UNA MORTE SFRUTTATA DAI PROGRESSISTI PER IL LORO GIOCO
Ha fatto il giro del
mondo la storia di Savita Halappanavar, una giovane donna morta tre settimane
fa in un ospedale irlandese.
Questa tragica storia è
stata unita a una interpretazione ideologica di quanto è avvenuto: la sua morte è responsabilità di un Paese
ossessionato da sottigliezze teologiche e da concezioni sorpassate.
Ecco i fatti. Il 21
ottobre, incinta di 17 settimane, Savita
Halappanavar si è presentata con dolori di schiena all’ospedale
dell’Università di Galway, dove le è
stata diagnosticata una gravidanza in pericolo. Una settimana dopo è morta per
setticemia. Il marito ha dichiarato che la moglie aveva più volte chiesto che
la gravidanza fosse interrotta, ma che la sua richiesta era stata rifiutata. Il
signor Halappanavar sostiene che i medici hanno detto di non poter eseguire
l’aborto, perché era ancora percettibile il battito cardiaco del feto. Hanno poi aggiunto che questa era la
legge in Irlanda e che “questo è un Paese cattolico”.
Nel leggere questi
commenti, la mia prima reazione è stata che non mi riconoscevo nel Paese e
nella legge che stavano descrivendo, perché l’Irlanda è uno dei Paesi più
sicuri per partorire. In un certo senso, l’Irlanda rimane un “Paese cattolico”,
ma ciò non significa che i medici se ne stanno lì a guardare mentre le donne
muoiono. Ed è ridicola l’idea che la sanità irlandese operi secondo i dettami
della Chiesa cattolica, se solo si tenesse conto dei cambiamenti avvenuti nella
mentalità irlandese negli ultimi tempi.
Mi chiedo allora quale
sia il contesto in cui quella frase è stata detta. E’ stata una frase di
copertura per il rifiuto a intervenire, o la giustificazione per un mancato
intervento, o il riflesso di una posizione più complessa?
Sembra che ci vorranno
tre mesi per il rapporto ufficiale e quindi prima di sapere qualcosa di
concreto su ciò che è realmente accaduto a Savita. Forse a qualcuno è mancato
il coraggio di prendere una decisione e poi è stato troppo tardi. Può darsi che
non si sia capito quanto fosse grave la sua situazione e si sia data troppa
attenzione al battito del feto e poca alla situazione di Savita che stava
progressivamente aggravandosi. In verità, non si sa. Tutto quello che si sa è
che la donna è morta e che qualcuno vicino a lei ha detto quella frase: “Questo
è un Paese cattolico”.
In effetti, la legge irlandese proibisce l’aborto,
ma è ciò che chiede la maggioranza degli irlandesi, anche se è vero che in
questo è stata forte l’influenza cattolica. Ma la Chiesa consente
l’interruzione della gravidanza quando la vita della madre è in pericolo, senza
pretendere che il battito del feto sia cessato. Questa è più o meno anche la
legge in vigore in Irlanda, ma la decisione finale è nelle mani del medico che
deve valutare il singolo caso, superando la miriade di zone grigie che si
presentano nella grande varietà dei casi concreti.
Il progressismo di sinistra cerca di far passare per
oscurantista la posizione irlandese sull’aborto, come cieca obbedienza alla Chiesa cattolica. Così non
si capisce né la religione, né l’orrore dell’aborto.
I cattolici sono persone
che concepiscono la realtà in un particolare modo, non persone alle quali viene
data una lista di cose in cui devono credere. La posizione cattolica
sull’aborto ha origine in una concezione morale centrata sulla dignità della
persona umana; il cattolicesimo è l’espressione di questa concezione, non la
sua motivazione. La maggioranza degli irlandesi continua a essere contraria per
principio all’aborto e lo sarebbe anche se, per assurdo, la Chiesa ritirasse le
sue obiezioni.
