Cari amici,
le circostanze, come ci ricorda continuamente don Julián Carrón, sono
fattori costitutivi della propria vocazione. Se non riconosciamo
esperienzialmente questa verità, la nostra autocoscienza sarà sempre vittima
delle nostre emozioni, delle nostre reazioni. Per cui la vita sarà sempre un
lamento, uno scaricare sulla realtà o sulle persone la propria rabbia.
In questi mesi non c’è stato un giorno in cui il Mistero non abbia
risparmiato nè me, nè quanti mi sono più vicini. E non sempre mettendoci
davanti circostanze molto difficili, ma anche banali.
L’altra sera, erano le 22, sono, come ogni notte, andato nella clinica per
verificare come stavano i pazienti, se dormivano, se chi era grave stava per
morire e per parlare un po’ con le infermiere, che sono quelle che portano il
“peso” più duro.
Avevano appena terminato di pulire Gesù. Per cui ho chiesto loro con che sguardo siano state davanti a Lui. Betty, un’infermiera bella e magra, mi consegna un foglio dove scrive: “Caro padre Aldo, questa notte mi sono resa conto di cosa sia la verifica della fede. Ero di turno nel blocco N° 2 della Clinica, dove Gesù è particolarmente triturato dal cancro. Non avevo mai provato nei 7 anni di lavoro nella clinica, tanto ribrezzo nel pulire Maria. Le secrezioni che uscivano da questo corpo, ormai consumato dal cancro, riempivano la stanza con un odore ripugnante. A un certo punto mi ha preso un senso di vomito. Per cui sono andata in bagno, vomitando quello che avevo mangiato. Non sapevo se ritornare da Maria (Gesù) e continuare l’igiene. Dopo un attimo mi son ricordata che quella povera donna è Gesù che soffre, per cui sono andata da lei per terminare la sua pulizia. E l’ho fatto con tanto amore, vedendo Gesù che soffriva, non tanto per il cancro, ma per la puzza che neanche lei sopportava. Ho chiesto perdono per la mia prima reazione di nausea e vomito. E questa situazione la vivono anche le mie compagne di turno. Se non ci fosse il Santissimo esposto nell’Eucaristia, sarebbe per noi impossibile avere cura di questo Gesù, con il corpo in cui sono già visibili i segni della putrefazione. Per di più viviamo un grande dolore quando i malati stessi ci dicono di non sopportare l’odore che emana il proprio corpo. Guardando Maria (Gesù) mi chiedo: “come può un essere umano, così perfetto fisicamente, giungere alla decomposizione essendo ancora vivo? Non mi è facile questo compito e se Cristo non fosse la ragione della mia vita, me ne andrei. Però offro tutto sapendo che il paziente è Gesù, per cui continuo a lottare”.
Avevano appena terminato di pulire Gesù. Per cui ho chiesto loro con che sguardo siano state davanti a Lui. Betty, un’infermiera bella e magra, mi consegna un foglio dove scrive: “Caro padre Aldo, questa notte mi sono resa conto di cosa sia la verifica della fede. Ero di turno nel blocco N° 2 della Clinica, dove Gesù è particolarmente triturato dal cancro. Non avevo mai provato nei 7 anni di lavoro nella clinica, tanto ribrezzo nel pulire Maria. Le secrezioni che uscivano da questo corpo, ormai consumato dal cancro, riempivano la stanza con un odore ripugnante. A un certo punto mi ha preso un senso di vomito. Per cui sono andata in bagno, vomitando quello che avevo mangiato. Non sapevo se ritornare da Maria (Gesù) e continuare l’igiene. Dopo un attimo mi son ricordata che quella povera donna è Gesù che soffre, per cui sono andata da lei per terminare la sua pulizia. E l’ho fatto con tanto amore, vedendo Gesù che soffriva, non tanto per il cancro, ma per la puzza che neanche lei sopportava. Ho chiesto perdono per la mia prima reazione di nausea e vomito. E questa situazione la vivono anche le mie compagne di turno. Se non ci fosse il Santissimo esposto nell’Eucaristia, sarebbe per noi impossibile avere cura di questo Gesù, con il corpo in cui sono già visibili i segni della putrefazione. Per di più viviamo un grande dolore quando i malati stessi ci dicono di non sopportare l’odore che emana il proprio corpo. Guardando Maria (Gesù) mi chiedo: “come può un essere umano, così perfetto fisicamente, giungere alla decomposizione essendo ancora vivo? Non mi è facile questo compito e se Cristo non fosse la ragione della mia vita, me ne andrei. Però offro tutto sapendo che il paziente è Gesù, per cui continuo a lottare”.
Poi ci sono anche situazioni più semplici, come il mettere ogni mattino i
fiori freschi sul comodino di ogni ammalato o lo stare seduto al fianco del
moribondo accompagnandolo a morire. Spesso vedo arrivare già a notte fonda la
direttrice medica o l’infettivologa. Chiedo loro il perché. E la risposta è
molto semplice; “vengo a vedere come stanno i miei figli”. L’amore della
specialista in AIDS, Cristina, è per me una provocazione continua a guardare in
faccia Gesù. Amici, realmente Gesù mi ha fatto un dono grande nel creare questa
clinica, in cui la morte è vinta dalla vita, cioè da Gesù. Il dolore è grande
ma Gesù lo è infinitamente di più.
P. Aldo
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