristo.
Loro oltre a sapersi figli amatissimi – sgangherati ma amatissimi – si scoprono
anche fratelli, e il male degli altri piano piano cominciano a non vederlo più.
È perché non risuona in loro. Non rispondono alle calunnie, non si accorgono
degli sgomitamenti e delle cattiverie, sembrano quasi scemi. Ma non è così: è
che stando vicino a Gesù, anche per poco, anche a tratti, si vedono tutte le
proprie magagne, faticosamente mascherate in pubblico.
La fede è
sostanzialmente diffidare di sé, aderire a Gesù Cristo, spegnere il nostro ego
cialtrone, chiacchierone e millantatore, e anche la nostra bontà da quattro
soldi. Fare spazio a Dio. Quando uno ha incontrato davvero Gesù diventa
credibile, e il cristianesimo allora non è più una dottrina ma una somiglianza.
È così, solo così che è possibile una vera evangelizzazione: per inseguimento.
Lasciarci inseguire per la nostra bellezza, pienezza e ricchezza è esattamente
il contrario del proselitismo. Quando i nostri mosci inviti a portare la gente
a raduni parrocchiali cadono nel vuoto, è perché non siamo attraenti (quando,
peggio, non facciamo da tappo: non lasciamo entrare, ma non lasciamo neanche
uscire, come se Gesù fosse nostra proprietà, e la religione qualcosa per
giudicare gli altri).
Come è potuto
succedere che Gesù, uno che camminava per le strade persino prima del
catechismo di san Pio X, convertendo con la sua autorevolezza e innamorando con
la sua misericordia, sia stato trasformato in uno schema che giudica chi non ci
rientra dentro?
È ovvio che sia
necessario il Magistero, la Tradizione, cioè la trasmissione del deposito che
attraverso i santi e i martiri ci è stato lasciato nei secoli, il Catechismo,
il Papa: solo tutto questo ci conferma nella nostra fede e ci garantisce che
quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia, né una nostra
proiezione. È anche chiaro che siamo in un momento storico in cui i cristiani sono
da soli, chiamati a difendere, insieme a pochi uomini di buona volontà, l’idea
stessa di uomo, maschio e femmina, la vita, soprattutto quando è più fragile,
alcuni fondamentali dell’umanità tutta che per la prima volta da parecchi
secoli sembrano messi in discussione. Perché poi ci sono anche sacerdoti che
spendono la loro vita in confessionale, e che costretti a negare l’assoluzione,
si sentono chiedere “ma come, non vi siete ancora aggiornati, col nuovo Papa?”,
e devono fare un paziente, eroico lavoro per spiegare che la dottrina non è
cambiata di una virgola, né pare in procinto di, visto che le regole che questa
Chiesa retrograda insiste a proporre sono perché l’uomo viva.
Ma è altrettanto vero
che un rapporto vivo e vero con Gesù ti scomoda in continuazione. È bellissimo,
ma è una relazione, e l’unico equilibrio possibile è quello della bicicletta:
ci si regge solo in movimento, mentre avere a che fare con delle regole rigide
e rassicuranti è sicuramente più facile. Basta fare quello che fa la maggioranza
dei cosiddetti credenti: mettiamo al posto di Dio il nostro superIo. In una
sorta di sconfinamento nei confronti di Dio, lo mettiamo su quel tasto della
nostra coscienza sul quale i genitori quando eravamo piccoli hanno posizionato
le regole base, il senso di colpa e della punizione che servono a evitare che i
bambini facciano troppi danni, a se stessi e agli altri. L’uomo è anarchico e
disordinato, e il superIo che i genitori cercano di costruire serve a mettere
ordine. Ma in un rapporto maturo con Dio la dinamica è tutta un’altra, si
diventa figli, figli del re, si è davvero, davvero liberi, entra la
misericordia e la creatività e lo Spirito Santo, senza la cui forza “nulla è
nell’uomo, nulla senza colpa”. Allora, pur da sgangherati, si diventa anche fecondi,
padri e madri (non solo biologicamente): se non si è fecondi, come anche tanti
credenti, si perde il contatto con la realtà, e la religione diventa un modo
per alimentare e confermare le nostre stramberie o nevrosi o chiamiamole come
vogliamo.
Signore abbi pietà di
me, delle mie fisse. Signore, perdona me e perdona gli altri che sono proprio
come me, questa è la preghiera di chi vuole diventare davvero figlio. Tutti i
litigi e le polemiche, le riunioni e i convegni e i seminari inutili vengono dal
non avere un rapporto personale e diretto con Dio, un rapporto che nasce
dall’incontro con Cristo, molto più pericoloso e avvincente dell’incontro con i
cattoliconi che tanto mi piacciono. L’amore di Cristo stringe e assedia da ogni
parte. Da assediati si sta un po’ scomodi. Ma “occhio non vide né orecchio udì
né mai salì in cuore d’uomo quello che Dio tiene preparato per quelli che lo
amano”.
Io credo che il Papa voglia ricordarcelo in un modo
potentissimo, e che se a volte qualche stonatura – anche lui è una creatura –
ci va contropelo non sia poi così importante.
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