giovedì 29 dicembre 2022

LA GRAZIA CHE OCCORRE PER SPERARE

 

La speranza cristiana è tutto tranne che irragionevole 

Non è una speranza campata per aria, senza punto d’appoggio, una sorta di ottimismo irrazionale contro l’evidenza dei dati del presente. Anzi, la sua ragionevolezza poggia tutta su una conoscenza verificata nell’esperienza


«Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia», dice il poeta francese Charles Péguy (Il portico del mistero della seconda virtù, in I Misteri, Jaca Book, 1997, p. 167). Con questa affermazione Péguy si situa agli antipodi di qualsiasi atteggiamento presuntuoso, perché riconosce che la possibilità della speranza si fonda non in qualcosa di costruito da noi, ma in una grazia, vale a dire, in qualcosa di dato, di donato. È questa grazia che rende ragionevole la speranza.

Che cos’è questa «grande grazia» di cui parla Péguy? La fede in Gesù Cristo. La grande grazia è la certezza della fede. La fede, come spiega don Giussani, è il riconoscimento di una Presenza, che consente all’uomo un’esperienza di corrispondenza così unica alle attese del cuore, da riconoscere che soltanto il divino può esserne l’origine. Andrej Tarkovskij, il famoso regista russo, fa dire a uno dei suoi personaggi del film Andrej Rublëv: «Lo sai anche tu, certi giorni non ti riesce nulla, oppure sei stanco, sfinito, e niente ti dà sollievo, e all’improvviso nella folla incontri uno sguardo semplice, uno sguardo umano, ed è come se avessi ricevuto la comunione e subito tutto è più facile» (Andrej Rublëv, Garzanti, Milano 1992, p. 74). L’esperienza presente di questa Presenza, analogamente a quella della madre, è il fondamento della speranza.

Spiega don Giussani: «La speranza, che non è nient’altro che l’espandersi della sicurezza della fede al futuro» (Si può vivere così?, Rizzoli, Milano 2007, p. 255.)

Se la fede è riconoscere con certezza una Presenza così corrispondente all’attesa del cuore, allora la speranza è avere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza. È l’espandersi al futuro della sicurezza del presente.

All’inizio dell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI parla di «speranza affidabile»: «La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (n. 1).
Per questo la speranza è il test più elementare per renderci conto se la nostra fede è un’esperienza - precisamente un’esperienza di certezza così reale da poter poggiare tutto su di essa -, o se invece è una categoria mentale o dialettica, quindi non in grado di fornire un punto d’appoggio reale.

Per questo Giussani insiste: «La grande grazia da cui la speranza nasce è la certezza della fede; la certezza della fede è il seme della certezza della speranza» (p. 184). Ciò su cui si fonda la speranza è un presente: «Ma un presente è veramente presente nella misura in cui tu lo possiedi; perciò la speranza è la certezza nel futuro che si appoggia su un possesso già dato» (p. 186), su una grande grazia.

Perciò la speranza cristiana è tutto tranne che irragionevole. Non è una speranza campata per aria, senza punto d’appoggio, una sorta di ottimismo irrazionale contro l’evidenza dei dati del presente. Anzi, la sua ragionevolezza poggia tutta su una conoscenza verificata nell’esperienza. Per questo possiamo dire che poggia su un possesso già dato.
È ancora la Spe salvi che ce lo ricorda con parole analoghe: «La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti; essa ci dà qualcosa. Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisce per noi una “prova” delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest’ultimo non è più il puro “non-ancora”. Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future» (n. 7).

Edward Henry Potthast (1857 -1927)
Beach Scene

E di nuovo: «La promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza» (n. 8).
È con questa Presenza davanti a me che, adesso, posso guardare senza paura tutta la portata della mia attesa, dei miei desideri più profondi. Nella compagnia di questa Presenza posso osare porre la vera domanda.

«Questi desideri saranno soddisfatti, sì o no? Qui è il punto. Questi desideri, fatti secondo le esigenze del cuore, possono essere sicuri d’essere attuati […] solo in quanto uno […] si abbandona alla Presenza» (pp. 190-191).

La forma della risposta al desiderio dell’uomo è Cristo stesso. Cristo è l’unica speranza di compimento della nostra affettività. Egli solo, Egli solo è capace di esaudire, di soddisfare veramente l’affettività.
Null’altro è in grado di soddisfarci realmente. Perciò la speranza è il compimento dell’affezione: Egli solo è in grado di soddisfare, di compiere veramente l’affezione. Per questo tutti gli uomini ardono dal desiderio; ma quanto è difficile trovare uno che dica: «Di te ha sete l’anima mia» (Sal 63,2)!

Raffaello, Angeli,
part. de La Madonna Sistina (Dresda)

Cristo, la Presenza riconosciuta dalla fede, è l’unico fondamento ragionevole della speranza. Senza di Lui la vita dell’uomo è priva di un fondamento su cui poggiare.
Invece è proprio così, perché - come conferma san Tommaso - «la vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione» (San Tommaso d’Aquino, Secunda secundae, in Summa Theologiae, q. 179, art. 1). La soddisfazione è nell’affezione a Cristo, la soddisfazione è Cristo.

Estratti da un intervento di Julian Carron del 2009 (tratto da CL online)



Nessun commento:

Posta un commento