mercoledì 6 maggio 2020

DOPO IL VIRUS “SENZA QUALITÀ” IL MONDO RESTERÀ LO STESSO, MA UN PO’ PEGGIORE


MICHEL HOUELLEBECK
(…) Questa epidemia riesce nell'impresa di essere allo stesso tempo angosciante e noiosa. Un virus banale, apparentato in modo poco prestigioso a oscuri virus influenzali, dalle possibilità di sopravvivenza poco note e caratteristiche confuse, a volte benigno a volte mortale, neanche trasmissibile per via sessuale: insomma, un virus senza qualità. (...)

Nasceranno libri interessanti, ispirati da questo periodo? Me lo chiedo anche io. Mi sono davvero posto la questione, ma in fondo credo di no. Sulla peste abbiamo avuto molte cose, nel corso dei secoli, la peste ha interessato molto gli scrittori. Nel nostro caso invece ho qualche dubbio. Intanto, non credo mezzo secondo alle dichiarazioni del tipo «niente sarà più come prima». Al contrario, tutto resterà esattamente uguale. Lo svolgimento di questa epidemia è anzi notevolmente normale.
Leoni di San Prospero, Reggio Emilia
L'Occidente non è, per l'eternità, per diritto divino, la zona più ricca e sviluppata del mondo; è finito, tutto questo, già da qualche tempo, non è certo uno scoop. Se andiamo a vedere nel dettaglio, la Francia se la cava un po' meglio che la Spagna o l'Italia, ma meno bene che la Germania; anche qui, nessuna grossa sorpresa. Il coronavirus, al contrario, dovrebbe avere per risultato principale quello di accelerare certi mutamenti in corso. Da qualche anno ormai l'insieme delle evoluzioni tecnologiche, che siano minori (video on demand, pagamento senza contatto) o maggiori (il telelavoro, gli acquisti su Internet, i social media) hanno avuto per conseguenza principale (principale obiettivo?) quella di diminuire i contatti materiali, e soprattutto umani. L'epidemia di coronavirus offre una magnifica ragion d'essere a questa tendenza di fondo: una certa obsolescenza che sembra colpire le relazioni umane. (...)

Sarebbe altrettanto falso affermare che abbiamo riscoperto il tragico, la morte, la finitezza, etc. La tendenza ormai da oltre mezzo secolo, ben descritta da Philippe Airès, è di dissimulare la morte, per quanto possibile; ed ecco, mai la morte è stata tanto discreta come in queste settimane. La gente muore in solitudine nelle stanze di ospedale o delle case di riposo, viene seppellita immediatamente (o incenerita? La cremazione è più nello spirito del tempo), senza invitare nessuno, in segreto. Morte senza che se ne abbia la minima testimonianza, le vittime si riducono a una unità nella statistica delle morti quotidiane, e l'angoscia che si diffonde nella popolazione mano a mano che il totale aumenta ha qualcosa di stranamente astratto. Un'altra cifra ha acquisito molta importanza in queste settimane, quella dell'età dei malati. Fino a quando vanno rianimati e curati? 70, 75, 80 anni? Dipende, a quanto sembra, dalla regione del mondo in cui viviamo; ma in ogni caso mai prima d’ora avevamo espresso con una sfrontatezza così tranquilla il fatto che la vita di tutti non ha lo stesso valore; che a partire da una certa età (70, 75, 80 anni?), è un po' come se si fosse già morti. Tutte queste tendenze, l'ho detto, esistevano già prima del coronavirus; non hanno fatto che manifestarsi con una nuova evidenza. 
Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo stesso, un po’ peggiore.
Brani di una intervista tratti dal Corriere della sera








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