venerdì 29 gennaio 2016

OGNI GIORNO È IL FAMILY DAY

EDITORIALE DI SAMIZDATONLINE
Il male vince sempre grazie agli uomini dabbene che trae in inganno; e in ogni età si è avuta un'alleanza disastrosa tra abnorme ingenuità e abnorme peccato. 

La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale. (da Eugenetica e altri malanni)

Si va a Roma. Si è andati a Roma, se leggerete queste parole dopo il 30 gennaio 2016. Si va a Roma per due ragioni, che sono quelle che le due citazioni di Chesterton che aprono questo post dicono con tanta chiarezza e acume.


Si va a Roma perché ci sono tanti uomini per bene, tanti ragazzini imbottiti di youtube e slogan fessi, tante tante persone che non hanno mai riflettuto seriamente su chi sono veramente, e cosa vogliono. Non hanno mai pensato cosa voglia dire crescere senza padre o senza madre, o se sia davvero una condizione così desiderabile. Non hanno mai capito davvero cosa sia il matrimonio, che no, non è due che stanno insieme dato che si vogliono tanto tanto bene, un contratto, una formalità. Tanta gente - ma poi così tanta? - che chiede una legge che in fondo vuole solo tre cose:
*la reversibilità della pensione per gli omosessuali,
*la possibilità di andarsi a ordinare e acquistare un figlio,
*la distruzione del concetto stesso di matrimonio.
Perché tutto il resto, tutti i diritti individuali, in una maniera o l'altra già ci sono. Leggi e sentenze alla mano.

Allora andare a Roma tutti quanti può essere un modo per farli pensare. Un poco. Alcuni. Perché la stragrande maggioranza se ne frega di questa legge, omosessuali compresi. Se davvero gli omosessuali tutti volessero questa legge allora l'imbarazzante manifestazione svegliaitalia a favore della Cirinà non sarebbe andata quasi deserta. Altro che un milione, come gente senza misura né pudore ha sostenuto esserci.

Andare a Roma può essere un modo per risvegliare anche certi politici che là abitano o vorrebbero abitare. Per ricordare loro che essere banderuola può servire durante le legislature, ma difficilmente quando è ora del voto. Quando in genere si sceglie di votare gente che sa cosa vuole e fa quel che dice di volere. E quel che vuole è ciò che vogliono pure gli elettori.
A questo potrà servire il family day. Per quanto ci saranno tentativi usando ogni trucco e menzogna di minimizzare quanto succederà al Circo Massimo, dopo ci sarà sicuramente un'ingenuità meno abnorme. Il peccato, quello rimane. Finché non è chiesto perdono.
E il grido lo si deve lanciare adesso. Non dopo, quando diventa pianto e rimpianto.
Ma c'è una terza ragione per andare.
Non basta opporsi. Non basta reagire. Se no combattiamo sempre una battaglia di retroguardia, sempre in ritirata, sempre in fuga. Quando siamo noi ad avere la bellezza, il senso, la gioia. Quando invece potremmo sbaragliare i fantasmi e le nebbie della menzogna in ogni momento.
Non dobbiamo aspettare Roma. Roma non c'è ogni giorno.
Ma ogni giorno può essere un family day, se lo diciamo, se lo annunciamo, se facciamo vedere che la realtà vera siamo noi. Noi, da sempre, dai millenni che sono stati a quelli che verranno.
C'è chi ha perso la speranza, chi dà per scontata una sconfitta. Saremo sconfitti solo se smetteremo di combattere, e combattere nel nostro caso vuol dire semplicemente far vedere che il vero c'è, la bellezza c'è, la realtà c'è. Dirlo. Non avere paura di chi mente, perché sono loro ad essere già sconfitti, dentro. Morti senza saperlo.

E' tempo di alzare la testa, e dire che ogni giorno è un giorno della famiglia, perché la famiglia è quella che c'è ogni giorno, da che giorno è giorno e il sole sorge e tramonta sull'uomo e su questa terra.
Berlicche  socio di  SamizdatOnLine



L’ERRORE DEI DEVOTI


Ecco la frase tremenda con cui Péguy bolla l’errore dei devoti:

«Poiché essi non hanno la forza e (la grazia) di essere della natura credono di essere della grazia. Poiché non hanno il coraggio temporale credono di essere entrati nella penetrazione dell’eterno. Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere di uno dei partiti dell’uomo credono di essere del partito di Dio. Poiché non sono dell’uomo credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio».
( Lui è qui, pag 486, I libri dello spirito cristiano)

Camille Corot, Cattedrale di Chartes
La bellezza del cristianesimo, per contro, sta tutta nella semplicità bambina con cui l’uomo – senza rinnegare nessuno degli avvenimenti che la realtà gli propone – li affronta nella confidente compagnia dell’Eterno incarnato.

