Perchè non
tolleriamo il pensiero diverso
Le proteste contro
Alain Finkielkraut e le chiusure verso Ayaan Hirsi Ali
di Pierluigi
Battista
L’importante
è non abituarsi all’idea che siano ovvie le veementi e indignate proteste che
in Francia si sono sollevate pretestuosamente per la nomina di un intellettuale
raffinato come Alain Finkielkraut ad accademico di Francia.
Non sono
ovvie: sono un’ennesima manifestazione di insofferenza per un pensiero diverso,
meno corrivo, meno propenso ad adagiarsi alle prescrizioni di chi si considera
l’unico monopolista autorizzato del Bene.
Come non è
così scontato che a una vittima del fanatismo fondamentalista come Ayaan Hirsi
Ali vengano sbarrate le porte dell’università di Boston, dove un sinedrio di
insigni professori, paladini del politicamente corretto, si sono piegati al
diktat degli estremisti che non volevano contaminare le aule accademiche con la
ventata di libertà culturale che la Hirsi Ali avrebbe trascinato con sé.
Come non è
così nell’ordine naturale delle cose che Brendan Eich, manager di Mozilla
Firefox, nell’avanzata e libertaria Silicon Valley, sia stato costretto a
lasciare il suo importante posto di lavoro per aver offerto un contributo
finanziario personale al referendum californiano contro l’istituzione dei
matrimoni gay.
Non è normale che, ispirato dalle buone
intenzioni e al servizio di una Causa buona e giusta, si stia addensando una
nuova intolleranza dal sapore maccartista verso chi è sospettato di sostenere
opinioni contrarie all’ondata maggioritaria.
Non è
possibile che si debba pagare per via delle opinioni liberamente
espresse, anche se queste opinioni risultino irritanti, ostili al senso comune,
iper-ideologiche di segno opposto.
Non c’è
bisogno di scomodare lo pseudo-Voltaire che sonnecchia in ogni banalissimo
discorso pubblico sulla tolleranza, per capire che nel nome del Bene si possono
fare disastri irrimediabili. E che non è giusto condannare al silenzio della
prudenza, all’omertà del conformismo le opinioni diverse che rischiano di
essere zittite dal fragore dell’indignazione a comando, dai sospetti
cervellotici, dall’incapacità di capire che non solo le opinioni diverse sono
le benvenute, ma che una società è più ricca, più vivace, più solida, se
favorisce il libero conflitto delle idee.
E che
tenere sempre all’erta l’arsenale delle solite accuse, diventare inquisitori per un giorno,
accodarsi al coro delle belle anime oltraggiate dall’orco cattivo che posa
dissentire favorisce la causa della stupidità collettiva, non quella del bene.
E che non saper ammettere che Alain
Finkielkraut ha tutti i titoli culturali e morali per meritare quel posto nella
gloriosa Accademia francese chiude e soffoca il cervello in un recinto di
ossessione claustrofobica, dove viene considerato pericoloso (e dunque
simbolicamente da mettere al rogo) ogni sia pur lieve deragliamento dai binari
prefissati da una Norma prepotentemente imposta. E che dunque questa parodia di
nuova, piccola inquisizione è quasi più patetica, perché allestita per favorire
le idee più nobili. Che ne vengono deturpate, irrimediabilmente.
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