di Stefano Fontana
la nuova bussola 13-01-2016
Le incertezze e le paralisi che la
Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a
proposito del disegno di legge Cirinnà hanno un nome: pastoralismo.
Una Chiesa che si è così a lungo macerata e lacerata su una cosa in vero
molto semplice da fare, come opporsi ad una legge disumana da tutti i punti di
vista, richiede una ragione culturale: il pastoralismo. Il pastoralismo ha
fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono
il dialogo e non costruiscono.
Il pastoralismo ha fatto pensare a molti che non bisogna più intervenire sulle leggi, ma solo sulle
coscienze delle persone. Il pastoralismo
ha fatto pensare che la Chiesa debba solo formare – chissà poi chi, dove e come
– e poi ognuno entra nella pubblica piazza con la propria coscienza.
Il pastoralismo fa ritenere a tanti preti che la Chiesa non debba dire mai
di no, ma piuttosto debba accompagnare tutti e sempre. Il pastoralismo ha fatto
sì che per qualcuno una presa di posizione contro l’omosessualità toglierebbe
spazio alla pastorale delle situazioni di frontiera, tra cui quella delle
persone con tendenze omosessuali.
Il pastorialismo fa ritenere che scendendo sul terreno delle leggi civili
la fede cattolica diventi ideologia. Il pastoralismo ha impedito a tante comunità cattoliche di
trattare certi temi, perché troppo carichi di valenze politiche e quindi
potenzialmente divisivi. Il pastoralismo ha indirizzato tante Diocesi a
trattare certi temi, ma con l’intervento di tutte le opinioni in campo e senza
prendere posizione. Il pastoralismo, per non precludere la via dell’azione
pastorale, ha bloccato ogni azione. Una Chiesa molto pastorale, ma per questo
afasica e aprassica.
Il pastoralismo è una malattia della Chiesa italiana di oggi. Secondo il
pastoralismo non solo noi ma anche Dio non deve giudicare le situazioni e i comportamenti, perché
giudicando impedirebbe l’incontro pastorale con tutti. Anche questo dei
pastoralisti è una forma di giudizio, naturalmente, dato che non si prende
posizione nei confronti della realtà se non giudicandola, ma ciò non toglie che
il nemico mortale del pastoralismo, pur contraddittoriamente, sia il giudicare.
Nemmeno una legge, secondo il pastoralismo, si può giudicare perché in questo
caso la fede diventerebbe dottrina imposta e impedirebbe la pastorale.
Giudicata male una legge, ti tagli i rapporti con coloro che invece in quella
legge credono. Il pastoralismo è senza verità, perché senza giudizio non c’è
più verità. Il pastoralismo è un sentimento, un atteggiamento agnostico, un
prendere posizione senza prendere posizione, un inganno.
(....) continua al link
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