Dopo il celebre pellegrinaggio a Chartres del 1912 Péguy disse di se stesso: «Non sono un santo. Sono un testimone, un cristiano nella parrocchia, un peccatore, ma un peccatore che ha tesori di grazia e un angelo custode incredibile. Non c’è niente di meno cristiano del moralismo. Seguo il consiglio che Dio dà nei miei "Innocenti". Mi abbandono».


Ecco come Dio stesso nel Mistero dei santi Innocenti esemplifica tale atteggiamento di abbandono: «Nulla è bello come un bambino che s’addormenti nel dire la preghiera. Sotto l’ala dell’angelo custode e che sorride da solo scivolando nel sonno. E già mescola tutto insieme e non ci capisce più nulla. E arruffa le parole del Padre Nostro e le infila alla rinfusa tra le parole dell’Ave Maria».

ROUHANI SMASCHERA L'ITALIA POLITICALLY CORRECT

Giuseppe Frangi giovedì 28 gennaio 2016 fonte ilsussidiarionet

C'è un aspetto parossistico nella polemica scoppiata attorno alla vicenda delle statue coperte con dei box ai Musei capitolini di Roma, in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani. Una polemica un po' surreale scaturita dalla scelta sfortunata di qualche funzionario troppo zelante. Una cosa oggettivamente da poco, vagamente umoristica, è stata trasformata in un caso internazionale, con titoli roboanti su giornali ("Un caso mondiale", apriva ieri il Corriere della Sera) e siti, e ha scatenato il furore di tutti i gazzettieri del "corretto pensiero". Riportata la cosa nelle giuste dimensioni di una stupidata per eccesso di zelo, che si spera non venga punita con la lapidazione del responsabile (sempre che nella palude della burocrazia statale un responsabile lo si trovi mai), qualche riflessione la si può fare. 

Il presidente Rouhani, che è il volto di un Iran moderato e moderno, molto diverso da quello oscurantista del suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad, non ha avuto problemi ad affrontare nel corso della conferenza stampa la questione. Lo ha fatto con eleganza e con una scaltrezza molto andreottiana. «È una questione giornalistica», ha detto. «Non ci sono stati contatti a questo proposito. Posso dire solo che gli italiani sono molto ospitali, cercano di fare di tutto per mettere a proprio agio gli ospiti, e li ringrazio per questo». Dunque ha fatto capire che il caso interessa solo un'informazione che perde la dimensione dei problemi e che va in paranoia quando si sfiorano questioni che hanno a che vedere con le libertà sessuali (le statue erano a quanto pare dei nudi). In secondo luogo Rouhani ha precisato che quella di coprire le statue è stata un'attenzione non richiesta, ma che è stata comunque un'attenzione notata: infatti ne ha ricavato ulteriore conferma del carattere ospitale degli italiani. 

Certamente Rouhani non potrà dire la stessa cosa dei francesi, che hanno preannunciato l'indisponibilità a togliere il vino dal menu del pranzo di gala. Il vino per l'islam è proibito e già a novembre, nel corso di un'altra visita a Parigi ne era nato un caso, con pranzo annullato e incontro all'Eliseo solo per una prima colazione. Il menu italiano invece aveva previsto una rispettosa rinuncia al vino. «Gli italiani cercano di fare di tutto per mettere a loro agio gli ospiti», ha sottolineato non a caso Rouhani. Dobbiamo farcene una colpa? Dobbiamo per questo subire accuse di calabraghismo?
Le cose stanno diversamente. E più che mettere in croce questa Italia, è il caso di chiedersi quali danni faccia quel fondamentalismo culturale che ammantandosi di belle parole, non perde occasione di guardare alle civiltà diverse dalla nostra come a civiltà inferiori, reclamando imperiosamente un allineamento ai nostri "valori". 

Infatti, a parte l'infierire sui poveri e ignoti funzionari, tutti i commenti alla fine non riuscivano a trattenere un vero disprezzo nei confronti di una cultura e di una civiltà "arretrata" che non si adegua ai parametri di libertà e di emancipazione dell'Occidente. Libertà ed emancipazione che alla fine toccano sempre e solo la sfera del costume e dei diritti privati. E non toccano ad esempio quello del diritto al lavoro, che invece proprio Rouhani ha sottolineato come cruciale: perché, ha detto, è la mancanza di lavoro per i giovani la causa di tante derive, non ultima quella del terrorismo.

Coprire le statue con quei box (che per la verità sembravano un po' una riedizione dei vespasiani…) è stata una scelta indubbiamente fuori luogo. Ma alla fine è meglio l'istintivo e un po' goffo senso di rispetto che ha mosso quei funzionari (non c'è solo prudenza e ossequio…), che non la sicurezza un po' proterva di chi ne ha approfittato per sbandierare ancora una volta la superiorità di questi "valori occidentali" in faccia all'ospite Rouhani e al popolo che rappresentava. La realtà è che dobbiamo liberarci da una cultura vecchia e fondamentalmente dogmatica, incapace di aprirsi all'altro, e soprattutto di accettare la diversità dell'altro. Accettare questa diversità, non subirla: cioè conoscerla, e imparare a rispettarla per essere poi rispettati. Ed essere tutti più ricchi, in ogni senso.


martedì 26 gennaio 2016

RICOMPARE IL DUALISMO

RIDURRE LA FEDE A TESTIMONIANZA PERSONALE È LA NEGAZIONE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

 Mons. LUIGI NEGRI Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa

E' impensabile identificare la  posizione di don Giussani con il riformularsi di quei dualismi che egli aveva combattuto appassionatamente lungo tutto la sua storia. 

