di Giovanni Belardelli
in “Corriere della Sera” del 22
dicembre 2013
Il Natale politicamente corretto rischia di diventare
uno spazio vuoto
Come è sotto gli occhi di tutti, in
Occidente la festa del Natale si è da tempo secolarizzata. Il giorno che
ricorda la nascita di Cristo, e dunque il messaggio di salvezza per l’intera
umanità di cui egli è portatore secondo i cristiani, a molti appare incentrato
soprattutto su uno scambio di doni dagli evidenti tratti consumistici (appena
attenuati, in questi ultimi anni, dal peso della crisi economica). Nelle
scuole, dove è ormai consistente la presenza di alunni di altre religioni,
diventa spesso problematico ricordare la festa del 25 dicembre con qualcosa che
abbia un esplicito carattere religioso: dal presepe, sempre più sostituito
negli spazi pubblici e privati degli italiani con il più laico albero, alle
tradizionali canzoni e recite natalizie. Ma nonostante la secolarizzazione del
Natale sia in atto da tempo, colpisce il cartoncino di auguri di un’importante
casa editrice, Bollati Boringhieri. La tendenza a utilizzare ormai la formula
generica degli auguri di buone feste o simili, infatti, almeno in Italia non
aveva ancora eliminato del tutto una qualche immagine che, come il tradizionale
albero, esplicitasse che a Natale appunto ci si sta riferendo. Invece gli
Auguri/Season’s greetings (queste le uniche parole che vi compaiono) di cui sto
parlando raffigurano soltanto dei fiori rossi che potrebbero riferirsi a
qualunque giorno dell’anno e perciò rischiano di non riferirsi specificamente
ad alcuno. Come se la festa per la quale pure si stanno facendo gli auguri fosse
diventata indicibile.
L’episodio potrebbe essere archiviato semplicemente come un piccolo eccesso di zelo nella tendenza a un Natale «politicamente corretto» che si va diffondendo da anni, in modo apparentemente inarrestabile come gran parte di ciò che nasce dapprima negli Stati Uniti. Eppure dietro di esso si affacciano almeno un paio di questioni importanti, che riguardano non soltanto i cattolici ma tutti gli italiani.
La prima ha a che fare con un’idea di laicità intesa non come incontro e confronto nello spazio pubblico tra religioni e
culture, nel rispetto dei principi e delle leggi su cui si fonda la democrazia;
ma intesa invece come una specie di
terra di nessuno, come uno spazio vuoto, privo di ogni esplicito riferimento a
religioni e culture particolari, da riempire soltanto con i precetti contenuti
in qualche carta dei «valori repubblicani» (come in Francia) oppure con un
complesso di generici riferimenti al dialogo, alla pace, alla giustizia e così
via. Generalmente, questa idea di laicità come assenza di riferimenti
religiosi, la stessa che ispira gli auguri così asettici di cui ho detto, viene
giustificata con l’intenzione di non offendere i non cristiani. L’intenzione è
sicuramente nobile ma la giustificazione convince poco: quando, come riferì
qualche settimana fa questo giornale, in una scuola di Varese è stato vietato a
un sacerdote di impartire la benedizione natalizia appunto per non offendere i
bambini di altre religioni, un rappresentante della locale comunità islamica
dichiarò: «Le celebrazioni cristiane non ci danno alcun fastidio».
La seconda questione ha a che fare con il posto che il Natale ha nella nostra cultura nel senso più ampio del termine, anche per i non credenti dunque. Al di là dello scambio di regali, dell’incontro con i familiari, della storia dell’avaro Scrooge verosimilmente riproposta in tv, il messaggio che per i cattolici si lega alla nascita di Cristo rappresenta comunque uno dei sedimenti profondi della nostra identità collettiva. Benché in una società secolarizzata possiamo non averne più una chiara percezione, la democrazia vive di valori che sono per una gran parte di derivazione cristiana, a cominciare dal concetto di eguaglianza tra tutti gli esseri umani, che rimanda all’idea di una loro comune natura in quanto figli di Dio. Non a caso nella Democrazia in America Alexis de Tocqueville, pur personalmente agnostico, considerava inscindibile il nesso che legava libertà e religione cristiana. Ed è per motivi analoghi, credo, che anche una forza dall’accentuato profilo laico come i radicali di Marco Pannella ha scelto proprio il giorno di Natale come la data giusta per convocare una marcia in favore dell’amnistia e della riforma della giustizia.
La seconda questione ha a che fare con il posto che il Natale ha nella nostra cultura nel senso più ampio del termine, anche per i non credenti dunque. Al di là dello scambio di regali, dell’incontro con i familiari, della storia dell’avaro Scrooge verosimilmente riproposta in tv, il messaggio che per i cattolici si lega alla nascita di Cristo rappresenta comunque uno dei sedimenti profondi della nostra identità collettiva. Benché in una società secolarizzata possiamo non averne più una chiara percezione, la democrazia vive di valori che sono per una gran parte di derivazione cristiana, a cominciare dal concetto di eguaglianza tra tutti gli esseri umani, che rimanda all’idea di una loro comune natura in quanto figli di Dio. Non a caso nella Democrazia in America Alexis de Tocqueville, pur personalmente agnostico, considerava inscindibile il nesso che legava libertà e religione cristiana. Ed è per motivi analoghi, credo, che anche una forza dall’accentuato profilo laico come i radicali di Marco Pannella ha scelto proprio il giorno di Natale come la data giusta per convocare una marcia in favore dell’amnistia e della riforma della giustizia.
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