sabato 30 maggio 2020

WALTER TOBAGI, UN RICORDO NON FASULLO


Esattamente come con i magistrati Falcone e Borsellino, quarant’anni dopo la sua scomparsa per mano di giovanissimi terroristi (anch’essi vittime dei cattivi maestri, piccoli e grandi borghesi che con l’utopia rossa distrussero una intera generazione di giovani), il giornalista Walter Tobagi diventa l’oggetto di sequestro di memoria da parte di quegli stessi che furono culturalmente e politicamente nemici di un grande giornalista che nel Corriere della Sera di anni Settanta si trovò isolato all’interno del suo stesso giornale e dello suo stesso sindacato professionale.


In entrambi gli ambienti dettavano legge i comunisti. E Tobagi comunista non lo era affatto. Anzi. Era un socialista e cattolico amico di Bettino Craxi. Quindi un “pericoloso” uomo indipendente non allineato ai falsi “democrat”. 

Ma al di là delle interpretazioni ideologiche, resta il fatto di un giornalista fuori dal coro. Al punto che pochi giorni prima di morire aveva scritto una serie di articoli dove si diceva del gran bene addirittura di Comunione e Liberazione, che non godeva assolutamente di buona stampa. E che, anzi, era detestata dai giornali in quanto unico movimento non di sinistra che era rimasto nelle scuole e nelle università a difendere la democrazia quotidianamente oltraggiata non soltanto dagli estremisti. Ma soprattutto dalla cultura e giornali dei padroni. Tutti “antifascisti” naturalmente alla maniera del Pci di Togliatti, Longo, Berlinguer. Così Walter Tobagi avrebbe dovuto essere ospite in Università cattolica dei ciellini. Fu proprio il sottoscritto a telefonargli. Aderì volentieri. E c’era già una data fissata. Se non fosse arrivato prima il commando omicida.

Ecco un articolo apparso sul corriere poco prima del suo omicidio.

Un tocco al cuore  

«Quale sia l’obiettivo politico dei terroristi è l’argomento che divide ancora e sempre i giudizi. Che cosa sperano di raggiungere con questa sequela di delitti? Rispondere a questa domanda vuol dire indicare, implicitamente, la via da seguire per battere il terrorismo. 
I muri della Statale offrono la risposta dei gruppi che si contendono l’egemonia ideologica a colpi di tatse-bao. Quelli del Movimento lavoratori per il socialismo scrivono: “sviluppiamo la vigilanza e la mobilitazione di massa contro il terrorismo”. Quelli di DP dicono: “se vogliamo battere il terrorismo dobbiamo rilanciare la ‘lotta di massa’”.  

Sono ragionamenti che rispondono ad una logica strettamente politica, e ti lasciano l’ambiguità di un interrogativo: può la sola logica della politica sanare ferite che proprio l’esasperazione politica, il pantapoliticismo ha favorito? 

L’altra logica si ritrova nei tatse-bao di CL che sono i più numerosi. All’ingresso dell’aula magna hanno ricopiato a mano l’articolo di Testori sul Corriere di ieri. 
E ad ogni cantone hanno affisso un lenzuolo che comincia: “quando la morte è fra noi…” e contiene verità amare, domande imbarazzanti. 
Parla del “coraggio di riconoscere che politici ed intellettuali, mezzi di comunicazione e mentalità comune hanno contribuito a distruggere, in questi decenni, i fattori che rendono possibile e giusta la convivenza”.

Denuncia che “la violenza del più forte” è diventata “l’unico criterio nei rapporti fra gli uomini. Se la verità non esiste, la condanna della violenza non ha verità”.

tratto da un articolo di Luigi Amicone su Tempi 
foto ANSA

FALCONE VA RICORDATO CON I SUOI PERSECUTORI



Quest'anno, ricordo in ritardo l'assassinio di Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani: tragica conclusione della lotta al magistrato, l'unico che, con Borsellino, seppe comporre un puzzle lungo 460 nomi criminali, tutti condannati sino in Cassazione, mettendo indirettamente a nudo il mare di complicità e di inefficienze, precedente, contemporaneo e successivo alla loro morte.