Nel dibattito che caratterizza questo momento della vita ecclesiale e sociale italiana attorno al disegno di legge sul riconoscimento delle unioni civili, e sulla possibilità di adottare figli da parte delle coppie omosessuali, si stanno profilando soprattutto in campo cattolico alcuni elementi che ripropongono in modo artificioso una situazione culturale che si pensava fosse stata definitivamente superata. 

foto ANSA
Ricompare il dualismo. Dualismo fra l’esperienza della fede ridotta a impegno della coscienza personale privata, caratterizzata da espressioni di autentica spiritualità; e l’impegno culturale, sociale e politico che non si collega strutturalmente alla fede, ma risponde ad una logica mondana che ha una sua consistenza, una sua dignità.

Questo dualismo tra fede e cultura, tra fede e impegno culturale, sociale e politico, ha rappresentato il più grosso handicap per la vita della Chiesa - almeno quella italiana, che conosco più direttamente – grosso modo dal Concilio Ecumenico Vaticano II fino all’inizio del pontificato di san Giovanni Paolo II. Questa tendenziale separazione fra la vita di fede personale e l’impegno culturale sociale e politico ha fatto sì che la Chiesa sostanzialmente rischiasse di autoemarginarsi dalla vita della società. 

Ritorna dunque questo dualismo per cui il problema di fronte alla vicenda politica attuale non sembra essere quello di contestare nei modi possibili l’approvazione di questa legge, che è evidentemente negativa nei confronti della struttura stessa della vita sociale, ma quello di comprendere personalmente le ragioni che stanno alla base di questo disegno di legge, immedesimandosi per quanto è possibile con i desideri umani che sostengono poi il cammino socio-politico.

Ora è qui che secondo me avviene un ritorno a una situazione che è già stata portata a maturazione e superata da Giovanni Paolo e Benedetto. L’esperienza della fede è un’esperienza che unifica la persona e tale unificazione diviene matura nella misura in cui la persona partecipa alla vita e all’esperienza ecclesiale. Non sono due logiche diverse e contrapposte. La fede è un fatto eminentemente personale che tende per sua forza a investire la vita personale, i rapporti fondamentali che la persona ha, fino all’impegno nelle vicende e nelle situazioni socio-politiche. 

Ricordo ancora a tantissimi anni di distanza con infinita gratitudine, che mons. Luigi Giussani mi consigliò di leggere un libretto aureo del cardinale Danielou: «La preghiera problema politico». Questa unità della persona si esprime poi a livello dei rapporti personali, delle capacità di coinvolgersi nella vita delle persone, di comprendere i problemi e le difficoltà, ma si esprime anche nel tentativo di investire la vita sociale offrendo a questa punti di riferimento, criteri di giudizio, valutazioni e prospettive in cui i cristiani credono di poter dare un contributo originale e di caratteristico alla vita della società.

È indubbio che i mezzi di comunicazione sociale, le forze anticattoliche che sono alle spalle di questo movimento che sostiene il ddl Cirinnà, considerano già acquisito il risultato, falsificando alcuni elementi; per esempio quelli – come dimostrato – che riguardano il numero dei paesi in cui queste nuove strutture giuridiche sono in atto. Ritenendo che l’Italia sia obbligata dalle decisioni o, meglio ancora, dagli inviti dell’Unione Europea ad attuare questo.

Don Giussani voleva creare un movimento, cioè un popolo cristiano, che forte della sua identità, animato dalla carità e dalla missione, sapesse intervenire in maniera originale e creativa in tutti gli spazi della vita culturale, sociale e politica.

In questo momento lo stesso impeto che apre la nostra vita personale ai nostri fratelli uomini, ci deve costringere ad essere presenti nell’ambito specifico della vita politica e addirittura nel tentativo di entrare in maniera positiva nel dibattito parlamentare. Ed è la stessa logica di fede e di missione che caratterizza la vita di carità personale, che impone a una minoranza come quella cattolica, priva ormai di effettive rappresentanze parlamentari, se non in numero ridotto, di farsi presente attraverso uno strumento - la manifestazione pubblica - che la vita sociale e politica attuale considera una autentica e correttissima forma di pressione.

