Dobbiamo andare a scuola da san Giuseppe.
Da quest’uomo così silenzioso e così misterioso possiamo imparare molto: ma
innanzitutto capiamo che siamo tutti padri putativi. Ogni paternità e maternità
è una paternità ed una maternità putativa. Con questo non intendo sminuire
l’importanza della nascita carnale, biologica, rispetto ad esempio all’affido o
all’adozione. Intendo dire un’altra cosa: che, in ogni caso, la vita è qualcosa
che ci è affidata da un Altro affinché noi gliela riconsegniamo.
Certamente il rapporto genitori-figli è il
rapporto più delicato che esista sulla faccia della terra. È un rapporto
delicato perché è un rapporto che racchiude in sé tutto l’universo. In questo
senso la paternità e la maternità non si imparano mai una volta per tutte, ma
si riscoprono continuamente. La tentazione che noi continuiamo a vivere è la
tentazione di possedere. Istintivamente vogliamo possedere e non ci rendiamo
conto che in questa possessività disordinata prevarichiamo sull’altro, sugli
altri. Tanto che, alla fine, gli altri diventano degli oggetti nelle nostre
mani. Perché l’altro sia recuperato, nel suo essere “tu”, nel suo essere
soggetto, occorre un sacrificio, una conversione, una nuova libertà, che
coincide proprio con una riscoperta della paternità e della maternità.
In fondo la nostra paternità deve essere
una imitazione della paternità di Dio. Anche Dio accetta che ciascuno di noi
non sia Lui, sia altro da Lui, sia un “io” davanti a Lui. Nonostante la sua sia
una paternità assolutamente particolare (perché è la paternità di colui che ha
fatto dal nulla ciascuno di noi), Lui ci ha voluti così, in piedi davanti a
Lui.
Così, dobbiamo non solo accettare, ma
desiderare questo per i nostri figli: che siano in piedi davanti a noi.
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