Ecco come non scrivere un articolo con “tic omofobici”
Il ministero delle Pari opportunità ha
redatto delle Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone Lgtb.
Eccole (risolto anche il caso su quale articolo usare per Vladimir Luxuria)
L’11 dicembre il ministero per le Pari
opportunità ha presentato le Linee guida per un’informazione rispettosa
delle persone LGBT, un documento che è un compendio di quel che è stato
discusso durante un ciclo di incontri organizzato dall’Unar (Ufficio nazionale
antidiscriminazioni razziali) in collaborazione con Redattore Sociale,
con il patrocinio dell’Ordine nazionale dei giornalisti e della Federazione
nazionale stampa italiana, delle amministrazioni comunali, degli Ordini
regionali e dei sindacati dei giornalisti delle città ospitanti.
E cosa dicono queste linee guida? A leggerle (qui potete scaricare il documento in pdf), si rimane un po’ allibiti. In verità, il documento è solo il risultato finale di un processo (come vi avevamo già raccontato) che ha portato il ministero ad accogliere le richieste e a produrre uno studio su indicazione di alcune sigle Lgtb (Arcigay, Equality, Cgil nuovi diritti…).
Le linee guida – e bisognerà vedere cosa esse poi comporteranno – stilano una serie di “consigli” per «comunicare senza pregiudizi» in merito a tematiche che riguardino persone omosessuali. Fatto salvo il ripudio per ogni tipo di insulto nei confronti delle persone omosessuali, il testo dell’Unar, però, si spinge anche più in là. Ecco come.
E cosa dicono queste linee guida? A leggerle (qui potete scaricare il documento in pdf), si rimane un po’ allibiti. In verità, il documento è solo il risultato finale di un processo (come vi avevamo già raccontato) che ha portato il ministero ad accogliere le richieste e a produrre uno studio su indicazione di alcune sigle Lgtb (Arcigay, Equality, Cgil nuovi diritti…).
Le linee guida – e bisognerà vedere cosa esse poi comporteranno – stilano una serie di “consigli” per «comunicare senza pregiudizi» in merito a tematiche che riguardino persone omosessuali. Fatto salvo il ripudio per ogni tipo di insulto nei confronti delle persone omosessuali, il testo dell’Unar, però, si spinge anche più in là. Ecco come.
NO TERAPIE RIPARATIVE. Innanzitutto si specifica che «è da evitare l’idea che essere gay o
lesbica o bisessuale è una scelta che si può rivedere o cambiare, magari con
l’aiuto di terapie. L’orientamento omosessuale o bisessuale, così come quello
eterosessuale non è una scelta, e pretendere di modificarlo può causare gravi
conseguenze sul piano psichico alle persone coinvolte». In altre parole, si
invitano i giornalisti a non parlare delle “famigerate” terapie riparative,
perché queste sono nocive.
ESISTE IL GENDER. Nel documento si invita a stare attenti a non confondere il “sesso” con il
“genere”. «Il ruolo di genere – si legge - riguarda l’insieme delle
caratteristiche (atteggiamenti, gesti, abbigliamento, linguaggio, interazioni
sociali ecc.) che sono riconosciuti in una data società e cultura come propri
di uomini e donne. È quindi il modo in cui una persona esprime l’adattamento
alle norme condivise su ciò che è appropriato a un genere. Fin dall’infanzia ci
si aspetta, per esempio, che una bambina giochi alle bambole e che un bambino
giochi ai robot o che faccia giochi violenti e competitivi». Ma, in realtà, i
vari elementi («sesso biologico, identità sessuale, identità di genere,
orientamento sessuale, ruolo di genere») «si possono combinare in modi
molteplici, dando luogo a configurazioni inaspettate». Fatta questa premessa,
poi tutto ne discende. Se non esiste una oggettività sessuale, ma solo quel che
uno “sente” di essere, poi vale tutto.