Dire che l’uomo di fede deve ridursi agli impegni della coscienza personale, della cosiddetta testimonianza privata, tralasciando tutto quel che riguarda l’impegno a giudicare dal punto di vista della fede e a intervenire dal punto di vista della cultura che nasce dalla fede nelle questioni significative della vita culturale e sociale, è una posizione che è di certa parte della Chiesa cattolica nei decenni scorsi, ma che oggi può essere assunta tanto in quanto si pretende di eliminare l’insegnamento del magistero della Chiesa lungo tutto i grandi momenti della Dottrina sociale nel XIX e XX secolo e soprattutto nel magistero morale, sociale e politico di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

La vicenda che si svolge nel cosiddetto mondo della cristianità italiana è una vicenda di grande importanza che deve essere affrontata con grande chiarezza teologica senza quegli emotivismi e sentimentalismi che non fanno procedere il discorso ma lo confondono sempre di più.

Siccome in questa vicenda, dalla stampa più di una volta è stato fatto riferimento alla testimonianza, all’insegnamento, alla presenza di mons. Luigi Giussani, con cui ho potuto sostanzialmente convivere per oltre 50 anni, posso affermare che è impensabile identificare la sua posizione con il riformularsi di quei dualismi che egli aveva combattuto appassionatamente lungo tutto la sua storia. 

Il rifiuto del dualismo delle scelte religiose, della riduzione privatistica della fede, del silenzio di fronte alle questioni della vita politica, cultura, sociale, sono stati di grande intendimento ecclesiale e pastorale di mons. Giussani. Voleva creare un movimento, cioè un popolo cristiano, che forte della sua identità, animato dalla carità e dalla missione, sapesse intervenire in maniera originale e creativa in tutti gli spazi della vita culturale, sociale e politica. E non attento agli esiti, che dipendono sempre da molti fattori, ma attenti al fatto che attraverso questa testimonianza pubblica si incrementasse la fede. Dopo averla sentita, don Giussani aveva fatto sua la grande espressione di san Giovanni Paolo II: la fede si incrementa donandola, si irrobustisce donandola. E quell’altra grande intuizione: che è cioè la missione, l’identità e il movimento di ogni realtà ecclesiale. 


IL VESCOVO REGATTIERI: "IO STO CON IL FAMILY DAY"


Monsignor Regattieri avverte "I cristiani hanno diritto di manifestare, bisogna rispettare chi ‘sbaglia’, ma condannare il male"
Cesena, 25 gennaio 2016
Netta presa di posizione del vescovo Douglas Regattieri sul tema delle unioni civili. «I cristiani hanno diritto a manifestare. Per questo esprimo il mio sostegno al family day di sabato prossimo».
Nel consueto appuntamento annuale con la stampa, dedicato al patrono dei giornalisti San Francesco di Sales, monsignor Regattieri ha commentato le recenti manifestazioni pro e contro unioni civili che hanno animato la città sabato scorso: «Bisogna avere rispetto per le persone che  ‘sbagliano’ – ha detto –. Ma noi dobbiamo condannare il male».

“Anche Gesù lo disse: non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Il Vangelo divide, perché costringe a fare delle scelte. Penso che si debba applicare il criterio di Papa Giovanni XXIII. Non usare più la condanna, ma la misericordia. Questo però non significa accettare le norme legislative che aprono alle unioni civili fra persone dello stesso sesso, e alla cosiddetta adozione del figliastro, che farebbero proliferare la pratica abominevole dell’utero in affitto. Non si possono equiparare le unioni civili alle famiglie”.

domenica 24 gennaio 2016

IL GIUDIZIO CHIARO DI MONS. LUIGI NEGRI


Riportiamo il Messaggio di Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa, alla sua Diocesi

Carissimi figli e figlie della chiesa particolare di Ferrara-Comacchio, le decisioni gravissime che si stanno prendendo nei confronti della famiglia, su cui è fondata la convivenza sociale - ovvero il tentativo del disegno di legge Cirinnà di mettere le condizioni per mutare nella sostanza il concetto stesso di famiglia - rende necessaria una presenza esplicita, impegnata e responsabile del popolo cristiano.
Una presenza largamente intesa, di tutti i laici di buona volontà che vivono nello spazio della nostra vita sociale.

Sono molto lieto per le indicazioni date dalla Conferenza Episcopale Italiana, attraverso il Cardinale Angelo Bagnasco, che vanno nella direzione dell'incoraggiamento a partecipare all'iniziativa - di matrice e responsabilità decisamente laicale - programmata per il prossimo 30 gennaio a Roma.
Invito pertanto le famiglie, le comunità parrocchiali, i gruppi, i movimenti, le associazioni e quanti hanno a cuore il bene comune della società, a considerare e ad assecondare questa iniziativa con il massimo dell'impegno e della generosità.