Non è un caso che, dopo il «maxiprocesso» non si sia mai stato imbastito un processo simile per dimensioni ed effetti. Segno che il «Metodo Falcone», fondato sulla ricerca ossessiva di indizi e prove, e solo su di esse, e su un lavoro maniacale di incroci e di riscontri (negli anni 80 la tecnologia informatica era ai primordi) è rimasto nei limiti dei racconti epici di quel periodo cruciale. Niente teoremi: solo assunzioni riscontrabili.
Per questo, rammento che poco prima dell'assassinio, Repubblica scrisse di non riuscire a guardare con rispetto Falcone, consigliandogli di dimettersi dalla magistratura, data la sua eruzione di vanità tipica dei guitti televisivi. Sulla medesima strada, Leoluca Orlando accusò Falcone di tenersi le carte nei cassetti e presentò, in proposito, un esposto al Csm. Lo stesso organismo (il Csm) che gli aveva anteposto Antonino Meli, il magistrato che sciolse il pool antimafia. Armando Spataro, già procuratore della Repubblica a Torino, riferendosi al suo progetto di procura nazionale antimafia lo accusò di volersi mettere al volante della ferraglia che aveva costruito e, non contento, lo indicò alla riprovazione generale per essersi fatto vedere in pubblico insieme a Claudio Martelli, ministro della giustizia. Falcone era direttore generale di quel ministero. Per il ruolo di Csm e Parlamento suggerisco di ricorrere a Google.
Voglio aggiungere che i nemici di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non si annidavano solo negli antri mafiosi, ma anche nelle sale non luminose di alcuni uffici giudiziari palermitani e non.
Insomma, ricordare Falcone per non dimenticare i suoi persecutori: essi mostrarono alla mafia che lo Stato non lo sosteneva sino in fondo.
Domenico Cacopardo
Italiaoggi

mercoledì 27 maggio 2020

CIO' CHE RIDESTA LACOSCIENZA E' LA PRESENZA DI UNA RISPOSTA


Sintesi Assemblea soci di ESSERCI del 29 aprile 2020 

Una delle speranze, dei richiami, presenti soprattutto in ambiente cattolico, ma non solo, perché c'è anche una preoccupazione di molti che cristiani non sono, è che questa sventura della pandemia almeno ridesti la coscienza, ridesti la coscienza dell'uomo.
Secondo alcune considerazioni questa coscienza appunto sarebbe stata in qualche modo ridestata o smossa. In realtà come hanno osservato bene altri, la difficoltà di per sé non ridesta la coscienza, la agita, la rende inquieta, ma non la ricostituisce. Perché ciò che costituisce la coscienza è la presenza di una risposta. Ciò che ridesta la coscienza è la presenza di una risposta. Ciò che fa emergere la domanda, la fa esprimere, è la presenza di una risposta. Senza di che c’è un’agitazione inconcludente alla fine. 

Da questo punto di vista è molto seria l’osservazione a riguardo della Chiesa che ha abbandonato il popolo, perché la Chiesa che ambisce ad essere il luogo della risposta alla ricerca dell’uomo sembra fragilissima. Per cui l’augurio a che si ridesti la coscienza non ha strumenti, non si realizza: si sente molto questo.

Una delle ragioni per cui abbiamo fatto Esserci, è che la Chiesa non sono solo i preti o i vescovi, la Chiesa siamo noi. Quindi è anche a noi che è affidato il compito di una presenza che possa ridestare la coscienza. Quando De Petro ci legge che Giussani nel momento di difficoltà aveva detto che la nostra fede deve diventare più matura, è perché la Chiesa non sono i preti, non sono gli altri, la Chiesa siamo noi, tutti insieme. Siamo noi come persone e siamo noi come comunità, come corpo. Per cui chi abbandona eventualmente l’uomo, non sono solo i preti, siamo noi che abbandoniamo. La fragilità è veramente diffusa e noi dobbiamo sentirci responsabili di essa, soprattutto nella formazione del giudizio. 

