PROUST E IL SEGRETO DELLE CATTEDRALI (CHE QUESTA EUROPA NON
CONOSCE PIU’)
Inabissato
nei sondaggi al 15 per cento di (im)popolarità, il minimo storico, François
Hollande è contestato per i suoi fallimenti politici (sciopero nelle scuole) ed
economici (il Pil è in calo e la ripresina è abortita).
Perfino con
la legge Taubira (adozioni a coppie gay) si è trovato contro una sorprendente
maggioranza popolare.
Così cerca
diversivi. E’ il vecchio trucco dei governanti che si inventavano una guerra
per distrarre dai loro disastri. Hollande a settembre voleva a tutti i costi la
guerra alla Siria, ma è saltata perché si sono messi di traverso il Papa e la
Russia.
MORTE DELLE
CATTEDRALI
Ora ha
tirato fuori un’idea surreale: la “festa della laicità” da istituire il 9
dicembre. Perché il calendario delle festività è “troppo cristiano”.
Una trovata
che, anche nella scelta della data, si rifà all’offensiva anticlericale del
1905 e ricorda l’abolizione di tutte le festività cristiane (e perfino del
suono delle campane) decretato dai rivoluzionari dopo il 1789.
Al tempo di
Robespierre in nome della “tolleranza” furono massacrati preti e suore, fu
macellata la Vandea cattolica e le cattedrali – definite “indecenti e ridicole”
– furono profanate e devastate (Cluny e Citeaux che avevano fatto la storia
d’Europa furono ridotte a rovine fumanti).
Nel 1905 la
legge sulla separazione fra stato e chiesa puntava a sconsacrare le splendide
cattedrali medievali di Francia e a confiscare i beni ecclesiastici.
Si arrivò
quasi a progettare ferrovie che guarda caso dovevano passare per forza su
antiche chiese romaniche in mezzo alla campagna.
Mentre se ne
discuteva, nel 1904, sul “Figaro”, fu pubblicato un bellissimo articolo di
Marcel Proust, intitolato “La morte delle cattedrali”.
CONCHIGLIE
Nel suo
pezzo – riproposto in questi giorni dal sito “piccolenote.it” – lo scrittore
(che si diceva ateo/agnostico) si mostrava inorridito davanti all’idea di
trasformare le cattedrali francesi in “semplici e gelidi pezzi da museo”.
Egli
considerava agghiacciante un futuro in cui la Francia scristianizzata sarebbe
stata simile a “una spiaggia dove gigantesche conchiglie cesellate sarebbero
apparse arenate, vuote ormai della vita che in esse aveva abitato e incapaci di
recare all’orecchio che si chinasse su di esse il vago rumore di un tempo”.
Sottolineo
questa metafora delle cattedrali come conchiglie perché ha un valore decisivo,
come vedremo, per la sua “Recherche”.
Proust
dunque rifiutava la trasformazione delle chiese in musei, con gelidi riti laici
che avrebbero fatto rimpiangere i riti cattolici e “quanto dovevano essere
belle queste feste ai tempi in cui erano i sacerdoti che celebravano le messe…
perché avevano, nella virtù di questi riti, la stessa fede degli artisti che
scolpirono le cattedrali”.
Del resto
“lo splendore della liturgia cattolica forma un tutto unico con l’architettura
e la scultura delle nostre cattedrali”.
Proust
aggiungeva che “mai uno spettacolo paragonabile a questo, uno specchio
gigantesco della scienza, dell’anima e della storia fu offerto agli sguardi e
all’intelligenza dell’uomo… si può dire che una rappresentazione di Wagner a
Bayreuth è poca cosa accanto alla celebrazione della messa grande nella
Cattedrale di Chartres”.
Proprio
l’articolo sulle antiche cattedrali ci mette sulle tracce del “segreto” della
“Recherche” il cui primo volume fu pubblicato nove anni dopo, il 14 novembre
1913, esattamente cento anni fa.
Non a caso
l’opera proustiana è piena di evocazioni delle tante cattedrali francesi, da
Chartres, ad Amiens, da Bourges a Troyes e tante altre.
ROMANZO-PELLEGRINAGGIO
Il segreto
della “Recherche” ha cominciato a essere scoperto – a mio avviso – da un
studioso italiano di Proust, Alberto Beretta Anguissola.
Il quale
anni fa ha pubblicato un volumetto, “Proust e la Bibbia”, dove faceva emergere
il “criptotesto” della “Recheche”, quel “corso d’acqua sotterraneo che affiora
solo qua e là”, ma – se compreso – diventa una formidabile chiave di lettura.
