A un anno dalla strage, ieri è uscito il nuovo numero
di Charlie Hebdo.
La copertina raffigura dio armato di
kalashnikov e il titolo è “Un anno dopo, l’assassino è ancora in libertà”.
Il dio rappresentato, come ognuno può facilmente constatare, ha le fattezze di
quello giudaico-cristiano.
La confusione di Charlie Hebdo non ci sorprende più di tanto: già nelle ore successive alla strage
si notò da più parti l’incapacità di chiamare “le cose con il loro nome”, di
fare i conti con la realtà, di evitare, al contempo, grezze generalizzazioni ma
anche assurde ipocrisie nei confronti dell’islam.
A un anno di distanza, non
molto è cambiato e la copertina del settimanale satirico ne è la sua più
plastica raffigurazione, con un dio giudaico-cristiano latitante e la
totale censura sul fatto che i terroristi fossero islamici e avessero sparato
alle loro vittime urlando “Allahu Akbar”.
GIANCARLO CESANA DA TEMPI
L’attacco
omicida di al Qaeda a Charlie Hebdo esprime un’idea della
verità, cioè un’idea di Dio, che prescinde dalla ragione dell’uomo.
Se l’uomo è
d’accordo, va bene, altrimenti viene fatto fuori o messo da parte come succede
nel mondo islamico. Secondo questa idea, Dio è così trascendente, così superiore
e lontano, che l’uomo non può assolutamente capire quello che Dio vuole, fatto
salvo – illogicamente – un gruppo di eletti che lo capisce così bene da
sentirsi autorizzato a uccidere in suo nome. Quindi, Dio è una verità senza
ragione, una verità che si impone a prescindere da quello che l’uomo ritiene e
vuole.
Questa non è
solo un’idea islamica, è diffusa in tutte le religioni e anche nel
cristianesimo, quando la fede è intesa come dono incomprensibile, privo di
ragionevolezza. In questi casi il criterio per valutare un uomo prescinde da
quello che pensa e crede, ma diventa il suo comportamento, se è onesto o non
onesto, buono o non buono. La verità di Dio non è una proposta alla ragione, ma
uno dei punti di richiamo a un comportamento corretto, determinato non da una
concezione, ma dal costume prevalente. Qui, per fortuna, in nome di Dio non si
ammazza fisicamente nessuno, anche se si tende ad ammazzare spiritualmente
tutti dentro la moda.
Giancarlo Cesana |
Contro
l’attacco a Charlie Hebdo e contro l’idea di Dio soggiacente,
si è realizzata a Parigi la manifestazione più imponente della storia della
Francia: tre milioni di persone con la partecipazione di moltissimi capi di
Stato, tuttavia con l’eccezione significativa del presidente degli Stati Uniti
e del presidente della Russia. La manifestazione ha esplicitamente affermato e
rivendicato per l’uomo la libertà di pensare e dire quello che vuole, senza
verità o Dio che lo possano contestare, perché né l’una né l’altro esistono
uguali per tutti – e quindi è anche dubbio che esistano.
Le due
posizioni testé descritte sono espressioni del dramma dell’uomo moderno,
identificato dalla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona nel
2006. Io non so cosa si insegna a proposito della filosofia moderna, ma,
secondo me, questa lezione dovrebbero insegnarla in tutte le scuole,
soprattutto quelle di ispirazione cattolica.
Ciò anche per smentire pensieri
molto diffusi, sostenuti da grandi intellettuali come Umberto Eco, il
quale dice che tutte le guerre sono nate dalle religioni. In realtà, se è vero
che gli uomini religiosi hanno scatenato guerre in nome di Dio, queste possono
essere considerate bazzecole rispetto ai massacri prodotti dalla ragione eletta
ad assoluto come tale – il terrore della Rivoluzione Francese –, o come
ideologia di sinistra e di destra – comunismo e nazismo.
Anche il filosofo
francese Jean Guitton dice che tutte le guerre sono «guerre di religione», nel
senso che per fare un’azione tragica come la guerra, che distrugge la vita, è
necessario essere convinti senza esitazione alcuna della verità delle proprie
ragioni contro quelle di chi si combatte. Ma è indubbio che una ragione che
cerca Dio, che si riconosce limitata e dipendente, è arginata nella sua
tentazione violenta. La Chiesa, come riconobbe Giovanni Paolo II in occasione
del Giubileo del 2000, non è esente da colpe, ma è l’unica istituzione che se
ne è assunta la responsabilità, anche secolare, ha chiesto perdono e ha promosso
una cultura che, riconoscendo la presenza e a volte l’inevitabilità della
guerra, cerca di contestarla.
È
indiscutibile che nell’Occidente l’atteggiamento più diffuso, consapevolmente o
meno, è quello della citata manifestazione parigina, per cui noi siamo autonomi
e possiamo fare quello che vogliamo. È anche il pensiero di oggi sul cosiddetto
“gender”. Siamo così autonomi da poter decidere anche senza Dio: non c’è più la
natura, una legge inscritta nella natura, che indica cosa sei tu, se sei maschio
o femmina. Tu puoi decidere e fare quello che vuoi. Non è vero, ma la tendenza
è a vivere così. Come giustamente ha detto argutamente un parroco, nessuno
vuole sposarsi o fare figli, eccetto gli omosessuali. Avere un bambino è un
diritto, anzi è un diritto avere un bambino perfetto. Poi se al bambino
perfetto qualcuno spara, o succede un incidente, o capita una malattia non
importa, perché ciò che vale è l’attualità di una apparente onnipotenza.
(PRIMA PARTE - CONTINUA)
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