lunedì 11 gennaio 2016

UN ANNO DOPO CHARLIE HEBDO : L'INCAPACITA' DI CHIAMARE LE COSE COL LORO NOME

«L’assassino è ancora in libertà», titola il settimanale raffigurando un dio giudaico-cristiano. 


A un anno dalla strage, ieri è uscito il nuovo numero di Charlie Hebdo
La copertina raffigura dio armato di kalashnikov e il titolo è “Un anno dopo, l’assassino è ancora in libertà”. Il dio rappresentato, come ognuno può facilmente constatare, ha le fattezze di quello giudaico-cristiano. 

La confusione di Charlie Hebdo non ci sorprende più di tanto: già nelle ore successive alla strage si notò da più parti l’incapacità di chiamare “le cose con il loro nome”, di fare i conti con la realtà, di evitare, al contempo, grezze generalizzazioni ma anche assurde ipocrisie nei confronti dell’islam. 

A un anno di distanza, non molto è cambiato e la copertina del settimanale satirico ne è la sua più plastica raffigurazione, con un dio giudaico-cristiano latitante e la totale censura sul fatto che i terroristi fossero islamici e avessero sparato alle loro vittime urlando “Allahu Akbar”. 

GIANCARLO CESANA DA TEMPI


L’attacco omicida di al Qaeda a Charlie Hebdo esprime un’idea della verità, cioè un’idea di Dio, che prescinde dalla ragione dell’uomo. 
Se l’uomo è d’accordo, va bene, altrimenti viene fatto fuori o messo da parte come succede nel mondo islamico. Secondo questa idea, Dio è così trascendente, così superiore e lontano, che l’uomo non può assolutamente capire quello che Dio vuole, fatto salvo – illogicamente – un gruppo di eletti che lo capisce così bene da sentirsi autorizzato a uccidere in suo nome. Quindi, Dio è una verità senza ragione, una verità che si impone a prescindere da quello che l’uomo ritiene e vuole.

Questa non è solo un’idea islamica, è diffusa in tutte le religioni e anche nel cristianesimo, quando la fede è intesa come dono incomprensibile, privo di ragionevolezza. In questi casi il criterio per valutare un uomo prescinde da quello che pensa e crede, ma diventa il suo comportamento, se è onesto o non onesto, buono o non buono. La verità di Dio non è una proposta alla ragione, ma uno dei punti di richiamo a un comportamento corretto, determinato non da una concezione, ma dal costume prevalente. Qui, per fortuna, in nome di Dio non si ammazza fisicamente nessuno, anche se si tende ad ammazzare spiritualmente tutti dentro la moda.
Giancarlo Cesana

Contro l’attacco a Charlie Hebdo e contro l’idea di Dio soggiacente, si è realizzata a Parigi la manifestazione più imponente della storia della Francia: tre milioni di persone con la partecipazione di moltissimi capi di Stato, tuttavia con l’eccezione significativa del presidente degli Stati Uniti e del presidente della Russia. La manifestazione ha esplicitamente affermato e rivendicato per l’uomo la libertà di pensare e dire quello che vuole, senza verità o Dio che lo possano contestare, perché né l’una né l’altro esistono uguali per tutti – e quindi è anche dubbio che esistano.

Le due posizioni testé descritte sono espressioni del dramma dell’uomo moderno, identificato dalla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006. Io non so cosa si insegna a proposito della filosofia moderna, ma, secondo me, questa lezione dovrebbero insegnarla in tutte le scuole, soprattutto quelle di ispirazione cattolica. 
Ciò anche per smentire pensieri molto diffusi, sostenuti da grandi intellettuali come Umberto Eco, il quale dice che tutte le guerre sono nate dalle religioni. In realtà, se è vero che gli uomini religiosi hanno scatenato guerre in nome di Dio, queste possono essere considerate bazzecole rispetto ai massacri prodotti dalla ragione eletta ad assoluto come tale – il terrore della Rivoluzione Francese –, o come ideologia di sinistra e di destra – comunismo e nazismo. 
Anche il filosofo francese Jean Guitton dice che tutte le guerre sono «guerre di religione», nel senso che per fare un’azione tragica come la guerra, che distrugge la vita, è necessario essere convinti senza esitazione alcuna della verità delle proprie ragioni contro quelle di chi si combatte. Ma è indubbio che una ragione che cerca Dio, che si riconosce limitata e dipendente, è arginata nella sua tentazione violenta. La Chiesa, come riconobbe Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000, non è esente da colpe, ma è l’unica istituzione che se ne è assunta la responsabilità, anche secolare, ha chiesto perdono e ha promosso una cultura che, riconoscendo la presenza e a volte l’inevitabilità della guerra, cerca di contestarla.


È indiscutibile che nell’Occidente l’atteggiamento più diffuso, consapevolmente o meno, è quello della citata manifestazione parigina, per cui noi siamo autonomi e possiamo fare quello che vogliamo. È anche il pensiero di oggi sul cosiddetto “gender”. Siamo così autonomi da poter decidere anche senza Dio: non c’è più la natura, una legge inscritta nella natura, che indica cosa sei tu, se sei maschio o femmina. Tu puoi decidere e fare quello che vuoi. Non è vero, ma la tendenza è a vivere così. Come giustamente ha detto argutamente un parroco, nessuno vuole sposarsi o fare figli, eccetto gli omosessuali. Avere un bambino è un diritto, anzi è un diritto avere un bambino perfetto. Poi se al bambino perfetto qualcuno spara, o succede un incidente, o capita una malattia non importa, perché ciò che vale è l’attualità di una apparente onnipotenza.

(PRIMA PARTE - CONTINUA)

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