RIDURRE LA FEDE A TESTIMONIANZA PERSONALE È LA NEGAZIONE DELLA DOTTRINA
SOCIALE DELLA CHIESA
Mons. LUIGI NEGRI Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa
E' impensabile identificare la posizione di don Giussani con il riformularsi di quei dualismi che egli aveva combattuto appassionatamente lungo tutto la sua storia.
Nel dibattito che caratterizza questo momento della vita ecclesiale e
sociale italiana attorno al disegno di legge sul riconoscimento delle unioni
civili, e sulla possibilità di adottare figli da parte delle coppie
omosessuali, si stanno profilando
soprattutto in campo cattolico alcuni elementi che ripropongono in modo
artificioso una situazione culturale che si pensava fosse stata definitivamente
superata.
foto ANSA |
Ricompare il dualismo. Dualismo fra
l’esperienza della fede ridotta a impegno della coscienza personale privata,
caratterizzata da espressioni di autentica spiritualità; e l’impegno culturale,
sociale e politico che non si collega strutturalmente alla fede, ma risponde ad
una logica mondana che ha una sua consistenza, una sua dignità.
Questo dualismo tra fede e cultura, tra fede e impegno culturale, sociale e politico, ha rappresentato il
più grosso handicap per la vita della Chiesa - almeno quella italiana, che
conosco più direttamente – grosso modo dal Concilio Ecumenico Vaticano II fino
all’inizio del pontificato di san Giovanni Paolo II. Questa tendenziale separazione fra la vita di fede personale e
l’impegno culturale sociale e politico ha fatto sì che la Chiesa
sostanzialmente rischiasse di autoemarginarsi dalla vita della società.
Ritorna dunque questo dualismo per cui il problema di fronte
alla vicenda politica attuale non sembra essere quello di contestare nei modi
possibili l’approvazione di questa legge, che è evidentemente negativa nei
confronti della struttura stessa della vita sociale, ma quello di comprendere
personalmente le ragioni che stanno alla base di questo disegno di legge,
immedesimandosi per quanto è possibile con i desideri umani che sostengono poi
il cammino socio-politico.
Ora è qui che secondo me avviene un ritorno a una situazione che è già stata portata a
maturazione e superata da Giovanni Paolo e Benedetto. L’esperienza della fede è un’esperienza che unifica la persona e tale
unificazione diviene matura nella misura in cui la persona partecipa alla vita
e all’esperienza ecclesiale. Non sono due logiche diverse e contrapposte.
La fede è un fatto eminentemente personale che tende per sua forza a investire
la vita personale, i rapporti fondamentali che la persona ha, fino all’impegno
nelle vicende e nelle situazioni socio-politiche.
Ricordo ancora a tantissimi anni di distanza con infinita gratitudine, che mons. Luigi
Giussani mi consigliò di leggere un libretto aureo del cardinale Danielou: «La preghiera problema politico».
Questa unità della persona si esprime poi a livello dei rapporti personali,
delle capacità di coinvolgersi nella vita delle persone, di comprendere i
problemi e le difficoltà, ma si esprime anche nel tentativo di investire la vita sociale offrendo a
questa punti di riferimento, criteri di giudizio, valutazioni e prospettive in
cui i cristiani credono di poter dare un contributo originale e di
caratteristico alla vita della società.
È indubbio che i mezzi di comunicazione sociale, le forze anticattoliche che sono alle spalle di
questo movimento che sostiene il ddl Cirinnà, considerano già acquisito il
risultato, falsificando alcuni elementi; per esempio quelli – come dimostrato –
che riguardano il numero dei paesi in cui queste nuove strutture giuridiche
sono in atto. Ritenendo che l’Italia sia obbligata dalle decisioni o, meglio
ancora, dagli inviti dell’Unione Europea ad attuare questo.
Don Giussani voleva creare un movimento, cioè un popolo cristiano, che forte della sua identità, animato dalla carità e dalla missione, sapesse intervenire in maniera originale e creativa in tutti gli spazi della vita culturale, sociale e politica.
In questo momento lo stesso impeto che apre la nostra vita personale ai nostri fratelli uomini, ci deve costringere ad essere presenti nell’ambito specifico della
vita politica e addirittura nel tentativo di entrare in maniera positiva nel
dibattito parlamentare. Ed è la stessa logica di fede e di missione che
caratterizza la vita di carità personale, che impone a una minoranza come
quella cattolica, priva ormai di effettive rappresentanze parlamentari, se non
in numero ridotto, di farsi presente
attraverso uno strumento - la manifestazione pubblica - che la vita sociale e
politica attuale considera una autentica e correttissima forma di pressione.
Dire che l’uomo di fede deve ridursi agli impegni della coscienza personale, della cosiddetta
testimonianza privata, tralasciando tutto
quel che riguarda l’impegno a giudicare dal punto di vista della fede e a
intervenire dal punto di vista della cultura che nasce dalla fede nelle
questioni significative della vita culturale e sociale, è una posizione che è
di certa parte della Chiesa cattolica nei decenni scorsi, ma che oggi può
essere assunta tanto in quanto si pretende di eliminare l’insegnamento del
magistero della Chiesa lungo tutto i grandi momenti della Dottrina sociale nel
XIX e XX secolo e soprattutto nel magistero morale, sociale e politico di san
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
La vicenda che si svolge nel cosiddetto mondo della cristianità italiana è una vicenda di grande importanza che deve
essere affrontata con grande chiarezza teologica senza quegli emotivismi e
sentimentalismi che non fanno procedere il discorso ma lo confondono sempre di
più.
Siccome in questa vicenda, dalla stampa più di una volta è stato fatto riferimento alla
testimonianza, all’insegnamento, alla presenza di mons. Luigi Giussani, con cui ho potuto
sostanzialmente convivere per oltre 50 anni, posso affermare che è impensabile identificare la sua posizione
con il riformularsi di quei dualismi che egli aveva combattuto
appassionatamente lungo tutto la sua storia.
Il rifiuto del dualismo delle scelte religiose, della riduzione privatistica della fede, del
silenzio di fronte alle questioni della vita politica, cultura, sociale, sono
stati di grande intendimento ecclesiale e pastorale di mons. Giussani. Voleva creare un movimento, cioè un popolo
cristiano, che forte della sua identità, animato dalla carità e dalla missione,
sapesse intervenire in maniera originale e creativa in tutti gli spazi della
vita culturale, sociale e politica. E non attento agli esiti, che dipendono
sempre da molti fattori, ma attenti al fatto che attraverso questa
testimonianza pubblica si incrementasse la fede. Dopo averla sentita, don
Giussani aveva fatto sua la grande espressione di san Giovanni Paolo II: la
fede si incrementa donandola, si irrobustisce donandola. E quell’altra grande
intuizione: che è cioè la missione, l’identità e il movimento di ogni realtà
ecclesiale.
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