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MICHEL HOUELLEBECK
(…) Questa epidemia riesce nell'impresa di essere allo stesso
tempo angosciante e noiosa. Un virus banale, apparentato in modo poco
prestigioso a oscuri virus influenzali, dalle possibilità di sopravvivenza
poco note e caratteristiche confuse, a volte benigno a volte mortale, neanche
trasmissibile per via sessuale: insomma, un virus senza qualità.
(...)
Nasceranno libri interessanti, ispirati da questo periodo? Me lo chiedo anche
io. Mi sono davvero posto la questione, ma in fondo credo di no.
Sulla peste abbiamo avuto molte cose, nel corso dei secoli, la peste ha
interessato molto gli scrittori. Nel nostro caso invece ho qualche dubbio. Intanto, non credo mezzo secondo alle
dichiarazioni del tipo «niente sarà più come prima». Al contrario, tutto
resterà esattamente uguale. Lo svolgimento di questa epidemia è anzi
notevolmente normale.
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Leoni di San Prospero, Reggio Emilia |
L'Occidente non è, per l'eternità, per diritto divino, la zona più ricca
e sviluppata del mondo; è finito, tutto questo, già da qualche tempo, non è
certo uno scoop. Se andiamo a vedere nel dettaglio, la Francia se la cava un
po' meglio che la Spagna o l'Italia, ma meno bene che la Germania; anche qui,
nessuna grossa sorpresa. Il coronavirus, al contrario, dovrebbe avere per
risultato principale quello di accelerare certi mutamenti in corso.
Da qualche anno ormai l'insieme delle evoluzioni tecnologiche, che siano
minori (video on demand, pagamento senza contatto) o maggiori (il telelavoro,
gli acquisti su Internet, i social media) hanno avuto per conseguenza
principale (principale obiettivo?) quella di diminuire i contatti
materiali, e soprattutto umani. L'epidemia di coronavirus offre una
magnifica ragion d'essere a questa tendenza di fondo: una certa
obsolescenza che sembra colpire le relazioni umane. (...)
Sarebbe altrettanto falso affermare
che abbiamo riscoperto il tragico, la morte, la finitezza, etc. La
tendenza ormai da oltre mezzo secolo, ben descritta da Philippe Airès, è di
dissimulare la morte, per quanto possibile; ed ecco, mai la morte è stata
tanto discreta come in queste settimane. La gente muore in solitudine nelle
stanze di ospedale o delle case di riposo, viene seppellita immediatamente (o
incenerita? La cremazione è più nello spirito del tempo), senza invitare
nessuno, in segreto. Morte senza che se ne abbia la minima testimonianza, le
vittime si riducono a una unità nella statistica delle morti quotidiane, e
l'angoscia che si diffonde nella popolazione mano a mano che il totale
aumenta ha qualcosa di stranamente astratto. Un'altra cifra ha acquisito
molta importanza in queste settimane, quella
dell'età dei malati. Fino a quando vanno rianimati e curati? 70, 75, 80
anni? Dipende, a quanto sembra, dalla regione del mondo in cui viviamo; ma in
ogni caso mai
prima d’ora avevamo espresso con una sfrontatezza così tranquilla il fatto
che la vita di tutti non ha lo stesso valore; che a partire da una
certa età (70, 75, 80 anni?), è un po' come se si fosse già morti. Tutte
queste tendenze, l'ho detto, esistevano già prima del coronavirus; non hanno
fatto che manifestarsi con una nuova evidenza.
Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo
stesso, un po’ peggiore.
Brani di una intervista tratti dal Corriere della sera
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