Di qui il contenuto proprio di un’associazione come Esserci, perché si è molto parlato del rischio di un totalitarismo culturale. Ma il totalitarismo culturale in cui siamo immersi oggi non è realizzato attraverso la selezione dell’informazione, anche; ma soprattutto attraverso l’abbondanza e la moltiplicazione delle informazioni. Per esempio, di tutti i rischi e dei pericoli di cui si è parlato questa sera intervenendo, i giornali sono pieni: per esempio sul problema citato della libertà messa in discussione dall’adozione della app, Cioè tutte le cose che noi sentiamo come rischiose, come pericolo per la nostra esistenza presente e futura, sono affrontate nei media con pagine e pagine visive e scritte, dappertutto. Si è parlato appunto di “infodemia”, della epidemia di informazioni: il problema è che l’abbondanza di informazioni a rende tutte le informazioni uguali, cioè vale tutto allo stesso modo. 

Anche perché l’incertezza e l’ignoranza che c’è dietro è così evidente che ormai tutti hanno capito che pure medici e scienziati –certo sanno- ma la sostanza delle cose non la sanno. E vanno a tentoni, come tutti. Come i politici, adesso impauriti dalla riapertura che potrebbe far riaccadere il contagio e non si sa se riaccadrà, non si sa se ricomparirà l’epidemia, non si sa qual è il vaccino, non si sa quali sono le cure, non si sa quanti sono i morti, non si sa quanti sono gli ammalati, non si sanno un sacco di cose. E tutti discutono e dibattono. C’è una pletora di informazioni che distrugge la capacità selettiva del pensiero. 
Arizona, foto tratta da The Atlantic

Se Esserci è un’associazione culturale, deve preoccuparsi soprattutto di questo. E deve preoccuparsi di questo valorizzando l’esperienza degli associati. L’esperienza di chi ci sta, l’esperienza di chi si mette insieme: dobbiamo fidarci di questo, fidarci di questo come sostanziale e ultima possibilità.
L’esperienza non è solo provare le cose, ma è anche giudicarle. È il giudizio sulle cose che si sono provate, che si sono viste e si sono vissute: noi abbiamo un giudizio, dobbiamo fidarci mettendolo alla prova e rendendolo pubblico. Tanto più dobbiamo fidarci a causa della nostra fede cristiana che ci ha messi insieme come segno, come luogo per la scoperta e la conquista della verità. È un compito immane ma è quello che dobbiamo fare. 

Io spero che, almeno per quanto riguarda noi, il motto benedettino Ora et Labora -in fondo il lavoro è equivalente alla preghiera, e la preghiera è equivalente al lavoro, cioè la preghiera trasforma e il lavoro domanda- diventi veramente nostro, diventi ricerca effettiva della risposta e di una proposta che sia di aiuto. 

Non elenco i tanti temi che sono stati citati: lavoriamo per affrontarli a partire dalla nostra esperienza, cercando innanzitutto di aiutare noi stessi a renderci conto di quanto sta succedendo, cercando quindi innanzitutto di aiutare noi stessi a ridestare la coscienza. Perché poi, per fortuna, non tutto dipende da noi, e per questo c’è Dio: ci penserà un po’ anche Lui. 

Giancarlo Cesana
Assemblea Soci Esserci 29 Aprile 2020

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domenica 24 maggio 2020

ADDIO ALLA CLASSE MEDIA


QUALI AIUTI ALLA FAMIGLIA PER IL COVID-19? UNA ESPERIENZA
Sono un agente di commercio di prodotti dolciari, i miei clienti sono prevalentemente pasticcerie, gelaterie, panifici, bar, ristoranti e hotel. Come sapete, l’epidemia di COVID-19 ha impattato fortemente anche il mio settore di attività.

In famiglia siamo 5 persone, di cui 3 figli di 12, 10 e 3 anni. Abbiamo scelto per loro di puntare sulle scuole pubbliche paritarie, questo vuol dire che abbiamo dovuto continuare a pagare le rette mensili anche con i figli a casa per seguire la didattica a distanza.