I modi e i tempi della partecipazione vi saranno indicati dal nostro Ufficio per la pastorale familiare e dal neo costituito Comitato ferrarese “Difendiamo i nostri figli".
Fate il sacrificio di uscire allo scoperto e di andare verso il mondo, ma non un mondo generico e anonimo, del quale non si leggano e non si valutino i contorni obiettivi, sia culturali che politico-sociali.
La famiglia, così attaccata e devastata da una mentalità consumista e tecnoscientifica, è un'immensa periferia e noi vogliamo addentrarci in questa periferia.
Se non lo facciamo, se non difendiamo i suoi diritti fondamentali - e penso primariamente ai figli per i quali vogliamo preparare un futuro migliore - anche il continuo richiamare le piccole periferie dei nostri paesi o le periferie della povertà materiali, diverrebbe incomprensibile e inefficace.

È a Roma, il 30 gennaio, che si vedrà il volto genuino del popolo cristiano preoccupato del bene comune della società. È a Roma che si vedranno sia i cattolici che gli uomini e le donne di buona volontà preoccupati del destino delle prossime generazioni, assumersi la responsabilità di un giudizio chiaro rispetto alle iniziative di intervento, per quanto possibile, nel dibattito che si sta svolgendo in parlamento.
Vi incoraggio, dunque, ad essere generosi nella vostra risposta e a fare di questa occasione un gesto importante di carattere ecclesiale e sociale.
Vi benedico di cuore

+ Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa


IL “PASTORALISMO”, MALATTIA INFANTILE DEL CATTO-PIETISMO


di Stefano Fontana
la nuova bussola 13-01-2016


Le incertezze e le paralisi che la Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a proposito del disegno di legge Cirinnà hanno un nome: pastoralismo.

Una Chiesa che si è così a lungo macerata e lacerata su una cosa in vero molto semplice da fare, come opporsi ad una legge disumana da tutti i punti di vista, richiede una ragione culturale: il pastoralismo. Il pastoralismo ha fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono il dialogo e non costruiscono. 

Il pastoralismo ha fatto pensare a molti che non bisogna più intervenire sulle leggi, ma solo sulle coscienze delle persone. Il pastoralismo ha fatto pensare che la Chiesa debba solo formare – chissà poi chi, dove e come – e poi ognuno entra nella pubblica piazza con la propria coscienza.
Il pastoralismo fa ritenere a tanti preti che la Chiesa non debba dire mai di no, ma piuttosto debba accompagnare tutti e sempre. Il pastoralismo ha fatto sì che per qualcuno una presa di posizione contro l’omosessualità toglierebbe spazio alla pastorale delle situazioni di frontiera, tra cui quella delle persone con tendenze omosessuali. 

Il pastorialismo fa ritenere che scendendo sul terreno delle leggi civili la fede cattolica diventi ideologia. Il pastoralismo ha impedito a tante comunità cattoliche di trattare certi temi, perché troppo carichi di valenze politiche e quindi potenzialmente divisivi. Il pastoralismo ha indirizzato tante Diocesi a trattare certi temi, ma con l’intervento di tutte le opinioni in campo e senza prendere posizione. Il pastoralismo, per non precludere la via dell’azione pastorale, ha bloccato ogni azione. Una Chiesa molto pastorale, ma per questo afasica e aprassica.

Il pastoralismo è una malattia della Chiesa italiana di oggi. Secondo il pastoralismo non solo noi ma anche Dio non deve giudicare le situazioni e i comportamenti, perché giudicando impedirebbe l’incontro pastorale con tutti. Anche questo dei pastoralisti è una forma di giudizio, naturalmente, dato che non si prende posizione nei confronti della realtà se non giudicandola, ma ciò non toglie che il nemico mortale del pastoralismo, pur contraddittoriamente, sia il giudicare. Nemmeno una legge, secondo il pastoralismo, si può giudicare perché in questo caso la fede diventerebbe dottrina imposta e impedirebbe la pastorale. Giudicata male una legge, ti tagli i rapporti con coloro che invece in quella legge credono. Il pastoralismo è senza verità, perché senza giudizio non c’è più verità. Il pastoralismo è un sentimento, un atteggiamento agnostico, un prendere posizione senza prendere posizione, un inganno.

(....) continua al link


GIORGIO PONTE: “SARÒ AL FAMILY DAY”

 di Marata Moriconi  per Intelligo news
E’ un romanziere milanese Giorgio Ponte, omosessuale, e attento al dibattito sulle unioni civili. Per lui il Ddl Cirinnà non deve proprio passare, “già oggi il cosiddetto affido in prova è di fatto una prassi per qualsiasi bambino resti senza genitori” e non è d’accordo “sul fatto che dire che due uomini non possono crescere un bambino sia omofobo”. Attraverso IntelligoNews fa anche un appello agli omosessuali perché vadano al Family Day: “Facciano sentire la loro voce”.


( ...........) dall'intervista
La piazza del Family Day è contro gli omosessuali?