Nel 1983, anticipando le
iniziative in favore della legalizzazione dell’aborto, alcuni gruppi laici
cattolici spinsero i politici a introdurre un emendamento alla Costituzione
che, a loro parere, avrebbe impedito tale legalizzazione. Ecco il testo:” Lo
Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro e, con il dovuto rispetto
per l’uguale diritto alla vita della madre, garantisce nelle sue leggi di
rispettare e, in quanto possibile, di tutelare e difendere con le sue leggi
questo diritto”. La Corte Suprema, con successive interpretazioni della frase
sulla tutela del diritto alla vita della madre, ha di fatto esteso i possibili
casi di aborto.
Come altrove, i progressisti di sinistra affermano di
non voler introdurre la libertà di aborto, ma si nascondono dietro i “casi
difficili” per suscitare simpatia
nel pubblico e attenuare la generale opposizione al regime abortivo che, invece,
vige nell’isola vicina. Si parla di 5000 donne irlandesi che ogni anno vanno ad
abortire nel vicino Regno Unito e ciò viene portato come prova che i diritti
delle donne irlandesi sono violati nel loro Paese.
Il caso più discusso
degli ultimi anni è stato quello, nel 1992, di una ragazzina di 14 anni vittima
di uno stupro, cui la Corte Suprema concesse la possibilità di abortire. E’ il
cosiddetto “caso X” e può essere alla base sia di una applicazione
dell’emendamento del 1983 più aderente alle iniziali intenzioni, sia di
un’apertura all’industria dell’aborto. Dal 1992, i governi hanno evitato
l’argomento e di assumere iniziative legislative che dividerebbero la nazione
e, perciò, questa complessa questione è rimasta nelle mani dei soli medici e
delle circostanze che via via si presentano.
Ogni nuovo “caso
difficile”, come quello di Savita Halappanavar, riapre quindi la questione e
provoca violente oscillazioni nell’opinione pubblica. La maggioranza degli
irlandesi non condivide le posizioni progressiste o tradizionaliste estreme e,
qualunque sia la loro posizione sull’aborto, non vuole vedere morire senza
necessità né i bambini, né le loro madri. Tuttavia, molti rimangono confusi di
fronte a questi apparenti conflitti di principi, con le conseguenti oscillazioni
nella pubblica opinione ogni volta che uno di questi casi viene alla ribalta.
I media usano questi
casi in favore di un regime più liberale sull’aborto e la mentalità
“pro-choice” sta prendendo gradualmente piede, mettendo sempre più in difficoltà
la posizione pro-life, accusata di cieco fanatismo. Si cerca di accusare la
posizione della Chiesa come incoerente, ma non vi è incoerenza nell’affermare
che l’aborto è l’uccisione di un essere umano, ma che in certi casi può essere
inevitabile e, perciò, permesso come il minore dei mali.
Non vi è alcuna
possibilità di conciliare questa posizione con la visione progressista di
sinistra, in Irlanda non più che altrove, non perché una è oscurantista e
l’altra illuminata, ma perché si tratta di due
concezioni di uomo completamente diverse. Una vede l’uomo imperfetto,
fragile ma redimibile, l’altra lo considera una specie perfettibile attraverso
i suoi propri sforzi, per cui tutto diventa possibile attraverso l’imposizione
di “diritti” individuali.
Il cattolicesimo cerca
di ottimizzare le condizioni all’interno del bene comune, il progressismo di
sinistra vede un aspetto alla volta e rimane insensibile, nei singoli casi,
alla ecologia generale. Per i cattolici i principi fondamentali possono essere
mediati in circostanze eccezionali sulla base della compassione, della
necessità, della ragione, della pietà e del perdono; all’opposto, i
progressisti tendono ad attaccarsi alle eccezioni per creare un’utile
confusione, frantumando i principi assoluti in una serie di diritti
individualizzati uno contro l’altro, una specie di relativista gioco di pedine
da cui emerge trionfante la vittima più convincente.
In Savita Halappanavar i
progressisti irlandesi hanno trovato uno strumento per il loro gioco e lo
utilizzeranno a lungo.
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