Mia moglie è disoccupata, non percepisce alcun aiuto, ne la NASPI ne il Reddito di Cittadinanza, perché essendo sposati (e non in unione civile) il suo/nostro ISEE risulta troppo alto. In famiglia quindi sono io l’unico percettore di reddito e per lo Stato i miei 2000 euro netti al mese, da dividere in 5 ci rendono una famiglia talmente ricca da meritare un unico aiuto: l’indennità di 600 euro.

Cari governanti, sapete fare di conto sicuramente molto meglio di me vista la posizione che avete raggiunto, quindi sapete benissimo che 600 euro diviso 5 fa 120 euro. Voi avete costretto me e la mia famiglia a vivere con 120 euro a testa al mese, ma avete dato 600 euro a chi vive da solo. Non avete previsto nessuno strumento compensativo, non avete considerato nessun quoziente che considerasse i carichi familiari. Avete considerato una nostra colpa aver scelto la scuola pubblica paritaria, così non avete previsto nessun aiuto per chi come noi si trova in questa situazione, dove i vostri 600 euro servono quasi interamente per coprire le rette e a tutto il resto dobbiamo pensare noi.

Ci avete detto “Nessuno resterà indietro”, “Avremo cura di tutti”, e poi giù a sproloquiare di equità sociale, di solidarietà. Ma come fate a non capire che è profondamente iniquo e ingiusto dare 600 euro ad un single e la stessa cifra a una famiglia con figli? Come fate a pensare che i carichi familiari non siano rilevanti? Che scegliere la scuola pubblica paritaria sia una colpa, sia un nostro errore, di cui oggi dobbiamo pagare le conseguenze? Allora non chiamatela più pubblica, così almeno finirà questa farsa.

Vi rendete conto che due single con partita IVA legati da unione civile e senza figli, si intascano 1200 euro indipendentemente dal reddito e una famiglia come la nostra con 3 figli prende la metà? Dopotutto siamo noi a crescere quei cittadini che domani pagheranno la pensione vostra e dei vari single senza figli. E’ equa questa situazione? Vi sembra giustizia sociale?

Il Presidente Mattarella poco tempo fa ha evidenziato questa colpevole assenza di politiche familiari, ma sono state parole al vento. Del resto la nostra Costituzione “è la più bella del mondo” solo quando vi fa comodo, poi però l’Articolo 31 fate tutti finta che non esiste! Una volta almeno c’era un’attenzione alle famiglie numerose, un occhio di riguardo, oggi neppure più quello.
Da quello che leggo seguendo l’attualità, benissimo farsi carico dei diritti delle persone omosessuali e difenderli da chi commette ingiustizie contro di loro. Ma perché le ingiustizie perpetrate contro le nostre famiglie non meritano la stessa attenzione?

Probabilmente qualcuno potrebbe obiettarmi che sono stati messi a disposizione di imprese e lavoratori autonomi 750 miliardi di euro! Forte, diamoci un’occhiata! Del resto indebitarmi a basso costo, visti i tempi, è sempre meglio che un calcio negli stinchi!
Ne parlo con la mia banca e ho un’amara sorpresa: se prima i miei 2000 euro al mese mi rendevano talmente ricco da meritare poco e niente, ora le cose si invertono. Per poter ricevere il finanziamento non sono abbastanza ricco, ma posso ricevere solo 11000 euro dei 25000 messi gentilmente a disposizione. Fantastico! Si vede proprio che non è il mio anno fortunato!
In questi giorni si sente parlare del contributo a fondo perduto per le partite IVA, ma anche qui un’altra bastonata nei denti: siccome ho ricevuto i 600 euro non posso chiedere il contributo. Della serie: ma ce l’avete con me?

A fronte di questa mia esperienza, non posso fare altro che trarne una amara conclusione: la cultura che governa il nostro paese non è nemica dei capitalisti e dei ricchi. Neppure la solidarietà è il faro di questa cultura di governo. L’unico loro nemico giurato è la famiglia media, per cui è sufficiente un reddito di 2000 euro al mese e la casa di proprietà per diventare “la vacca da mungere” di questo paese, rea di aver fatto dei figli e con l’aggravante di aver scelto la scuola pubblica paritaria.
Davide Rosati