Oggi qualsiasi cosa non rispetti la dottrina gay è omofoba. Quindi dire che non sono d’accordo sul fatto che due uomini possano crescere un bambino è omofobo. Ma in realtà è ben altro. Dire che non sono d’accordo con una scelta non vuol dire che io odi o non riconosca la dignità di persona umana di chi quella scelta la compie.
Questa manifestazione non è contro gli omosessuali, per questo è importante che gli omosessuali che ci saranno, e ce ne saranno tanti, in qualche modo facciano sentire la loro voce. La nostra presenza smonta questo pregiudizio. Qua non si discute sulle scelte personali di nessuno. Si può andare a letto con chi si vuole, comprare casa con chi si vuole, condividere la vita con chi si vuole, persino amare chi si vuole, e questo già lo si può fare. Ma da qui a volere ribaltare l’essenza della persona umana riducendola al suo desiderio, e arrivando a dire che due uomini o due donne sono nella sostanza intercambiabili e atti a concepire, questo è un altro discorso.
 La manifestazione non è contro gli omosessuali, ma in difesa della famiglia naturale, fatta da uomo e donna che portano avanti la vita insieme. Ci sono molti modi di dare la vita in senso lato, ma uno solo è peculiare dell’unione di maschile e femminile. La generatività e la fecondità per chi ha tendenze omosessuali, così come per chi è single d’altra parte, non può manifestarsi in una genitorialità intesa come quella propria e peculiare della famiglia. Noi siamo chiamati a dare la vita come padri e madri sempre, per coloro che abbiamo attorno a noi. Mentre un bambino per crescere bene, ha bisogno di avere garantite dallo Stato almeno le condizioni minime cui ha diritto e che sono evidenti poiché inscritte nel suo concepimento: che possa conoscere le sue radici e che sia cresciuto da un padre e da una madre”.

Perchè la stepchild o l’affido rafforzato o l’adozione in prova non possono essere accettati neanche dai gay?

“Molte persone dicono che le unioni civili vanno bene, ma non le adozioni. Ma i politici in primis sanno che se viene approvata una legge a metà, oggi c’è una sentenza della Corte Europea che stabilisce che se gli Stati membri decidono di concedere un riconoscimento legale alle unioni tra persone dello stesso sesso devono garantire tutti gli stessi diritti del matrimonio. Perciò qualsiasi legge a metà, a prescindere da quale sia la gradazione di questa via di mezzo, nel momento in cui venisse approvata sarebbe impugnabile davanti alla Corte Europea e a quel punto lo Stato sarebbe costretto a trasformare quella legge in un matrimonio gay a tutti gli effetti, con anche la possibilità di procreare. Attraverso i metodi artificiali che ben conosciamo.
Per questo oggi non si può approvare nessun disegno di legge orientato in tal senso, nemmeno parzialmente: chi sta guidando questa battaglia per i presunti diritti lo sa, mira a quell’obiettivo e adesso ha le carte in Europa per arrivarci. In questo senso i compromessi che si stanno proponendo sono tutti dei camuffamenti. Già con la stepchild adoption. Il punto è: se io ho un figlio dal mio precedente matrimonio, questo figlio ha già una madre quindi non c’è bisogno che il mio compagno lo adotti. Nel caso in cui la madre fosse morta, già oggi il giudice stabilisce l’affidatario del bambino in base a chi ha avuto la maggiore continuità affettiva. Dunque già oggi il cosiddetto affido in prova è di fatto una prassi e non serve una legge apposita. Ciò significa che la legge riguarda nella sostanza solo i casi di figli nati da inseminazione artificiale o utero in affitto, dove uno dei genitori biologici (e entrambi) non sono presenti. E questo tipo di pratica non può essere appoggiata da una legge dello Stato”. (....) 

 fonte: Intelligo news
http://costanzamiriano.com/2016/01/23/giorgio-ponte-scrittore-omosessuale-saro-al-family-day/ponte/

giovedì 21 gennaio 2016

LA LIBERTA’ INNANZITUTTO

MONS. LUIGI GIUSSANI

“La libertà innanzitutto, la libertà è l’uomo. Questo è il cristiano, nella storia questo è il cristiano, e se non è così non è cristiano....

Resistenti bisogna essere. Come resistenti? Resistenti, resistenza. Rivoluzione: è un rivoluzionario, e un rivoluzionario deve essere combattuto. Qual è l’unica risposta all’omologazione? Fare la rivoluzione. Non è un concetto mio, è un concetto di Gesù, è la prima parola detta da Gesù: ‘Cambiate mentalità’, cambiate modo di giudicare, di vedere, di sentire, di gustare, di amare, di fare le cose……

Non possono non odiarti, amica mia, perché non sei come loro.
Non è che tu nasca contro di loro, anzi nasci per gridare quello che loro desiderano nel loro cuore originale, che hanno soffocato perché plagiati anche loro; e vorrebbero plagiare te.
Tu gridi in modo tale da risvegliare, se fosse possibile, nel loro cuore, l’assetto originale, la ragione, desiderio di piena spiegazione, di verità e di pieno godimento, di felicità; tu gridi in modo tale da risvegliare questi sentimenti costitutivi di ciò che la Bibbia chiama il cuore dell’uomo, che in loro tutti e in tutto il mondo di oggi è soffocato…

Il cristiano entra dentro la folla del mondo dicendo il contrario degli altri: afferma che la vita è responsabilità, è libertà, che la vita dell’uomo dovrà render conto di questa libertà e di questa responsabilità…

È la libertà l’idea forte dell’uomo cristiano…

Per questo il problema politico diventa grave per noi; perchè noi vogliamo un governo che protegga la libertà, per cui possa entrare in scuola anche un cristiano….”

