CHI VERSA IL PRIMO SANGUE, PAGA
Il buio della
sinistra e il sangue dei suoi nemici. Dal Duce al Cav.
Hanno lo sguardo fisso, il sorriso appena abbozzato, l’eloquio stentato.
Non riescono a spiegare nemmeno a loro stessi cosa hanno fatto e perché: è il
buio nella mente, colpisce la sinistra ogni volta che ha in mano la vita del
nemico. Mussolini, Moro, Craxi, oggi Berlusconi: quattro volte, una per ogni
generazione di italiani, dalla nascita della Repubblica. Quattro volte pollice
verso, tre volte la cosa le si è ritorta contro, i benefici attesi non si sono
verificati, i fantasmi delle vittime hanno funestato i giorni e corroso le
notti degli assassini. L’ultima non sfuggirà alla regola: il Cav. pure
sconfitto, decaduto, inquisito e condannato ancora e ancora, pure arrestato e
magari sprofondato sotto terra, sarà il convitato di pietra dei prossimi anni. La
legge di John Rambo è ferrea: chi versa il primo sangue paga.
Con Mussolini, non lasciarono fare ad altri, fecero in proprio. L’uomo
vinto non fu processato ma condannato, intercettato, abbattuto, appeso a testa
in giù a un gancio da macellaio. La guerra era stata terribile, dissero: ma
altrove capi e seconde file del nazismo e del fascismo non finirono in questo
modo, almeno non tutti. In Italia il Pci non poteva riconoscere altra autorità
che non fosse quella in cui era preponderante, egemone, doveva sminuire il
ruolo degli eserciti inglese e americano nella liberazione del paese, aveva
bisogno della retorica per costruire il mito della resistenza che certo fu
eroica, si coprì di gloria, ma, ricordava Pietro Secchia, a volte ci volevano
calci nel sedere per spingere i ragazzi su in montagna. Sandro Pertini,
socialista e collerico, quando venne a sapere che Mussolini era
nell’arcivescovado di Milano si precipitò, fece le scale quattro a quattro con
la pistola in pugno gridando “dov’è?”. Il clima di odio non servì chi lo
propalava. Oggi sul Duce si scrive e si riscrive ancora, in televisione è la
star della storia, quelli dell’Anpi sono ancora lì che sfilano, si canta “Bella
ciao” e i giovani si prendono ancora a sprangate. La costruzione simbolica
attorno alla violenza necessaria e legittima ha prodotto mostri, impedendo la
normalizzazione storica del ventennio mussoliniano, quindi la sua chiusura
effettiva. E’ la prima delle anomalie: rispetto a paesi in cui la pagina fu
girata in fretta, in Italia ci si è scannati per altri cinquanta anni dopo la
fine della guerra.
Moro lo scrisse addirittura, nell’ultima lettera: il mio sangue ricadrà su
di voi. Non sui brigatisti di cui aveva capito che di lì a poco lo avrebbero
ucciso. Ma su coloro che lo avevano abbandonato al suo destino, perché non era
più lo stesso ma un uomo impaurito, sotto influenza, plagiato. Sui compagni di
strada Camilla Cederna e l’Espresso che azzannavano Giovanni Leone, il
presidente che non si sarebbe opposto a provvedimenti di clemenza nei confronti
di terroristi detenuti: la trincea della cosiddetta legalità repubblicana fu
difesa dunque con menzogne e letame. Il Pci pensò di fare da muro portante
della maggioranza, magari di dirigere dall’esterno una Dc indebolita e orfana
del suo leader. Non sarà così: con la morte di Moro salta il compromesso tra i
due maggiori partiti, base materiale della Costituzione formale. La Prima
Repubblica muore, nasce quella consolare.
Colui che Moro avrebbe voluto salvarlo, Craxi, ne diventa l’uomo forte. Il Pci
è al margine, isola di purezza che galleggia in un mare d’irrealtà. Quando
scoppia Tangentopoli e la procura di Milano si appresta a tagliare la testa del
leader socialista, i comunisti appena decomunistizzati si guardano bene dal
dire che aveva ragione lui e dal difenderlo: ne vogliono invece lo scalpo per
averli sconfitti sulla scala mobile. Ma la vendetta non arriva: arriva invece
Berlusconi. Che per altri venti anni li allunga sul lettino. Chi può davvero
pensare che questa volta la sinistra “first blood” gliela possa fare?
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