Ci sono quelli che – giustamente – si sono scandalizzati e si
scandalizzano per il taglio al Fondi per i non-autosufficienti che ha generato
la vibrante e rischiosa protesta dei malati di Sla. La pensano come noi,
almeno su questo. Ma a volte si tratta degli stessi per cui una madre farebbe
bene, in presenza di previste malformazioni del nascituro, ad abortire, a
lasciar perdere. E allora qualcosa non torna. La logica, la ragione, stride.
Come spesso capita di sentire stridere, in questi tempi cupi e confusi. Perché
se ha senso indignarsi, se vale la pena di manifestare per la mancanza di
fondi, avrebbe senso indignarsi – e manifestarsi – anche per la mancanza di
chance di vita, no? O siamo, invece, in presenza di un moto, comprensibile,
del sentimento, che però privo di legame con la ragione diviene insopportabile
sentimentalismo?
Sono tempi cupi, tempi confusi, dove una invisibile e pervasiva dittatura
di non-pensiero sta ammorbando l’aria. Un’indignazione giusta resta tale, anche
se contraddittoria, si capisce. È sacrosanta. È condivisibile. È anche
onorevole. Ma se non accetta di paragonarsi fino in fondo con il problema –
che è quello della dignità della vita, comunque – resta per così dire monca,
debole, incapace di cultura vera. Una indignazione fragile. Volatile come tutte
le indignazioni sentimentaloidi. Che oggi sono di gran moda. Un sacco di
indignazione, a cui non corrisponde molto pensiero a riguardo del medesimo oggetto.
E che finisce per non combattere realmente contro l’indifferenza. Così come –
in altro, vicino campo – vedo con sorpresa che la soppressione per via politica
di parole come 'madre' come 'padre' non provoca nessun sussulto, nessuna
indignazione pensosa in chi si dichiara intellettuale e dovrebbe guardare con
timore la soppressione di parole, la loro sostituzione nella vita comune
ottenuta attraverso il potere politico e burocratico.
Quel che si delinea in Francia, su esempi altrui, con la sostituzione della
parola madre, della parola padre, con la asettica, asessuata 'genitore 1' e
'genitore 2' è una terribile violenza, simile a quella dei peggiori Stati
totalitari. Spesso, si ricordi, germinati nel Novecento da democratiche
elezioni. La cancellazione culturale, nominale, e dunque legale, della differenza,
propugnata proprio da chi faceva della 'differenza' la propria iniziale
bandiera, è uno dei fenomeni culturali di più vasta portata del nostro tempo.
Ma gli accademici, i maestri delle parole, i cultori del pensiero non si
accorgono della perdita? della violenta cancellazione? del razzismo che come
sappiamo spesso inizia proprio dal razzismo verso le parole? Come se l’ideale
dell’uomo che intende cancellare ogni differenza tra il proprio desiderio e la
natura procedesse con la cancellazione delle differenze – anche quelle
evidentissime – pur di affermare il proprio progettato potere.
Negare ogni differenza diventa il programma feroce di chi non sopporta che
la realtà sia 'differente' dal proprio progetto, dalla propria volontà. Una nuova
reale dittatura, peggio forse di quelle del passato che non hanno potuto
intaccare certe parole chiave, o si sono accontentate di aggredire le parole
'pubbliche', mentre le parole primarie, quelle della vita intima, della vita
nuda, continuavano a essere nutrite dalla coscienza libera. Ma a questa
dittatura paiono proni tanti nostri accademici, i difensori della lingua, i
puristi di quel tessuto interpretativo del reale che è la parola. Si può
davvero buttare via, sotto i nostri occhi, la parola 'madre', la parola
'padre' senza che nessuno di costoro dica nulla? A questo punto è arrivato il
potere ricattatorio della cultura dominante? dove sono gli intellettuali
veramente coraggiosi?
Quasi ironicamente il
numeretto '1', '2' resta, pur se anonimo, a indicare ancora un resto di
differenza. Come avveniva e avviene per gli uomini messi in fila da
torturatori o da burocrati: un numero, senza nome. Eppure in quel numerino
diverso, in quel niente resiste ancora – ironicamente, poveramente – lo sfarzo
meraviglioso della vita che non è come vogliamo noi, che è sempre differente.
Che non si piega a questa cupa, tetra programmata in-differenza.
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