Luigi Giussani, “Realtà e giovinezza. La sfida”  pag. 85-87 (SEI –  1995)


DOVREMO SGUAINARE LE SPADE PER DIMOSTRARE CHE L'ERBA E' VERDE IN ESTATE?

STEFANO SPINELLI

Credo sia necessario che la politica si riappropri di spazi capaci di ridare speranza e dignità all’uomo. E che torni ad essere rappresentativa. Rappresentativa di un popolo che vive, che lavora, che fa famiglia, che si impegna nel sociale, che cresce e fa crescere, che non cede all’ideologia dominante e al potere di turno.

Un popolo che si ritroverà di nuovo in piazza il 30 gennaio, per riaffermare che “l’erba è verde in estate”, che la famiglia ha bisogno, per essere tale, dell’incontro di un ragazzo e di una ragazza che si promettono amore per sempre e che diventano marito e moglie e decidono di incrociare i loro destini in uno più grande, aperto alla bellezza del dare alla vita i figli che Dio concederà loro, alla responsabilità del crescerli, alla grandezza dell’educarli. 

Un popolo per riaffermare che un bambino ha bisogno innanzitutto di una mamma, dell’amore complementare di un babbo e di una mamma, di un luogo fatto di relazioni parentali il più certe possibili che ne definiscano via via la propria identità. 

Un popolo che non si pieghi alla nuova schiavitù dell’utero in affitto, all’acquisto di una maternità, sottraendo poi il figlio alla donna che l’ha partorito, per contratto! Un popolo che non vuole rassegnarsi a scegliere quale debba essere la madre di un bambino (quella biologica, quella gestante o quella sociale) per disposizione negoziali tra le parti, come se la nuova vita fosse un bene o un oggetto per il quale si debba decidere a chi spetti.

La vita umana ridotta a patrimonio, a commercio, a scambio economico contro prezzo.

Qui credo sia il limite oltre il quale la nostra civiltà non possa spingersi, e di fronte al quale debbano cedere i desideri degli adulti, pur esistenti, ma cedevoli di fronte alla necessità di tutelare un bene superiore, come il diritto di un bambino di essere chiamato alla vita da una mamma e da un babbo. Qui credo debba essere fissata la linea Maginot, oltre la quale l’autodeterminazione di ciascun individuo non possa spingersi, pena la perdita progressiva dell’umanità di ciascuno e di tutti.

Questi sono i motivi per andare a Roma e manifestare il 30. Almeno io vado per questo. Non per meno.


mercoledì 20 gennaio 2016

NON FATE COME PILATO!!

NOI SUORE DI CLAUSURA VI CHIEDIAMO DI ANDARE AL FAMILY DAY!

dal blog di costanza miriano
Questa mail che pubblichiamo viene dalle suore di clausura trappiste della Repubblica Ceca e di Vitorchiano. Suor Lucia, badessa delle trappiste di Praga ha mobilitato il suo convento e quello d’origine pregando tutti di andare a Roma per il Family Day.

Carissimo,
dí a tutti da parte mia (puoi girare questo e-mail a chi vuoi) che per amore dei più deboli, i nostri bambini e i nostri ragazzi, DEVONO andare e non fare come Pilato!! 

Un peccato di omissione può essere peggio di molti altri peccati. Noi qui siamo 25, siamo suore di clausura e non possiamo andare. 
CHI VUOLE ANDARE AL POSTO DI OGNUNA DI NOI?
E’un favore personale che chiediamo a degli amici. Rimborseremo le spese del viaggio.
Noi preghiamo, adoriamo, digiuniamo. Voi andateci. E’ in nome della comunione tra laici e suore di clausura che ve lo chiedo. 
Carron dite che ve lo chiediamo noi monache di clausura.
Inoltre assieme a Bagnasco ve lo chiede la chiesa italiana che é rappresentata da lui e non da altri, per la grazia di stato del mandato di presidente.
Gira questo e-mail a tutti. Grazie.

sr Lucia e le sorelle di Naší Paní

martedì 19 gennaio 2016

L’IPOCRISIA SULLE UNIONI CIVILI



Bazoli (Pd) ci spiega i dubbi da sinistra sul ddl Cirinnà, in particolare sulle nozze omosessuali
Fonte ilfoglio | 19 Gennaio 2016

