Chi non accetta la storia continua a "giocare" al '68
Federico Pichetto
sabato 2
gennaio 2016
Dinnanzi al bambinello del
Presepe di Pittelli — piccolo borgo
vicino a La Spezia — prima trafugato dalla tradizionale raffigurazione della
natività e poi impiccato accanto ad essa, quello che resta è un forte senso di
tristezza. Inutile farne un discorso morale
— anche un miscredente coglie in questo gesto un mancato rispetto — ed inutile forse farne un discorso di
civiltà, con i politici locali che in queste ore si affannano a
stigmatizzare l'episodio per quello che il bambinello rappresenta nella cultura
occidentale.
No, la tristezza nasce dalla
consapevolezza che siamo quasi sicuramente di fronte ad una bravata, ad una
sciocchezza che chi l'ha commessa non ha percepito "grave", ma
tutt'al più vicina alla goliardia. E questo è triste perché racconta di un
problema profondo, di maturità, della nostra società. Una persona, infatti, diventa umanamente adulta quando accetta la sua
storia, quando accoglie con verità il suo presente senza fuggire e quando sa
guardare con distacco e con criticità ai suoi desideri per il futuro. Il
furto del bambinello fa emergere un tipo umano che rispetto alla propria
storia, storia collettiva e di popolo, non ha nessun tipo di simpatia, ma anzi
la banalizza e la ridicolizza impedendosi così un'autentica maturità.
La crisi d'identità
dell'uomo contemporaneo
inizia proprio in questa rottura col passato, attraverso questa accurata
presunzione per cui del passato, di ciò che ci ha generato e portato fin qui, o
si possa tranquillamente fare a meno o vi si possa confrontarsi solo in termini
di rivoluzione e non di comprensione e assunzione. Quando agli inizi degli anni
duemila San Giovanni Paolo II insisteva così fortemente per l'inserimento delle
radici "giudaico-cristiane" nella costituzione europea naufragata poi
nel referendum francese del 2005 non lo faceva per un manierismo ideologico,
bensì per un afflato di paternità che lo rendeva consapevole che non ci sarebbe
stato nessun futuro per il Vecchio Continente se non attraverso una reale
riconciliazione e affezione per il proprio passato. Non si cresce buttando via
dei pezzi della propria storia o condannandoli come estranei a quello che oggi
siamo. Si cresce solo riconoscendo, in
modo critico, il debito che abbiamo verso ciò che ci ha preceduto e
perdonando — amando davvero — quello che non abbiamo saputo essere e fare.
La cultura della derisione, del ridicolo, del nulla, ci rende al
contrario più deboli, più fragili, più incapaci di dire chi siamo e che cosa
vogliamo.
Sbarazzarsi di Gesù Bambino,
del Presepe, dell'ipotesi con cui siamo stati lanciati nel reale dalla nostra
tradizione non ci rende più emancipati, ma più soli e incapaci di
comunicare.
Quando abbiamo staccato il
senso del Bene, del Bello, del Vero e del Buono dall'esperienza che ce li ha
fatti conoscere — riducendo tutti a concetti prodotto dalla ragione — abbiamo smarrito il metodo attraverso il quale si
diventa grandi e si impara, ossia la sequela della realtà, del reale.
Vedere il Bambinello impiccato fa quindi sorgere in un cuore "sano"
un moto di compassione autentica per una generazione — penso in questo momento
alla mia — che continua il deleterio
"gioco del '68" dei propri genitori, gioco in cui si spacciava la vita, allora come oggi, come un prodotto
biologico tecnicamente gestibile e culturalmente addomesticabile.
Se però niente è più
"dato", "donato", "ricevuto in custodia", allora
si può diventare padroni di tutto ed estendere il nostro macabro cinismo a
qualunque cosa. Perfino all'effige di un Bambino. Il fatto sconfortante è che quest'atteggiamento
— brandito come moderno e all'avanguardia rispetto alle zavorre del passato —
non è altro che la riproposizione di uno schema vecchio di duemila anni. Lo
schema triste e violento, coniato alle spalle dei Magi, dal Re Erode. Uno schema dove la realtà è sempre un impiccio
da eliminare, fisicamente o goliardicamente, per mantenere l'unica cosa
capace di darci una qualche stabilità: la rassicurante e furtiva sensazione di
possedere almeno un po' di potere.
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