«DARE DELLA LESBICA». Sulla parola lesbica, le Linee guida sottolineano come essa non sia un
insulto, ma che, tuttavia, oggi sia usata come tale. Ecco l’esempio: «Nei
media, lesbica è percepita erroneamente come una parola dal vago senso
offensivo. Pensiamo a titoli come: Michelle Bonev ha dato della lesbica alla
Pascale. “Dare della…” è un’espressione che sottintende un valore negativo
della parola». Quindi la raccomandazione del documento è quello di aiutare a
“normalizzare” il termine: «Fare entrare la parola lesbica nell’uso comune e
nel linguaggio dei media, liberandola da connotazioni dispregiative o
voyeristiche, è un passo importante verso il riconoscimento dell’omosessualità
femminile e l’attribuzione di diritti alle donne che desiderano e amano altre
donne».
IL/LA TRANS. Come per il termine “lesbica”, anche il termine
“transessuale” necessita di una normalizzazione e riabilitazione. Esso,
infatti, notano le Linee guida, oggi troppo spesso è usato a sproposito per
indicare fenomeni diversi e, soprattutto, è accostata al fenomeno della
prostituzione (anzi, della «lavoratrice del sesso trans», come dice il
documento). Occorre dunque chiarire bene le idee, a partire da quale tipo di
articolo (maschile o femminile) debba essere usato per identificare queste
persone. Qui, il documento, merita di essere letto per intero: «L’errore più
diffuso nel giornalismo riguarda l’attribuzione del genere grammaticale al
soggetto transessuale. Le persone che sui giornali sentiamo continuamente
chiamare I trans in realtà sono LE trans. Tra l’altro, quelle di
cui si parla di solito hanno tutta l’apparenza di soggetti femminili: le foto
spesso ritraggono lunghi capelli, tacchi alti e minigonne. Dovrebbe venire
spontaneo attribuire il femminile, e invece le contraddizioni, anche
grammaticali, abbondano: Uno dei trans di via Gradoli, Brenda […] è
stata prelevata dal Ros nel suo appartamento di via Due Ponti, per essere
sentita. Oppure: Vladimir Luxuria si è presa la sua rivincita. Il trans
più famoso d’Italia potrà fare infatti da testimone al matrimonio di sua
cugina. Dal maschile al femminile, o viceversa, nella stessa frase. Per la
transessualità vale il principio dell’identità. Se la persona di cui si parla
transita dal maschile al femminile, non importa in che fase della transizione
si trovi, né se si sta sottoponendo all’iter della riassegnazione chirurgica
del sesso, se lei sente di essere una donna va trattata come tale. Come
principio, quindi, è corretto utilizzare pronomi, articoli, aggettivi coerenti
con l’apparenza della persona e con la sua espressione di genere. Quando questo
risulta difficile al/alla giornalista, la soluzione è denominare la persona nel
modo in cui preferisce essere appellata. E infine, sarebbe bene ricordare
sempre che appunto di persone stiamo parlando: piuttosto che il/la trans o
il/la transessuale, parliamo di PERSONA TRANSESSUALE».
FAMIGLIA OMOPARENTALE. Parlando quindi di matrimonio e famiglia,
il documento mira a presentare sia il primo che la seconda sotto una luce
diversa da quella tradizionale, ormai sorpassata. Per questo è più corretto
parlare di “famiglie” che di “famiglia” e – sempre nell’ottica di una
“normalizzazione” dell’omosessualità – di indicare le famiglie arcobaleno come
«famiglie omogenitoriali, oppure con due papà, due mamme. Meglio ancora
parlare, semplicemente, di famiglie». Da evitare l’espressione «matrimonio gay,
dal momento che suggerisce l’idea di un istituto a parte, diverso da quello
tradizionale».
UTERO IN AFFITTO. Occorre evitare l’espressione «uteri in affitto» che rimanda a un’idea
negativa e commerciale, quando invece si tratta di «un’aspirazione della coppia
gay o lesbica ad avere un proprio figlio»
TIC OMOFOBICI. Uno dei capolavori delle Linee guida riguardano i “Tic omofobici”.