Si tratta appunto di “riferimenti ‘giganteschi’ – allusioni esplicite o implicite
alla Bibbia, ai simboli cristiani e alla liturgia cattolica. La ‘ricerca del
tempo perduto’ è un pellegrinaggio proprio come quelli che, facendo tappa a
Illiers-Combray, milioni di uomini compirono nel corso dei secoli per
raggiungere Santiago di Compostela. Lungo gli itinerari prestabiliti dalla
fede” osserva Beretta Anguissola “si poteva allora incontrare di tutto. C’erano
ladri e assassini; c’erano turisti curiosi di cose belle e cose strane; c’erano
avventurieri bizzarri; c’erano uomini devastati dal senso di colpa che
avrebbero fatto di tutto per sentirsi perdonati da Dio e dagli uomini (quindi
da se stessi); c’erano uomini e donne che avevano smarrito il senso
dell’esistenza, ne avevano perso il gusto e si sentivano radicalmente falliti,
incapaci – come Nicodemo – di rinascere e di incontrare la salvezza; c’erano
inoltre uomini e donne pieni di fede, speranza e carità che avevano deciso di
santificarsi pellegrinando. La ‘ricerca del tempo perduto’ è tutte queste cose
messe insieme”.
Per questo “i
riferimenti religiosi e biblici” hanno “nel romanzo-pellegrinaggio di Proust
un’importanza speciale”.
In fondo
“recherche”, ricerca, non è altro che l’antica “Quest”, la ricerca di Dio. Ma
Proust compie questa ricerca della salvezza – nella babele del suo tempo e
della vita – su una traccia precisa: i luoghi e i riti cristiani, i segni di
una bellezza ineguagliabile e piena di Misericordia.
MADELEINE
Beretta
Anguissola inizia così il suo studio:
“Chi come Proust ha creduto di portare in sé una duplice maledizione
(omosessuale, ebreo) e ha vissuto tale condizione senza illusioni estetizzanti,
lucidamente, cosa avrà provato quando, per compiere un vasto lavoro di
traduzione e commento di un libro di Ruskin, ‘La Bibbia d’Amiens’, si è messo a
leggere e rileggere intensamente Vecchio e Nuovo Testamento? Cosa avrà pensato
leggendo il Salmo 21 (‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’) o il
‘Miserere’ o il quarto canto del Servo di Jahvè in Isaia? Non possiamo saperlo.
Non sappiamo se si commosse vedendo che le maledizioni possono essere, per chi
ci crede, segno e prova della predilezione divina. Ma di tutte queste cose
restano profonde tracce nel romanzo ‘Alla ricerca del tempo perduto’. Chi lo ha
letto tutto” spiega Beretta Anguissola “ricorderà che, nell’ultimo volume, il
Tempo viene ‘ritrovato’ (e insieme a esso sono recuperati in extremis il senso
della vita come vocazione e il valore della scrittura) in un modo assai
singolare”.
In pratica
il Narratore si trova a un ricevimento e, indietreggiando per fare spazio a
un’auto, “inciampa in una pietra difettosa, mal squadrata, del selciato. A
questo punto è invaso da una misteriosa felicità”.
Rammenta di
aver vissuto una circostanza simile e una voce dentro di lui grida: “Afferrami
al volo, se ne hai la forza, e cerca di risolvere l’enigma di felicità ch’io ti
propongo”.
La salvezza
che arriva da una “pietra di scarto”. Immediato il riferimento alla profezia
cristologica di Isaia: il Crocifisso, la Vittima, la pietra scartata dai
costruttori che diventa pietra angolare, fondamento della bella costruzione. E’
l’incontro fortuito che spalanca la salvezza.
Ecco in
effetti la “lettura” che ce ne offre Proust:
“Proprio, a volte, nel momento in cui tutto sembra perduto giunge
l’avvertimento che può salvarci; abbiamo bussato a tutte le porte che non danno
su niente, e la sola attraverso la quale si può entrare, e che avremmo cercato
invano per cento anni, l’urtiamo senza saperlo, e si apre”.
E ricordate
la famosa “madeleine” di Proust? E’ ben più di un biscotto che evoca il passato
del protagonista. A forma di “coquille Saint-Jacques” è segno del cammino di
Santiago e di quelle “conchiglie” che nell’articolo del 1904 erano le
cattedrali francesi. Infatti subito dopo ricorda la chiesa del suo villaggio
natale, Saint-Jacques di Illiers.
In quelle
“conchiglie” c’è la perla perduta, la salvezza. Con buona pace di Hollande e di
questa Europa laicista.
Antonio
Socci
Da “Libero”,
1 dicembre 2013
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