di Assuntina Morresi
Con queste ultime
elezioni EUROPEE , anche l’Italia si è allineata al resto d’Europa, dove il voto
cattolico è irrintracciabile, perché irrilevante.
Il problema non è
la dispersione del voto dei cattolici fra i vari partiti, ma il fatto che i cattolici hanno votato seguendo gli stessi criteri di
tutti gli altri: anche con il loro contributo è schizzato al 40% il partito
di Renzi, patron di Scalfarotto, primo firmatario della legge sull’omofobia; è
lo stesso partito del senatore Lo Giudice, che proprio pochissimi giorni
fa ha annunciato di aver avuto un bambino con la pratica dell’utero in affitto
in America, commissionato da lui e dal suo compagno, sposato a Oslo qualche
anno fa. Ma basterebbe andarsi a guardare
il programma di Renzi alle primarie del Pd per vedere che la sua posizione su
vita, famiglia e libertà di educazione è in piena sintonia con il clima
laicista che impregna il Pd.
E così tanti cattolici che all’epoca si erano stracciati le vesti
per la vita personale di Berlusconi – cioè per quello che faceva a casa sua –
stavolta hanno serenamente votato le liste di Renzi, senza ombra di dubbio. D’altra parte la pattuglia più
nutrita di cattolici con un dichiarato impegno in politica in questo senso, in
parlamento, è quella del Nuovo Centro destra, che comunque non è stato premiato:
a dimostrare che, contrariamente a quanto si dice, certe battaglie (v. legge
sull’omofobia, per es.) non portano voti. Eppure stavolta con le preferenze era
possibile scegliere anche i candidati, che però – numeri alla mano – sono stati
evidentemente eletti seguendo altri criteri.
E’ il trionfo della scelta religiosa, cioè di quell’atteggiamento
per cui la fede deve rimanere un qualcosa di intimo e privato, mentre la vita,
in particolare la vita pubblica, scorre altrove.
I benpensanti, fra
cui alcuni sedicenti intellettuali cattolici, dicono che i tempi sono cambiati,
e che adesso ai credenti non è chiesto di opporsi: inutile cercare di arginare
il corso dei tempi, anzi, così facendo si diventa ideologici, fondamentalisti,
integralisti. Questo è il tempo della testimonianza, dicono.
Ma cosa è la testimonianza? Sicuramente non è il buon esempio. La
testimonianza è un giudizio, una presenza evidente a tutti.
Se così non
fosse, per esempio, dovremmo accusare di ideologia i ragazzi della Rosa Bianca,
che molti conoscono perché qualche anno fa una mostra al Meeting (ironia della
sorte) ne ha diffuso la storia al grande pubblico. Secondo i criteri che adesso
vanno per la maggiore, dovremmo forse dire che Sophie e Hans Scholl, Alexander
Schmorell, e tutti gli altri, letteralmente ossessionati dal nazismo, si
illusero di arginare il corso dei tempi (pure loro), perdendo la vita per
incitare a una folle resistenza a Hitler? O forse invece che la loro amicizia,
proprio perché vera, non poteva che tradursi in quella che è diventata una
splendida esperienza e testimonianza, cioè un giudizio pubblico? E non è stato
proprio il loro impegno pubblico, a farci chiedere dove si fondava la loro
amicizia?
L’Italia finora è
stata una felice eccezione nell’Europa scristianizzata, perché i tratti fondanti dell’esperienza cristiana
– vita, famiglia e libertà di educazione – sono stati tenacemente difesi,
anche e soprattutto nella vita civile e politica.
Come ricordava
Sandro Magister, in un pezzo scritto per gli ottanta anni del Card. Ruini:“L’eccezione
italiana è il rovescio di quel cattolicesimo “adulto” che ama immergersi e
perdersi nella città degli uomini, come lievito e sale di un mondo impastato da
altri, un cattolicesimo che ascolta prima di parlare, che accoglie prima di
giudicare. L’esito di questa avventura è sotto gli occhi di tutti in altre
regioni d’Europa e del mondo, dove il vento della secolarizzazione ha fatto
tabula rasa. Per Ruini, invece, la Chiesa deve avere “un ruolo guida e
un’efficacia trainante”, come disse il suo maestro Wojtyla. Deve insegnare e
praticare la “sacra militia”, assieme alla “sacra doctrina”. Deve essere Chiesa
di popolo, con un linguaggio e una visibilità pubblici. Non deve aver paura di
parlare a voce alta di Dio, con tutto quel che ne consegue, perché “con Lui o
senza di Lui tutto cambia”.
Sull’eccezione
italiana San Giovanni Paolo II ebbe
parole chiarissime, fin dalla svolta del convegno di Loreto 1985, ma anche
successivamente, per esempio nella sua Lettera ai Vescovi italiani sulle
responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico,
del 6 gennaio 1994, e due mesi dopo nell’iniziativa della “Grande preghiera per
l’Italia e con l’Italia”, di cui ricordo un passo: “Sono convinto che
l’Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. Le
tendenze che oggi mirano ad indebolire l’Italia sono negative per l’Europa
stessa e nascono anche sullo sfondo della negazione del cristianesimo.
In una tale prospettiva si vorrebbe creare un’Europa, e in essa anche
un’Italia, che siano apparentemente ‘neutrali’ sul piano dei
valori, ma che in realtà collaborino alla diffusione di un modello
postilluministico di vita. Ciò si può vedere anche in alcune tendenze operanti
nel funzionamento di istituzioni europee. Contro l’orientamento di coloro che
furono i padri dell’Europa unita, alcune forze, attualmente operanti in questa
comunità, sembrano piuttosto ridurre il senso della sua esistenza e
della sua azione ad una dimensione puramente economica e secolaristica.
All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il
compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e
culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo”.
Urge riflessione.
Nessun commento:
Posta un commento