Roma. “L’ipocrisia c’è. Sarebbe stata meglio una limpida battaglia sul matrimonio da estendere agli omosessuali, una contesa chiara, fuori e dentro il Parlamento, senza arabeschi, più giusta nei confronti dell’opinione pubblica e forse anche più coraggiosa, onesta. Dunque un po’ d’ipocrisia c’è nella legge sulle unioni civili. Ma è involontaria”, dice attenuando, ricorrendo al tono segreto della sommissione, “eppure c’è”, ripete Alfredo Bazoli, bresciano, quarantasette anni, deputato del Pd dal cognome altisonante – democristiano “cristiano e cattolico”. E Bazoli occupa una posizione speciale nel Pd che si divide, e un po’ s’incarta, intorno al dibattito sulle unioni civili: è il primo firmatario di un manifesto di parlamentari cattolici molto critici con la legge e fa anche parte di quel gruppo di cinque senatori e cinque deputati del Pd incaricato di tirare fuori il partito e la maggioranza dal pasticcio d’obiezioni costituzionali (e dalla selva di insidie politiche) sollevate con silente cautela dal Quirinale, da Sergio Mattarella, e con piglio d’altri tempi, tempi ruiniani, anche dal presidente della Cei Angelo Bagnasco. “Se ci trovassimo a discutere una modifica della Costituzione, e dunque l’estensione del matrimonio agli omosessuali io sarei certamente contrario, mi opporrei e starei con il fronte del no”, dice Bazoli. “Ma contemporaneamente forse sarei più contento, perché le cose sarebbero lontane dai pasticci legislativi che invece in questo momento la legge, per come è formulata, adombra. E tutto il dibattito sarebbe anche depurato dal fondato sospetto che la legge sulle unioni civili sia un tentativo incostituzionale d’introdurre surrettiziamente i matrimoni omossesuali”.

La piccola bicamerale del Pd sulle unioni civili, di cui Bazoli fa parte, si riunisce domani, e da lì verrà fuori, non più tardi di venerdì prossimo, un compromesso, un emendamento risolutivo – così dicono – un nuovo testo di fatto benedetto dal governo. “Dobbiamo eliminare dalla legge tutti quei massicci rimandi alle norme del codice civile che definiscono il matrimonio”, spiega Bazoli. “Le unioni civili dovranno essere, in tutto e per tutto, un nuovo e autonomo istituto giuridico ben distinto dal matrimonio che, come stabilisce la Costituzione, è riservato alle coppie eterosessuali.

Inoltre stiamo cercando di modificare quella parte della legge che riguarda la cosiddetta ‘step child adoption’, cioè la possibilità di adottare i figli della compagna o del compagno. Io sono per lo stralcio della norma, ma credo si possa trovare il modo di mantenerla inserendo ulteriori vincoli e restrizioni in materia di adozione che allontanino, per esempio, l’eventualità che questa legge possa incentivare la pratica della maternità surrogata. Lavoriamo per queste modifiche, convinti che le unioni omosessuali meritino di essere disciplinate e di avere un riconoscimento pubblico”.

Bazoli non andrà al family day, dove invece andrà Beppe Fioroni, suo collega del Pd, anche lui firmatario del manifesto dei cattolici. “Non partecipai al family day del 2007, non credo sia opportuno che io partecipi nemmeno stavolta”, dice Bazoli. “Penso che le manifestazioni di piazza, per quanto possano essere animate da principi che condivido, non aiutino il legislatore. Il compito della politica è ricomporre i contrasti. Non alimentarli. Su questi temi c’è molta emotività, c’è una grande polarizzazione di giudizi e pregiudizi, una scarsa attitudine al confronto, anche, forse soprattutto, da parte dei non cattolici”. E’ per questo che Matteo Renzi si tiene distante, e ha persino cancellato sine die la direzione del partito che avrebbe dovuto discuterne? Si tiene lontano dalle grane? “Renzi fa bene come fa. Non sfugge. Sa che si tratta di materia delicata, e non vuole entrarci a piedi uniti, con brutalità. Guardi, la gran parte dei firmatari del manifesto dei cattolici democratici ha firmato con lo spirito di evitare estremismi e radicalizzazioni nel dibattito. Devo dire che questo stesso spirito invece non lo riconosco nelle parole della relatrice, la collega Cirinnà, che continua a ripetere: il testo non si tocca”. 
Vi siete mossi dopo le parole di Bagnasco. “Ci siamo mossi in totale autonomia, glielo assicuro”. Ma davvero si può individuare un istituto giuridico che riguarda solo gli omosessuali e non tutti gli altri cittadini? “Gli altri hanno il matrimonio”. Alcuni costituzionalisti sospettano che possa saltare tutto per aria al primo ricorso: perché il diritto alla pensione di reversibilità vale per le coppie omosessuali (non sposate) e non per le coppie eterosessuali (non sposate)? Resta l’impressione che per non discutere di matrimonio omosessuale si stia comunque facendo un pasticcio. “Sarebbe stato tutto più chiaro, questo lo ammetto”.