Sintesi Assemblea soci di ESSERCI del 29 aprile 2020
Una delle speranze, dei richiami, presenti soprattutto in
ambiente cattolico, ma non solo, perché c'è anche una preoccupazione di molti
che cristiani non sono, è che questa sventura della pandemia almeno ridesti la
coscienza, ridesti la coscienza dell'uomo.
Secondo alcune considerazioni questa coscienza appunto
sarebbe stata in qualche modo ridestata o smossa. In realtà come hanno
osservato bene altri, la difficoltà di
per sé non ridesta la coscienza, la agita, la rende inquieta, ma non la
ricostituisce. Perché ciò che
costituisce la coscienza è la presenza di una risposta. Ciò che ridesta la
coscienza è la presenza di una risposta. Ciò
che fa emergere la domanda, la fa esprimere, è la presenza di una risposta.
Senza di che c’è un’agitazione inconcludente alla fine.
Da questo punto di vista è molto seria l’osservazione a
riguardo della Chiesa che ha abbandonato il popolo, perché la Chiesa che
ambisce ad essere il luogo della risposta alla ricerca dell’uomo sembra
fragilissima. Per cui l’augurio a che si ridesti la coscienza non ha strumenti,
non si realizza: si sente molto questo.
Una delle ragioni per
cui abbiamo fatto Esserci, è che la Chiesa non sono solo i preti o i vescovi,
la Chiesa siamo noi. Quindi è anche a noi che è affidato il compito di una
presenza che possa ridestare la coscienza. Quando De Petro ci legge che
Giussani nel momento di difficoltà aveva detto che la nostra fede deve
diventare più matura, è perché la Chiesa non sono i preti, non sono gli altri,
la Chiesa siamo noi, tutti insieme. Siamo noi come persone e siamo noi come
comunità, come corpo. Per cui chi abbandona eventualmente l’uomo, non sono solo
i preti, siamo noi che abbandoniamo. La fragilità è veramente diffusa e noi
dobbiamo sentirci responsabili di essa, soprattutto
nella formazione del giudizio.
Di qui il contenuto proprio di un’associazione come Esserci,
perché si è molto parlato del rischio di
un totalitarismo culturale. Ma il totalitarismo culturale in cui siamo
immersi oggi non è realizzato attraverso la selezione dell’informazione, anche;
ma soprattutto attraverso l’abbondanza e
la moltiplicazione delle informazioni. Per esempio, di tutti i rischi e dei
pericoli di cui si è parlato questa sera intervenendo, i giornali sono pieni:
per esempio sul problema citato della libertà messa in discussione
dall’adozione della app, Cioè tutte le cose che noi sentiamo come rischiose,
come pericolo per la nostra esistenza presente e futura, sono affrontate nei
media con pagine e pagine visive e scritte, dappertutto. Si è parlato appunto
di “infodemia”, della epidemia di
informazioni: il problema è che l’abbondanza di informazioni a rende tutte le
informazioni uguali, cioè vale tutto allo stesso modo.
Anche perché
l’incertezza e l’ignoranza che c’è dietro è così evidente che ormai tutti
hanno capito che pure medici e scienziati –certo sanno- ma la sostanza delle
cose non la sanno. E vanno a tentoni, come tutti. Come i politici, adesso
impauriti dalla riapertura che potrebbe far riaccadere il contagio e non si sa
se riaccadrà, non si sa se ricomparirà l’epidemia, non si sa qual è il vaccino,
non si sa quali sono le cure, non si sa quanti sono i morti, non si sa quanti
sono gli ammalati, non si sanno un sacco di cose. E tutti discutono e
dibattono. C’è una pletora di informazioni che distrugge la capacità selettiva
del pensiero.
Arizona, foto tratta da The Atlantic |
Se Esserci è un’associazione culturale, deve preoccuparsi
soprattutto di questo. E deve preoccuparsi
di questo valorizzando l’esperienza degli
associati. L’esperienza di chi
ci sta, l’esperienza di chi si mette insieme: dobbiamo fidarci di questo,
fidarci di questo come sostanziale e ultima possibilità.
L’esperienza non è
solo provare le cose, ma è anche giudicarle. È il giudizio sulle cose che
si sono provate, che si sono viste e si sono vissute: noi abbiamo un giudizio,
dobbiamo fidarci mettendolo alla prova e rendendolo pubblico. Tanto più
dobbiamo fidarci a causa della nostra fede cristiana che ci ha messi insieme
come segno, come luogo per la scoperta e la conquista della verità. È un
compito immane ma è quello che dobbiamo fare.
Io spero che, almeno per quanto riguarda noi, il motto
benedettino Ora et Labora -in fondo il lavoro è equivalente alla preghiera, e
la preghiera è equivalente al lavoro, cioè la preghiera trasforma e il lavoro
domanda- diventi veramente nostro,
diventi ricerca effettiva della risposta e di una proposta che sia di aiuto.
Non elenco i tanti temi che sono stati citati: lavoriamo per
affrontarli a partire dalla nostra esperienza, cercando innanzitutto di aiutare
noi stessi a renderci conto di quanto sta succedendo, cercando quindi
innanzitutto di aiutare noi stessi a ridestare la coscienza. Perché poi, per
fortuna, non tutto dipende da noi, e per questo c’è Dio: ci penserà un po’
anche Lui.
Giancarlo
Cesana
Assemblea
Soci Esserci 29 Aprile 2020
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