Riportiamo per intero il paragrafo, diviso nei sottocapitoli “esperti,
interlocutori, specialisti, contradditorio”:
- «ESPERTI
- Quando si parla di tematiche LGBT, c’è la tendenza a consultare
esperti o giornalisti che non siano gay o lesbiche o
transessuali/transgender loro stessi, quasi che questa condizione rendesse
chi parla meno affidabile, in quando mosso dall’emotività (che è un
pregiudizio ricorrente nei confronti delle persone LGBT).
- INTERLOCUTORI - Quando un tema collegato alla condizione delle
persone LGBT diventa di attualità, i giornalisti vanno in cerca di persone
note che funzionino da interlocutori sul tema. Manca l’abitudine a
consultare le associazioni che lavorano ampiamente su questi temi.
- SPECIALISTI - La tendenza ad affidarsi a specialisti (es.
psicologi o psicoanalisti) ha l’effetto depoliticizzare le questioni
inerenti i diritti LGBT. Per esempio, parlando di omogenitorialità gli
esperti di varie discipline potranno riferire sul buono o cattivo
funzionamento di queste famiglie, ma non possono contribuire alla
riflessione pubblica, politica sul tema, che non riguarda solo le persone
LGBT ma la società tutta.
- CONTRADDITTORIO -
Quando si parla di tematiche LGBT, è frequente che giornali e televisioni
istituiscano un contraddittorio: se c’è chi difende i diritti delle
persone LGBT si dovrà dare voce anche a chi è contrario. Questo, però, non
è affatto ovvio».
Perché non è «affatto ovvio» potrebbe chiedersi qualcuno? La spiegazione
sta in una citazione riportata da uno degli incontri della rassegna e che è
stata pronunciata dallo scrittore Tommaso Giartosio: «Cosa deve accadere
affinché il contraddittorio tra favorevoli e contrari ai diritti per le persone
gay o lesbiche non sia più necessario? Mettiamola così: quand’è che un tema non
richiede più il contraddittorio? Molti temi, per esempio il divorzio, un tempo
lo richiedevano ma oggi non più. Non esiste una soglia di consenso prefissata,
oggettiva, oltre la quale diventa imprescindibile il contraddittorio. La scelta
è puramente politica. È una scelta di valore, e di valori».
GAY PRIDE. Simpatico il paragrafetto sulle immagini che vengono utilizzate dai media
per illustrare le tematiche gay. Le Linee guida, infatti, lamentano che spesso
i giornalisti pubblichino a sproposito le foto del Gay Pride: «Ad attirare
giornalisti e fotografi sono state sempre le figure più trasgressive,
luccicanti, svestite, ed è così che si è prodotto e riprodotto un immaginario intorno
a queste manifestazioni che di anno in anno, già attraverso le immagini che le
annunciano, mette in secondo piano il tema dei diritti».
REGOLE PER NON ESSERE OMOFOBI. Per evitare infine di pronunciare «discorsi d’odio», il giornalista deve
attenersi ad «alcune regole». Eccole:
- «virgolettare
i discorsi o parte di discorsi di personalità pubbliche che incitano
all’odio contro le persone LGBT, usando particolare attenzione nella
titolazione»;
- «avere
cura di ricercare fonti e dati che contestualizzino e forniscano
informazioni attendibili e verificabili sui temi e gli argomenti delle
dichiarazioni»;
- «riferirsi
se necessario alle corrette definizioni dei termini ed effettuare – in
casi di confusione nei discorsi – le dovute distinzioni (per esempio tra
omosessualità e transessualità)»;
- «fare
attenzione nella scelta delle immagini, affinché non rafforzino gli
stereotipi negativi veicolati dai discorsi pubblici riportati
nell’articolo»;
- «avere
una lista di risorse informative a livello nazionale e locale – esperti di
tematiche LGBT, rappresentanti di associazioni e coordinamenti – da
utilizzare per avere in tempi rapidi dichiarazioni che permettano una
composizione bilanciata del servizio».
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